Noi e il genocidio
26 Aprile 2025
[Aldo Lotta]
Quanto grottesco ed osceno sia l’atteggiamento del sistema oppressivo occidentale nei confronti dei palestinesi può essere espresso dalla risposta del portavoce del governo USA ai giornalisti che chiedevano spiegazioni sul perché Israele impedisca l’ingresso a Gaza di macchinari per lo sminamento dalle bombe statunitensi inesplose: “Abbiamo ripetutamente sottolineato che Gaza è inabitabile e costringere i gazawi a vivere tra ordigni inesplosi è disumano”.
Ma la molteplicità dei riflessi di tale atteggiamento è chiaramente riscontrabile nella violenza palpabile che pervade la quotidianità del nostro vivere, di cui le guerre costituiscono la punta dell’iceberg. Penso a quanto oggi la comunità politica occidentale calpesti lo stesso diritto internazionale e le stesse costituzioni che neanche un secolo fa aveva solennemente formalizzato e sancito: quindi i genocidi, la criminale negazione dei cambiamenti climatici, le politiche ultra-coloniali fatte di respingimenti, dislocazioni, torture ed eccidi dei migranti, i CPR, il pacchetto del decreto-sicurezza (che dovrebbe chiamarsi decreto-controllo).. sono tutte manifestazioni dell’oscenità di una violenza distruttiva che divora chi è già fragile, indifeso, vittima non più in grado di servire il Profitto.
Su tutto, e davanti a tutto l’o-scenità (ai margini della rappresentazione mediatica e mondana) del genocidio dei palestinesi. Il “genocidio in diretta”, e tuttavia avvolto da una nebbia difficile da diradare, forse perché tanto disturbante per la nostra coscienza di spettatori attivi e responsabili nella sua attuazione (responsabilità cinica la cui ignominia la Corte Internazionale di Giustizia potrebbe-dovrebbe istituzionalmente dichiarare da un giorno all’altro).
Tuttavia, in controtendenza rispetto alla nebbia mediatica, intrisa di subalterne negazione e indifferenza, è sempre più evidente una molteplicità di elevate (e sublimi) espressioni artistiche, in gran parte palestinesi e mediorientali, che trovano dei riconoscimenti istituzionali in settori preminenti del mondo culturale dell’occidente.
Sensazionali fra le tante: l’assegnazione del Premio Oscar per il miglior documentario a No Other Land, presentato dal palestinese Basel Adra con altri tre registi di cui due israeliani (dopo mesi di ripresa diretta dei quotidiani crimini sanguinari da parte dei militari e coloni israeliani contro gli abitanti di un distretto di villaggi palestinesi); e l’assegnazione ad una giornalista palestinese, Samar Abu Elouf, del World Press Photo Award, il più prestigioso riconoscimento mondiale nel campo del fotogiornalismo. Questo secondo riconoscimento è legato in particolare ad una suo foto, incisiva e commovente, di un bambino palestinese che a nove anni ha subito l’amputazione della due braccia in seguito ad un bombardamento israeliano.
Ma tra le tante espressioni artistiche di esemplare militante umanità vorrei citare quanto ci vorrebbe dire (urlare) attraverso le sue opere acclamate in tutto il mondo e la sua splendida quotidiana dedizione alle sofferenze di Gaza, una venticinquenne fotoreporter palestinese:
Fatma Hassouna è stata uccisa il 16 aprile da un bombardamento israeliano con altri nove membri della sua famiglia.
Su di lei è stato prodotto un documentario, “Metti l’anima nella tua mano e cammina,” che verrà proiettato al Festival del Cinema di Cannes a maggio. La sua morte ha suscitato una condanna unanime e un’ondata di cordoglio nel mondo del fotogiornalismo e del cinema.
Lo scorso anno già altri 11 membri della sua famiglia erano stati uccisi e lei si è rifiutata di lasciare il nord di Gaza per poter documentare la guerra. Alla fine di aprile avrebbe dovuto sposarsi.
Fatma aveva recentemente scritto in un post su Facebook un commovente appello: “Se muoio, voglio una morte che faccia rumore, non voglio essere solo una notizia o un numero tra tanti, voglio che il mondo sappia della mia morte, un impatto che persista e un’immagine eterna che non possa essere sepolta né dal tempo né dallo spazio.”
Miqdad Jameel, un giornalista di Gaza del giornale libanese Al-Akhbar, ha invitato l’opinione pubblica a tener viva la memoria di Hassouna: “Parlate del suo assassinio. Guardate le sue foto, leggete le sue parole, testimoniate la vita a Gaza, la lotta dei suoi bambini durante la guerra, attraverso le sue immagini e il suo obiettivo.”
Anas al-Shareef, reporter di Al Jazeera a Gaza, ha reso omaggio ad Hassona ricordando che lei “attraverso il suo obiettivo ha documentato i massacri in mezzo a bombardamenti e sparatorie, cogliendo nelle sue foto la sofferenza e le grida delle persone.”
Solo un giorno prima della morte di Fatma il programma ACID di Cannes, una sezione del festival gestita dall’Associazione del Cinema Francese Indipendente, ha annunciato che durante il festival di quest’anno sarà proiettato un documentario su di lei realizzato dalla regista di origine iraniana Sepideh Farsi.
Il film racconta la storia del genocidio e della vita quotidiana dei palestinesi attraverso conversazioni video tra Fatma e Sepideh. Come descritto da Farsi, Hassouna è diventata “i miei occhi a Gaza… ardente e piena di vita. Ho filmato le sue risate, le sue lacrime, le sue speranze e la sua depressione…Era una tale luce, piena di talento! Quando vedrete il film capirete…Le avevo parlato poche ore prima per dirle che il film sarebbe andato a Cannes e per invitarla”.
Un commovente omaggio è venuto da Haidar Ghazali, il poeta di Gaza preferito da Fatma. Ghazari ha raccontato che prima della sua morte Fatma lo aveva contattato chiedendogli di scrivere una poesia per lei “quando fosse morta”. Lui ha risposto con una preghiera per la sua incolumità, ma alla fine ha rispettato le sue volontà componendo una poesia per la sua defunta ammiratrice. Sono parole che mi auguro non conclusive ma ispiratrici per una nuova consapevolezza:
“Il sole di oggi non porterà danno.
Le piante in vaso si prepareranno per un’ospite gentile.
Il sole di oggi non brucerà, sarà abbastanza luminoso da aiutare le mamme ad asciugare rapidamente il bucato, e abbastanza fresco da permettere ai bambini di giocare, tutto il giorno.
Il sole di oggi non sarà duro con nessuno. Abbraccerà la città, come il calore di una madre, tenero ma inesperto, e si scrollerà di dosso la tristezza col piglio di una donna anziana che riceve la visita dei figli dopo molto tempo.
L’inquadratura dall’alto è quella giusta e Fatma sarà felice nel fare le sue foto.”
Haidar Ghazali