Non moriremo democristiani
24 Maggio 2009Gheddafi Dottore in Legge
M.M.
Eppure c’è qualcosa di sbagliato, moralistico e inadeguato nella pur comprensibile reazione di tante persone, molte per bene, non pochi compagni, alla proposta dell’Università degli Studi di Sassari (che sembrerebbe doversi arenare in un errore formale della delibera del Senato Accademico) di conferire la laurea honoris causa a Gheddafi. Come se il problema fosse un Gheddafi illiberale o un Valentino Rossi evasore fiscale, e non che tale tipo di laurea andrebbe dato a chi produce grandi risultati scientifici e di pensiero. Come se la questione non presentasse aspetti politici molto più interessanti.
Gheddafi, figlio di un popolo martoriato sotto il fascismo dai nonni degli attuali governanti, è stato uno dei grandi nemici dell’Occidente, una sorta di Anticristo per giunta africano e bianco, tanto che Reagan bombardò lui e famiglia, con meno indignazione degli intellettuali, uccidendo la sua figlia adottiva.
C’è da restare impressionati dalla spettacolare capacità del capitalismo di sciogliere, con vertiginose trasmutazioni e nel nome di un interesse più generale, problemi ideologici apparentemente insuperabili. Quando poi tale capacità alchemica entra in contatto con la particolare complessità delle culture orientali e nomadiche, quando gli interessi e la strategie reciproche trovano composizione, gli effetti sono proprio speciali.
Vedo poi un secondo fatto significativo nella crescente sudditanza del mondo della conoscenza alle strategie politiche: non è sbagliato in sé coniugare le istituzioni universitarie con il mondo, con la grande politica. Ma tale subalternità è oggi gravissima, il dominio della sfera politica ed economica sempre più forte. Sempre più debole la reazione, ad iniziare dagli attori istituzionali, dei valori di autonomia della scienza, dell’arte, del sapere. Anche qua, una minoranza.
Il terzo fatto lo vorrei sottolineare ricordando la celebre frase di Luigi Pintor “non moriremo democristiani”. Rischiando di morire berlusconiani, siamo caduti dalla padella alla brace: oltretutto si dice che l’idea della laurea abbia come massimo ispiratore Beppe Pisanu. Non sappiamo se sia vero, ma appare certamente plausibile: un’esemplare continuità con la tradizione filoaraba della DC di Andreotti, non tutta negativa, e del magistero craxiano.
Pisanu è davvero un testimone nobile, per quanto residuale, della grande scuola democristiana. E la cosa desta pure qualche nostalgia, se un Assessore della scorsa giunta Soru, figlia del partito del compromesso storico, si rivolge a Beppe Pisanu con antica confidenza. Moriremo o non moriremo democristiani?
Una Guantanamo sarda?
Lettera aperta indirizzata ai mezzi di informazione ed ai rappresentanti al parlamento (Lorena Melis, Letizia Zoncu, Francesco Cerboneschi, Roberto Di Nunzio,Gianluca Meloni). Mercoledì 20 maggio 2009.
Nei giorni scorsi abbiamo avuto modo di venire a conoscenza di una triste vicenda che si starebbe consumando nella nostra terra.
Nel carcere di Macomer stanno scontando la loro pena alcuni nordafricani sottoposti a provvedimenti penali di limitazione della libertà, i quali, attraverso una missiva indirizzata all’associazione “Yairaiha” di Cosenza, particolarmente impegnata nelle attività di tutela e difesa dei diritti umani, dal giorno 4 aprile 2009, data di trasferimento presso il carcere di Macomer, denunciano di essere vittime di gravi e ripetuti abusi.
In tale documento (allegato e datato 15 maggio) vengono rivelati alcuni fatti che spingono la nostra coscienza di cittadini all’indignazione, in esso vengono descritti comportamenti lesivi della dignità umana e offensivi del diritto all’integrità dei carcerati.
Poiché non possiamo non vedere o non sentire questa denuncia, in un momento storico in cui gli stessi Stati Uniti imboccano la strada della revisione delle scelte effettuate in tema di detenzione e di trattamento dei detenuti, affinché possa essere scongiurato il parallelo tra Guantanamo e Macomer per il regime imposto ai carcerati, chiediamo un intervento dei nostri rappresentanti al parlamento affinché, avvalendosi del diritto di visita, vadano a vedere e ci informino su cosa stia succedendo e perché.
