Non una di meno
1 Dicembre 2016Cristina Ibba
Il 25 novembre, in tutto il mondo dal 1999, si celebra la lotta contro la violenza sulle donne in onore alle sorelle Maribal, combattenti , resistenti che il 25 novembre 1960 furono assassinate dal dittatore della Repubblica Dominicana Rafael Trujillo.
E’ ormai arci noto che l’80% della violenza sulle donne avviene dentro le mura domestiche per mano di mariti, amanti, figli e padri, incapaci di rapportarsi con donne che vogliono percorrere la strada dell’indipendenza, dell’autonomia, dell’autodeterminazione. Con uno sguardo più attento sul nostro quotidiano , si riconosce che la violenza maschile non è frutto di un raptus, né la manifestazione di una patologia, ma è un problema politico, un fenomeno strutturale e trasversale che ha origine dallo squilibrio nei rapporti di potere tra i sessi.
Non è quindi pensabile di poter ridurre la violenza sulle donne con politiche securitarie, giustizialiste, forcaiole. La violenza di genere non è una questione di ordine pubblico , è ben altro. Ormai la nostra società non può più fare a meno di affrontare il problema , ma lo fa senza mettersi minimamente in discussione, senza mettere minimamente in discussione la “sacra famiglia” dove avvengono i peggiori delitti, senza mettere in discussione il rapporto tra i sessi, senza mettere in discussione i ruoli e gli stereotipi di genere.
E’ molto più semplice , più accomodante per tutti trasformare le donne in vittime da tutelare, da proteggere, per le quali richiedere leggi speciali. Questa immagine è senz’altro la più pericolosa, quella da contrastare a tutto tondo.
La rappresentazione più terrificante viene fatta in questa ricorrenza da tutti i media (tv, giornali e anche “pubblicità progresso”): è quella della donna livida, sanguinante, con le vesti strappate, impotente, passiva, spesso rassegnata. E’ una rappresentazione che non intacca minimamente l’humus culturale dal quale si genera la violenza , bensì la rafforza, la amplifica. E’ una narrazione che rassicura il patriarcato pechè mostra l’incapacità di raccontarsi diverse. Ma in tante piazze, come anche a Cagliari, la narrazione è stata diversa, molto diversa.
Le Tambura Battenti con la forza sciamanica dei loro tamburi , hanno materializzato in suoni i sogni delle donne , la loro grande forza, la loro voglia di realizzare ciò che desiderano. E le donne che danzavano intorno non erano affrante, rassegnate, tristi. Erano felicemente rivendicative, autodeterminate, portatrici della più grande rivoluzione culturale di tutti i tempi.
Grazie Tambura.