Benigni tricolore
1 Marzo 2011Marcello Madau
E’ piaciuto a La Russa. Giorgia Meloni si è entusiasmata Al PD, erede liberista del compromesso storico, figuriamoci: d’altronde il primo Benigni fece ‘Berlinguer ti voglio bene’. L’apprezzamento alla performance sanremese di Roberto Benigni è stato davvero schiacciante, poiché ha raccolto la maggior parte delle forze della maggioranza e dell’opposizione.
E il sentimento nazional-popolare non si è fatto mancare nulla, perché Nichi Vendola si è schierato dicendo “Non ho mai amato l’inno. Ho sempre pensato che fosse una canzone demode’, che puzzava di naftalina. Ma ieri Benigni me l’ha fatta capire, mi ha fatto capire che dentro quei versi sepolcrali c’e’ la radiografia di una passione civile.” Viva la sincerità. Imbarcato anche Vendola.
E’ una di quelle situazioni, nelle quali ti accorgi, magari con qualche preoccupazione (naturalmente a sinistra), che l’adesione ai valori dominanti della destra è più estesa e profonda del dato formale di elezioni o sondaggi.
D’altronde, Benigni si è perfettamente inserito nelle regole (non è convincente il suo tentativo di separare il nazionalismo – cattivo – dal patriottismo – buono-) della costruzione di un’identità nazionale. Ricostruzione della memoria attraverso la mitizzazione del passato, l’apologia dell’eroismo militare, la demonizzazione degli altri. Un classico che si adegua pericolosamente a quella separazione ‘noi/gli altri’ che è linea di confine fra una società inclusiva ed una società che esclude.
Nell’inquadramento patriottico del 150° anniversario dell’Unità d’Italia poco contano – come in ogni invenzione della tradizione – i pressapochismi o gli errori del Roberto nazionale: affermare ad esempio che il Risorgimento sia stata una visione popolare, che tutti gli italiani seguissero Garibaldi, che i dialetti, per ‘definizione’, siano inadeguati a scrivere ad alti livelli speculativi o letterari, che – errore grave e frase in sé comunque con poco criterio – l’Italia sia l’unico paese al mondo dove la cultura nasce prima della nazione.
La Grecia, che sarebbe potuta servire a farci sentire almeno in buona compagnia, visto la sequenza temporale fra cultura ellenica e costituirsi della nazione, è servita semplicemente perché avrebbe fondato l’Europa sulla cacciata degli orientali (i Persiani), categoria in sé definita dal moderno colonialismo, e in unione ideale con Scipione: il quale, sconfiggendo Annibale a Zama, evitò all’Occidente (quindi all’Europa) di diventare fenicio, ovvero orientale e barbaro. A questo punto, perché non i Crociati?
La performance di Benigni è stata molto criticata anche dagli ambienti nazionalisti e identitari. Non solo e non tanto per la sua visione superficiale dei dialetti, quanto per la retorica unitaria italiana, che certamente non sembra, nè lo può essere, apprezzata da autonomisti e soprattutto indipendentisti sardi, altoatesini o padani. Ma la retorica militarista altrui va bene se è nostra? Mi sembrano liti fra nazionalisti.
In Sardegna c’è un proverbio – peraltro molto globale – che dice: Su boe narat corrudu a s’ainu (Il bue dice cornuto all’asino): criticare gli antichi condottieri evocati da Benigni e vantare i propri eroi nuragici o i combattenti Shardana, o personaggi inesistenti come Alberto da Giussano non fa questa gran differenza. Se è brutto dire che Scipione l’Africano ha evitato il diffondersi della cultura fenicia, in Sardegna nel nazionalismo viscerale sardo i fenici non esistono, e le città non furono neppure da loro fondate.
Non mi piace il Benigni di Sanremo che irride alle diversità, e soprattutto le ignora. E neppure il Presidente della provincia autonoma di Bolzano Durnwalder, che non parla per tutta la composita comunità che lui istituzionalmente rappresenta.
Preferiamo distaccarci dall’Italia di Benigni, pur apprezzando i non pochi richiami fatti al grande patrimonio culturale del nostro territorio: ci mancano interesse ed emozione per alabarde, fasci littori, armi shardana, squadre Schützen. Non ci piacciono le armi, le memorie del sangue e della sopraffazione, il concetto stesso di stranieri.