Oggi abbiamo la necessità di chiedere alla politica di fare luce sulla questione perché di opportunità generale in merito alla capacità del nostro paese di prevenire, reprimere e rispettare nella condanna i colpevoli. E’ tempo di rivelare la nostra capacità di credere e far rispettare i valori e l’onestà della nostra società civile e della nostra sardità . Per fare questo occorre il concorso di tutti: cittadini, associazioni, istituzioni e parlamentari (in primis sardi).
Lettera scritta da detenuti islamici e inviata ai responsabili dell’associazione ‘Yairaiha’
Tanti saluti a voi, spero che la mia modesta lettera troverà tutti voi in buona salute. Vogliamo raccontare alla associazione gli abusi di potere contro i prigionieri islamici che si verificano al carcere di Macomer (Nuoro) – una piccola Guantanamo nell’isola di Sardegna. Però adesso i prigionieri di Guantanamo stanno meglio di noi che siamo chiusi in questo lager. Il 4 aprile 2009 sono stato trasferito, con il mio amico Ilhami Rachid, dal carcere di Carinola (Caserta).
Quando siamo arrivati in questo carcere, sin dal momento in cui siamo scesi dal blindato, le guardie ci hanno trattato male! A noi, ancora con le manette ai polsi, hanno detto di prendere i nostri sacchi e altra roba. Ho detto alle guardie che con le manette non riuscivo a prendere tutto, in risposta mi hanno messo di forza il sacco sulle spalle trascinato in matricola attorniato da 6 guardie. Il mio amico Rachid si è fermato per chiedere alle guardie il perché di questo trattamento. La risposta è stata l’aggressione: hanno cominciato a picchiarlo con colpi di pugno sul collo e alla testa; non mi hanno permesso di aiutarlo: hanno trascinato anche lui in matricola con lo stesso nugolo di guardie.
Nella perquisizione che ne è seguita loro non hanno rispettato il Corano. In Italia ho già girato sei carceri, mai ho visto un trattamento come questo. Dopo la perquisizione ci hanno portati nelle celle che si trovano in una sezione uguale al 41 bis: isolamento totale, porta blindata chiusa 24 ore su 24, non vediamo nessun’altro prigioniero, solo guardie; anche il cibo ce lo portano le guardie. Ogni volta che usciamo dalla cella veniamo perquisiti palpati, ognuno di noi, da due guardie. Anche i vestiti ce li danno contati, di libri ce ne danno soltanto 5. Al passeggio siamo divisi dagli altri, non possiamo andare con loro, andiamo all’aria solo con quelli della nostra sezione. In questa sezione-lager siamo in 25 prigionieri islamici di diversi paesi del nord Africa. L’8 aprile 2009 sono andato a parlare con il comandante, gli ho chiesto il perché di questo regime e del pestaggio contro Rachid. Lui mi ha detto: questo regime resta così fino a quando arriverà un cambiamento dal ministero! Questa storia è una bugia, perché non c’è nessun carcere in Italia in cui chiudono la blindata 24 ore su 24 ore ecc. Sul pestaggio di Rachid ha detto: “noi non abbiamo picchiato nessuno e quando picchiamo facciamo molto male”. (Questa la democrazia in Italia?).
La posta che entra in questo carcere ti viene consegnata dopo 25 giorni!, in ogni altro carcere la ricevi non dopo 4 giorni! che è stata spedita. La tengono bloccata. Il giorno 4 aprile 2009 con i miei amici abbiamo cominciato lo sciopero della fame, lo porteremo avanti fino a quando non cambiano questo regime: o ci danno i nostri diritti o ci trasferiscono da questo lager.
Il 2 maggio due amici che dovevano chiamare le loro famiglie sono stati provocati dalle guardie. A un nostro amico una guardia ha detto “voi siete di Al Qaeda e non conoscete le guardie sarde come picchiano” e altre parolacce.
Lo stesso giorno un amico voleva passare il fornello ad un altro attraverso il lavorante, uno di noi, la guardia ha detto al lavorante di non farlo intimandogli di andare in cella. Mentre stava ancora parlando con la guardia, questa ha chiuso la blindata in faccia colpendogli il braccio. Abbiamo subito fatto una battitura di 25 minuti. Per tutto questo tempo e quando è arrivata la banda delleguardie hanno detto al nostro amico lavorante che la guardia non aveva visto il suo braccio. La mattina dopo quando è andato a parlare gli ha detto di voler fare una denuncia. Il comandante gli ha risposto: “Se tu fai una denuncia, io faccio una denuncia contro di te e ti chiudo dal lavoro”.
