Come voltare pagina
16 Settembre 2012Mariano Carboni
Quando ci si trova sull’orlo del precipizio viene spontaneo dire che sarebbe necessario voltare pagina. Ma come si può voltare pagina? Cosa si deve fare per promuovere lo sviluppo e salvaguardare l’occupazione? Si possono riproporre i metodi del passato? Il sindacato può gestire passivamente la chiusura delle aziende ed accompagnare i lavoratori dentro il bacino della disoccupazione? Bastano le prese di posizione eclatanti e l’occupazione dei silo? Dico con chiarezza che è arrivato, per tutti, il momento della responsabilità! Penso che non si possano avere molte chance sé si continua a ragionare con gli schemi del passato, che hanno prodotto un quasi disastro sociale, e sé non si ha il coraggio di sostenere posizioni coraggiose anche a rischio di essere impopolari. Voglio iniziare dal modo di ragionare di noi sindacalisti. Non credo che ci sia un solo dirigente sindacale così ipocrita da non vedere che il nostro tessuto produttivo si scontra con una crisi di difficile soluzione. Ci siamo detti, in tanti convegni, in più di una circostanza, che avremo dovuto abbandonare le attività decotte, sviluppare i settori a basso impatto ambientale, tenere conto delle nostre peculiarità geografiche e territoriali e porci il problema del risanamento ambientale. A che punto siamo arrivati? La classe dirigente regionale è riuscita ad essere conseguente? L’ascolto di un semplice telegiornale è nella condizione di fornire le risposte a questi interrogativi. Assistiamo quotidianamente al solito bollettino di guerra. E allora cosa bisogna fare? Continuo a pensare che il punto di partenza siano le infrastrutture e non credo che il tema del miglioramento del differenziale di competitività sia più rinviabile. Siamo in forte ritardo! Mi rifiuto di pensare che ci siano persone, con un minimo di sale in zucca, che pensano che la crescita infrastrutturale sia funzionale alle logiche industriali. Tutti sanno che adeguate infrastrutture sono indispensabili per lo sviluppo di vari settori, ivi compresi i comparti turistici ed agropastorale. Basti pensare ad i costi ( Aereo e o Nave ) che devono essere sostenuti dai soggetti che vogliono venire in Sardegna durante la stagione turistica. Pensiamo davvero che in un momento di grande crisi, di contrazione delle buste paga ed incremento del costo della vita, che la buona cucina e la macchia mediterranea, sono in grado di orientare le scelte turistiche di migliaia di famiglie che sono in difficoltà e devono centellinare le risorse a disposizione? Possiamo dire di essere competitivi nel rapporto qualità prezzo, rispetto a tante altre offerte provenienti dal bacino del mediterraneo? La risposta è negativa! Non siamo competitivi! E poi dico, con altrettanta chiarezza, che non credo che si debba, sempre e comunque, guardare con sospetto l’attività industriale, perché si mette in relazione la produzione con l’inquinamento. Ci sono settori a bassissimo impatto ambientale che sono entrati in crisi e che andrebbero sostenuti. In questo momento abbiamo bisogno di creare almeno 100.000 posti di lavoro, e questo risultato non si può ottenere senza rilanciare il settore industriale ambientalmente sostenibile. Per fare questo serve creare un minimo di condizioni di base. Certo, mi rendo conto che per la realizzazione delle infrastrutture e per il risanamento ambientale servono importanti investimenti ed un’adeguata dotazione di risorse. Però, mi permetto di rilevare che è altrettanto vero che i problemi della Sardegna non derivano dall’assenza di risorse, ma dall’incapacità di pianificare gli investimenti e correggere le storture strutturali. Inoltre, trovo non secondario iniziare a ragionare su un atro punto qualificante. Sono anni che, in Sardegna, abbiamo decine di migliaia di lavoratori che stanno beneficiando degli strumenti di ammortizzazione sociale. Percepiscono, giustamente, un sostegno al reddito a causa delle difficoltà delle aziende di appartenenza. È sconcertante sostenere che tutte queste persone possono essere utilizzate per il bene della comunità regionale? Io credo che sia più sconcertante ed umiliante dover prendere atto del fatto che presso l’Assessorato del Lavoro e l’INPS giacciono migliaia di richieste di cassa integrazione e mobilità in deroga, con notevoli ritardi nel pagamento delle competenze, a causa dell’esiguità del personale a disposizione. È possibile che in mezzo a migliaia di lavoratori in cassa integrazione nessuno è nella condizione di dare una mano? E poi, una parte di questo personale non potrebbe essere utilizzato per iniziare ad occuparsi del miglioramento dell’edilizia scolastica, per il recupero degli edifici pubblici, per il risanamento ambientale, di aree compromesse, e per prendersi cura del verde pubblico? In che condizione è la nostra montagna? Avere il coraggio di sostenere scelte adeguate significa dire che le persone che percepiscono un sostegno al reddito devono essere messe a lavorare. Aggiungo, che una volta che si mette in moto la macchina non sarebbe altrettanto scandaloso, rivendicare per le persone che lavorano un incremento dei massimali della Cigs, e sostenere che chi viene utilizzato per il bene comune debba avere una retribuzione in linea con quanto previsto dai contratti nazionali. Servirebbero poche risorse aggiuntive per avere a disposizione migliaia di persone che iniziano a creare le condizioni per un minimo di ripartenza. Sé a queste dovessero aggiungersi ulteriori risorse per gli investimenti infrastrutturali saremo nella condizione di provare ed evitare un disastro dalle proporzioni incalcolabili. Serve coraggio e determinazione! Anche il sindacato ci deve provare!