Continuiamo a vedere un Risorgimento senza eroi, senza contadini e pastori; a pensare alla nazione italiana come ad un’impresa che continuerà ad essere latitante senza quel mosaico di popoli che proprio la costruzione imperiale romana e, molto tempo dopo, quella risorgimentale, hanno con mentalità da piccola nazione tenuto costantemente fuori.
Il nazionalismo è una grande realtà, ed una malattia che a volte sembra incurabile, della modernità, ma gli interessi dei lavoratori, dell’ambiente, della democrazia e della pace, e anche delle ‘minoranze’, stanno da un’altra parte.
4 Marzo 2011 alle 14:54
E bravo Marcello! Se ho ben capito esistono nazionalismi nutriti da miti o, se preferisci, da “narrazioni ideologiche” buone, con eroi positivi (Ampsicora? Il Cilocco della die e sa Sardigna? E perchè no Atlantide con tanto di tsunami e Shardana e lingua comuna?) e quelli che si nutrono di narrazioni reazionarie che noi tutti conosciamo e abbiamo sempre rifiutato. No,il nazionalismo che pretende la forma stato come strumento coercitivo per imporre modelli culturali unificanti che sfocino nell’idea di nazione è sempre fascista, è l’essenza di quelle invenzioni perniciose, care a Fichte, che sono stati (mi si perdoni il bisticcio) gli stati nazionali. La nascita di uno stato nazionale distrugge sempre qualche identità nata da aggregazioni naturali . E qui si può convenire con Costanzo Pazzona che l’Italia republicana, almeno, ha saputo riservare alle sfigate ( si fa per dire ) minoranze incluse nei suoi confini forme di autonomie avanzate come per il Sud Tirolo . Comunque non mi si dica che la Sardegna è un caso a sè. Perchè è un’isola? La geografia (il fattore “naturale” caro a Bossi e -mi si perdoni l’accostamento – a Fichte) non produce culture differenti, altrimenti nella maggiore delle isole britanniche non ci sarebbero gallesi e scozzesi. Comunque almeno a loro gli inglesi hanno lasciato il kilt, la cornamusa, la nazionale di calcio e i toponimi gaelici. Qualche talebano alla Sedda ha fatto pulizia etnica di quelli sassaresi nelle carte CTR regionali.
7 Marzo 2011 alle 09:53
Questa volta sono in totale disaccordo con Marcello Madau. Non si può continuare a spaccare il capello in quattro contemplandosi l’ombelico mentre il paese va a rotoli e l’Italia si squaglia. Fare le pulci a Benigni in questo caso è sbagliatissimo: lui, da vero artista, ha colto quello che i sottili intelletuali non riescono a fare, e cioè tener conto del clima diffuso e radicato ormai nel paese e della platea popolare di San Remo, lontana mille miglia dalla cultura come l’abbiamo faticosamente conquistata noi. Quindi voglio proclamare a gran voce, e con molta umltà, che oggi i più efficaci intellettuali sono i comici.
7 Marzo 2011 alle 11:31
Mi piace il confronto e la franchezza. Ognuno ovviamente non tanto può, ma deve esplicitare le proprie valutazioni e appartenenze. Grazie perciò Anna Maria. Ma preferisco essere un sottile intellettuale piuttosto che un imbonitore patriottico molto ben attento al suo mercato.