Per davvero ci troviamo davanti ad una banda di “criminali!”. Loro hanno trovato un’isola, nessuno sentirà dei loro abusi di potere, però noi non ci fermeremo mai di scrivere fino a quando tutto il mondo avrà sentito come trattano i prigionieri islamici in Sardegna! Alla spesa non portano il giornale per noi. Hanno la scusa pronta: il trasporto non arriva fino qui. Cari amici di Yairaiha, noi abbiamo bisogno del vostro aiuto per pubblicare la nostra storia sulla vostra rivista e vi chiediamo di intervenire per cancellare la nostra sofferenza.
C’è del marcio in Danimarca
Si moltiplicano nell’isola gli attacchi all’occupazione e diventa persino difficile effettuare una rilevazione che indichi con precisione quante fabbriche hanno già interrotto le attività produttive e quante stiano per farlo. Non è solo la chimica che paga i prezzi della crisi, ci sono le fabbriche dell’indotto, le aziende che lavorano in sub-appalto, quelle che hanno piccole o piccolissime dimensioni (uno, due o tre lavoratori) che rischiano costantemente la chiusura. E mai come in questi mesi la Regione sarda mostra la sua totale incapacità nell’affrontare problemi così delicati e importanti ai fini della difesa dell’occupazione.
Il caso della Rockwool è indicativo della superficialità con cui opera la Giunta. Questa fabbrica, ubicata nel Sulcis, lavora la lana di roccia, materiale che viene usato come coibentante nel settore edile; è considerato un prodotto innovativo per la riqualificazione urbana. Dovrebbe quindi ricevere una particolare attenzione da parte della regione; una struttura produttiva all’avanguardia come la Rockwool, se davvero si vogliono realizzare cambiamenti importanti sia per quanto riguarda l’innovazione sia per quanto riguarda il risparmio energetico, dovrebbe ricevere degli incentivi adeguati. Lo stesso governo non dovrebbe comportarsi da spettatore neutrale tanto più che, nel corso della campagna elettorale, ha assunto impegni precisi finalizzati al rilancio delle attività industriali e alla promozione di nuove opportunità lavorative.
Ma chi governa invece prende le distanze dalle ragioni della crisi: la multinazionale danese che è proprietaria dell’azienda, sostiene che ci sono gravi problemi di sostenibilità perché un nuovo stabilimento sorto in Croazia produce lo stesso materiale a costi inferiori.
In Sardegna siamo abituati a subire i ricatti di imprenditori che minacciano la chiusura delle fabbriche al fine di ottenere nuovi sostegni finanziari. Ma in questo caso specifico, dove un’intera area geografica, il Sulcis appunto, rischia di precipitare in una crisi gravissima, non appare impossibile raggiungere un accordo che garantisca la continuità produttiva e la difesa dell’occupazione, tanto più se accompagnata dalla validità dei materiali usati per la riqualificazione urbana. Perché non provarci?
24 Maggio 2009 alle 12:22
A m.m. sulla laurea a Gheddafi: qualche precisazione. La proposta della Facoltà di Giurisprudenza di SS dovrà passare, come tutte le proposte del genere (non c’è nessun errore formale), per l’approvazione del Senato Acc., che potrà anche bocciarla, e speriamo proprio che la bocci. Proprio perché si tratta di una proposta non difendibile sulla base di riconosciute e riconoscibili produzioni scientifiche del colonnello Gheddafi. E sarebbe una laurea in diritto internazionale. Per uno che non ha mai firmato la convenzione di Ginevra, non c’è male… E dunque, primo punto: l’Università non può dimenticare che deve conferire titoli meritati. Quanto all’esagerata antipatia del mondo occidentale per uno che viene da un paese verso cui siamo stati colpevoli, parliamo dell’oggi, e della inopportunità politica di dare oggi una laurea HC al colonnello, in giorni di ‘respingimenti’ verso la Libia di disperati che non si sa neppure se possano avere il diritto (internazionale) di asilo. La laurea sarebbe stata sollecitata (intermediario Pisanu) da ambienti governativi (e chi è al governo? non sarà quello che si è accordato con G. per i respingimenti?) e sarebbe debitamente compensata all’Università di Sassari con una munifica elargizione in denaro. E siamo punto e a capo: le Università non devono essere in vendita e devono invece essere debitamente sostenute dai finanziamenti statali (quelli che d’ora in poi rischiano di arrivare solo alle Università compiacenti). Qui sta lo SCANDALO!
21 Marzo 2011 alle 05:30
[…] Cavaliere? Contrastati dai giuristi cagliaritani, ma guardati con simpatia da settori importanti della sinistra sassarese, sostennero la loro proposta fondandola sull’impegno antimperislista del Colonello. E se […]