Nord-Africa. Così lontano, così vicino

1 Aprile 2011

Francesco Mattana

Più che un’intervista, questo è il resoconto di una piccola tavola rotonda che abbiamo imbastito sui temi caldi del Maghreb.  Abbiamo interpellato la professoressa Bianca Maria Carcangiu, docente di Storia dell’Africa in Scienze politiche, e i giovani
africanisti della facoltà. L’entusiasmo e la competenza di questi giovani studiosi non si ferma all’attività universitaria, ma si allarga alla gestione del Centro di studi africani in Sardegna, con un sito, www.affrica.org

, che monitora costantemente la situazione incandescente del continente nero.

Partiamo da quella che, con una semplificazione mediatica forse eccessiva, è stata definita Primavera araba. Stiamo realmente assistendo a una Primavera?
Come dici tu, è una semplificazione mediatica. La superficialità dei media vuol darci a credere che il Maghreb  e il Vicino Oriente, area vastissima e diversificata culturalmente, sia riducibile a un unico comun denominatore. E poi, se proprio vogliamo parlare di Primavera, di certo non si risolvono in poche settimane situazioni sclerotizzate da decenni!
Sicuramente c’è un grosso sommovimento, che peraltro gli analisti non erano stati in grado di prevedere. Hanno sottovalutato quel che stava ribollendo nella pentola del nord-Africa.
Aggiungiamo che c’era una disinformazione generale riguardo alle forme politiche di questi paesi. In Tunisia, di fatto, c’era una dittatura e nessuno ce lo diceva. C’era l’interesse a non dirci una parola perchè la Tunisia era un serbatoio di turismo molto importante, con circa 400.000 italiani l’anno.
Una parola inoltre su chi la ‘Primavera’, in questo momento, non può nemmeno sognarsela. E’ l’Algeria, dove nonostante il malessere sociale che cova, i cittadini hanno una paura matta di scendere in piazza. In questo periodo organizzano i ‘sabati della collera’, ma i tremila partecipanti devono scontrarsi con la resistenza di trentamila poliziotti!

Ma chi ha animato la ‘rivoluzione dei gelsomini’che obiettivo aveva?

Riguardo alla Tunisia possiamo dire con sufficiente certezza che l’obiettivo dei ‘rivoltosi’ era la libertà d’espressione e lenire il malessere sociale. Da notare oltretutto le affinità fra la situazione tunisina e italiana: in Tunisia un laureato in lettere si ritrova a fare il tassista, in Italia fa il call centerista. La Tunisia aveva un leader anziano, così come il nostro premier non è più un giovincello…

Il caso libico è un caso a parte, e se ne accorgono anche i profani che non studiano a fondo la materia. Cosa c’è di diverso rispetto al resto del Nord-Africa?

La Libia è un paese diverso da Marocco, Tunisia, Algeria, per non parlare dell’Egitto. La Libia, è noto, è stata costruita dal colonialismo italiano, ed istituzionalizzata dal Consiglio delle Nazioni Unite, quando ha decretato la sua indipendenza nel 1950-51. Fino al ’69 è stata retta da una monarchia con sfondo religioso molto forte (ma non islamico, attenzione): Re Idris dominava la Cirenaica e parte dell’Africa sub-sahariana. La Cirenaica è molto diversa dalla Tripolitania, è stato il colonialismo italiano a unire i territori.
Col colpo di stato del ’69 arriva Gheddafi, e la sua ambizione di riportare la cultura araba al centro della scena. L’arabo diventa l’unica lingua da apprendere, e l’Islam diventa religione ufficiale. A partire dalla compilazione del Libro Verde, nel ’75, l’uomo comincia decisamente a perdere colpi, diventando sempre più intollerante e oppressivo. Naturale che ci siano state opposizioni in tutti questi anni, ma gli oppositori hanno preferito scappare dalla Libia.

E più di recente, cosa è accaduto?

Gheddafi da alcuni anni gode dell’appoggio dell’Africa subsahariana, ed è questo il vero movente che ha modificato la geopolitica mediterranea. Gheddafi è il vero deus ex machina dell’Unione Africana, nata nel 2002. Ha visitato tutta l’Africa subsahariana, ha offerto tanto denaro a regimi infinitamente corrotti, e ha favorito la conversione all’Islam, con costruzione di nuove moschee. Una conversione fasulla, ovviamente, perchè quando parliamo di Africa subsahariana parliamo di popolazioni che professano prevalentemente culti animistici, per cui il Cristianesimo e l’Islam sono solo degli innesti.
L’Unione Africana, che fino a qualche settimana fa criticava le mosse di Gheddafi, ora non è d’accordo coi bombardamenti euro-americani.
E a proposito di bombe, la conquista della Tripolitania da parte dell’Italia risale al 1911, quindi sono passati cent’anni. Come vede festeggiamo il centenario in modo molto particolare, lanciando nuovamente bombe…

Altro elemento fondamentale per interpretare la situazione in Libia: chi si ribella al regime non è affatto un blocco compatto e monolitico, ma è piuttosto un mosaico etnicamente e culturalmente molto variegato. Giusto?
La situazione è molto più complessa e articolata di quanto vogliano farci credere certi organi di stampa. Non abbiamo ancora capito chi c’è dietro Bengasi, e quali sono le reali motivazioni che li animano. Abbiamo capito senz’altro che l’obiettivo è il rovesciamento di Gheddafi, ma dopo il rovesciamento quali mosse intendono fare?E’ un rebus, che di certo i media non ci aiutano a capire!