7 Marzo 2011 alle 13:11
Complimenti a Madau per il bell’articolo, che mi trova perfettamente d’accordo. Quella di Benigni è retorica patriottarda, ben recitata, ma pur sempre retorica che sa di vecchio. Sarebbe bene che ritornassimo alle considerazioni sul Risorgimento di Salvemini, Gobetti e Gramsci per rinfrescarci un pò le idee. O magari solo leggerci ciò che scrivono gli storici d’oggi. Ecco, riprendere a leggere…
7 Marzo 2011 alle 19:46
L’appello di Francesca è sacrosanto. Sarebbe bello che venisse raccolto dalla sinistra italiana. E le riserve di Marcello sulla performance di Benigni sono più che giustificate. Quanto alla risposta polemica di Giacomo Oggiano, non l’ho capita. Sostenere che la geografia non produca culture differenti è una asserzione troppo apodittica, quindi di poco peso. Andrebbe argomentata. La Sardegna fa storia a sé e la fa anche per il fattore geografico. Non nel senso che sia una terra senza storia o priva della luce della civiltà, ma perché ha avuto una storia altra, non meno articolata e in contatto col mondo di qualsiasi altra porzione di Europa e di Mediterraneo. Solo, non coincide con le vicende storiche dell’Italia (in senso geografico, dato che l’Italia politica ha appunto solo 150 anni). La mitologia nazionalista cui si riferisce Benigni è un mito tecnicizzato, una accozzaglia di costrutti narrativi e di simbologie messi su alla meglio per fondare una identità altrimenti poco credibile. Anche i sardi hanno il proprio mito identitario tecnicizzato. È quello del popolo barbaro, ma fiero e eternamente resistente, portato alla luce della Storia dal proprio sacrificio nelle trincee. È il mito sardista, quello che affonda le radici nell’ottocentesca operazione di semitizzazione dei sardi, nelle ricerche dell’antropologia positivista e nella folklorizzazione della nostra cultura e della nostra lingua. Quello dei sardi “italiani speciali”. Non sarebbe il caso di parlarne serenamente?
7 Marzo 2011 alle 20:53
Lungi da me disprezzare il portato degli studi storici ecc. ecc.
Io volevo dire – e lo ribadisco – che i nostri sottili distinguo e le nostre alte e sacrosante polemiche poco o nulla incidono sull’opinione popolare (soprattutto quella che guarda il festival di San Remo). E che noi non possiamo sognarci neppure lontanamente di scalfire, se non con decenni e decenni di lavoro intensissimo (e nel frattempo l’Italia sarà distrutta). Io ribadisco che l’intelligente Benigni ha colto molto bene tutto ciò, e io stessa l’ho trovato coinvolgente e commovente (come molti dei miei amici artisti). Purtroppo devo ancora una volta (l’ennesima) constatare che gli intellettuali più sono sofisticati e meno sono permeabili al messaggio artistico.
8 Marzo 2011 alle 10:59
Mi spiace solo che in un articolo comunque sintetico abbia dovuto tralasciare l’altra serie di castronerie dette da Benigni. Da Maramaldo agli stranieri, dall’insopportabile Mameli, da Scipione condottiero italiano. Silenzio sugli operai, su Gramsci (a sinistra di Benigni Luca e Paolo), Gobetti. Falsità sulla natura popolare del Risorgimento. Gobetti e Gramsci intellettuali supponenti? L’Italia che mi interessa costruire ha iniziato a configurarsi meglio sotto l’oppressione fascista e nella democrazia: le identità, Gramsci e Gobetti, operai e donne (non basta Tina Anselimi..), art. 1 della Costituzione. L’Italia dei partigiani? Assente.
Non condivido la separazione della Sardegna dalle vicende dell’Italia: il collegamento, molto specifico e dialettico, esiste da tempi lontani, e ne parlerò ancora. A sinistra filoni diversi si confrontano. Ma voglio poter dire che il discorso di Benigni è stato nazionalista, demagogico e di destra. Senza problemi nel criticare il mito (un maestro nella satira capirà).
“Gli intellettuali più sono sofisticati e meno sono permeabili al messaggio artistico”?. Chissà che a volte anche gli artisti non debbano essere più permeabili al messaggio intellettuale (non è un brutto termine, e non capisco sinceramente come un’artista non sia intellettuale, a meno che non sappia usare il ben dell’intelletto). Ma la sottomissione degli intellettuali alle ragioni politiche è una storia che ben conosco. E’ la storia del potere. Del fascismo, degli artisti di regime, dei racconti edificanti, del c.d. ‘socialismo di stato’. Oggi della Gelmini. Io sto decisamente da un’altra parte. Ma al lavoro.
8 Marzo 2011 alle 16:11
Concordo con il discorso di Marcello, in fondo Benigni da anni è diventato un “artista di regime” che mette d’accordo tutti, dal Papa a La Russa senza problemi. E’ preoccupante secondo me il fatto che il ragionamento di Marcello nel panorama intellettuale italiano sia piuttosto isolato, c’è veramente un triste calo di tensione critica…vorrei dire di quasi totale decadenza culturale ormai. Magari ci fosse davvero un ambiente intellettuale “sofisticato” che osserva quello che sta succedendo nel paese per dare un suo apporto critico.