Media che hanno tutto l’interesse, un po’ per semplificare, e un po’ per compiacere i poteri forti, a parlare di ‘esportazione della democrazia’…
Proprio così. C’è una visione eurocentrica, per cui si parte dal presupposto che questi paesi non vedano l’ora di arrivare a una democrazia parlamentare in senso occidentale. Mentre l’unica regione in cui è probabile una svolta democratica in senso occidentale è la Tunisia, poiché c’è una lunga tradizione di statualità. Tradizione che in Libia, assolutamente, non cè. Ma anche in Egitto, i risultati del recente referendum ci descrivono un paese che molto probabilmente desidererà, legittimamente, consegnarsi nelle mani dei Fratelli Musulmani. E allora che faremo noi europei?Prima invochiamo la democrazia, e poi interverremo militarmente perchè, con libere elezioni, il popolo avrà eletto i Fratelli Musulmani?
In questa fase, il paese più pericoloso da questo punto di vista è la Francia. Pericoloso non solo per l’interventismo muscolare di Sarkozy, ma anche per lo sciovinismo che anima i cittadini francesi. Proprio di recente abbiamo avuto ospite un professore francese, che nonostante il suo comprovato valore, ci ha deluso nella sua difesa piuttosto acritica di Sarkozy

Mentre in Italia, come sempre, ci distinguiamo per posizioni che sfociano nel ridicolo…

Delle esitazioni di Berlusconi si ride per non piangere. Noi italiani abbiamo tutto da perdere in questo conflitto con la Libia, a differenza della Francia che invece non è un partner economico prioritario della Libia. La Lega Nord, come è sua tradizione, si distingue per interventi rozzi, che oltre a mostrare la loro inettitudine politica, dimostrano ancora una volta quanto siano impreparati sul fronte internazionale. I leghisti continuano a chiedere garanzie, ma non si sa bene a chi. Chiedono il rispetto del trattato italo-libico, ma a chi lo chiedono? Il provincialismo è l’aspetto più grottesco, e forse per questo il più drammatico, della politica italiana quando si occupa di affari esteri.

Proviamo a fare delle ipotesi sul futuro, anche se è molto difficile. Alla fine prevarrà l’orgoglio  di Gheddafi, o la linea più dialogica del figlio Saif?

Prevarrà verosimilmente il dialogo. Ma Gheddafi, per quanto si senta perduto, continuerà ad andare avanti, forte di un consenso che è difficile da quantificare. Non sappiamo se goda di un consenso maggioritario o minoritario all’interno della Libia, ma di sicuro l’uomo sa usare le parole giuste per colpire il cuore della gente. Di sicuro chi gli sta vicino occupa posizioni di potere molto forti, ed è il motivo per cui ancora oggi nessuno sa se Gheddafi vincerà o perderà la guerra.
Una volta che i venti di guerra si placheranno, sarebbe poi ora di creare i presupposti per una buona politica cooperativa fra i paesi del Mediterraneo. Finora ci si è limitati a fare dei proclami. ‘Cagliari capitale del Mediterraneo’, si dice, ma proprio a Cagliari non c’è un collegamento diretto con Tunisi!

L’Africa, è noto, ha conosciuto un’altra stagione di grandi sommovimenti a metà del novecento, quando si chiuse la parentesi del colonialismo. Le buone intenzioni c’erano già allora, ma sappiamo che i problemi dell’Africa sono ancora lì davanti ai nostri occhi. Questa nuova ‘Primavera’ cambierà veramente la faccia dell’Africa?
Le differenze rispetto a cinquant’anni fa sono enormi. Diversi sono gli obiettivi di chi si ribella, e diversi sono i mezzi di comunicazione. I giovani comunicano le proprie emozioni con Twitter, e quel che leggiamo sono commenti appassionati e partecipi di una generazione che vuole veramente cambiare le cose. Quindi si può verosimilmente credere che il web sarà un alleato molto efficace per scalzare i vecchi tiranni.

1 Commento a “Nord-Africa. Così lontano, così vicino”

  1. Marcello Madau scrive:

    Ieri ci siamo trovati a discutere di noi, giornale, redazione, scelte, differenze. Joan, mi hai dato una grande emozione, e ci hai dato una scossa, e siccome le cose belle si riprendono, riprendo la più semplice, la più apparentemente ideologica, la più vera: internazionale, futura umanità. Le altre le ricordo, le aspetto su queste colonne, caro joan, perchè ci servono.
    Io di fronte a queste persone che non possono neppure scappare dove vogliono, corpi vivi e corpi morti in terra e mare, malvestite e nude, umiliate nei nostri campi di concentramento, che fuggono fra gli alberi, provo un forte ribrezzo per inni, patrie, bandiere nazionali.

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