Notti padane: il poeta coi baffi

16 Aprile 2010

bialetti

Valeria Piasentà

Chiude la Bialetti, azienda affacciata sul lago d’Orta, nei pressi di Omegna e di eccellenze italiane del design come Alessi. Era il 1933 quando Alfonso Bialetti inventò la moka, dopo le applicazioni partite negli anni ’20 osservando una lavatrice, declinando la leggerezza dell’alluminio a un oggetto d’uso. Prima c’era la ‘napoletana’, col corpo distinto in due parti ma una differenza funzionale che si fa sostanza: la napoletana viene ribaltata e l’acqua bollente percola lentamente attraverso il caffè deponendo il liquido nel serbatoio; la moka utilizza invece il vapore che spinge l’acqua velocemente nel filtro per estrarre una bevanda più profumata e meno forte. Qui sta la fortuna del brevetto, ceduto poi dai Bialetti. Nel dopoguerra, grazie anche a un pubblicitario di razza come il novarese Beldì (uno dei padri di Carosello e del regista che lavora oggi in RAI; i documenti, ancora da catalogare, sono stati donati dal figlio all’Archivio di Stato di Novara) dalla caricatura di Bialetti nasce l'”omino coi baffi”, logo dell’azienda che prima vendeva 10.000 unità l’anno nei mercatini dove si spostava l’ambulante Bialetti e ora col figlio Renato lancia i suoi manifesti e la pubblicità; un cartone animato di successo disegnato da Paul Campani e con la voce di Pisu: «sì, sì, sembra facile»; fino alla Fiera di Milano del ’56, per la quale Beldì progetta una sorprendente fontana sospesa e a forma di moka. Bialetti con la tecnologia ha modificato la cultura degli italiani, ha influito sulla socialità quando il caffè da genere maschile esce dai bar ed entra nelle case per incontrare la donna e le sue spinte emancipatorie, fino a comporre un gesto nuovo del corpo. Lavorare sul corpo e sulla quotidianità modifica la percezione di noi stessi e ci relaziona diversamente col mondo: quella di Bialetti è stata una rivoluzione silenziosa, tanto più pregnante quanto più domestica.
Il Guinness dei primati ci dice che il 90% degli italiani possiede una moka: è su invenzioni tanto geniali quanto semplici come questa che si appoggia il mito del ‘genio italico’, o meglio, che si appoggiava. Possiamo quindi ipotizzare che anche un oggetto d’uso sia da proteggere al pari di un’area naturalistica, un animale in estinzione, una libreria storica, specie quando l’oggetto è caricato di numerose valenze e inserendo la sua produzione in un territorio lo modifica? e che anche a queste protezioni servirebbe la politica? Invece la produzione novarese della Bialetti, in crisi da alcuni anni dopo fusioni (sono confluiti i marchi: Rondine, Aeternum, Girmi, Faema) e lanci in Borsa, ora chiude per delocalizzare. Lo stabilimento si sposterà in un Paese dell’Est dove il lavoro costa meno e i lavoratori sono meno garantiti. Così 120 lavoratori novaresi insieme alle famiglie e a un vasto indotto perderanno una fonte di reddito; il territorio verrà deprivato anche di una esperenzialità caratterizzante, d’un tratto impoverito come se si spegnesse una luce (accendendo la notte della ragione?) per le regole selvagge del mercato finanziario dominante sulle vite degli uomini, la loro politica e la cultura di un territorio. In una regione, il Piemonte, che ha già pagato alla crisi più del settentrione restante: nel 2009 le ore di cassa integrazione hanno doppiato i dati percentuali nazionali; la disoccupazione si concentra fra i giovani sotto i 25 anni -gravando sulle famiglie -con il 19% circa contro il 5,5 nazionale; a fine 2009 si sono contate 38.000 persone in mobilità, quasi il 40% in più rispetto al 2008 (dati: assessorato regionale Welfare e Lavoro). Il presidente del consiglio nega la recessione del Paese, ma quali indicatori rilevano il momento in cui si entra in fase di recessione conclamata? Certo i recenti dati ISTAT, ma forse anche il racconto di storie come questa della Bialetti. Perché un Paese che a parole eleva il potenziale creativo dei suoi cittadini fra i vanti nazionali, mentre nei fatti umilia sistematicamente l’arte e la cultura perdendosi pezzi di storia e di identità per il privilegio di pochi e la miopia della sua classe dirigente tutta, allora quel Paese è in grave crisi recessiva e in grave crisi di identità: che è crisi economica ed etica a un tempo. Se la situazione ci allarma ricominciamo ad ascoltare le parole dei poeti: Giancarlo Majorino ha appena pubblicato La dittatura dell’ignoranza per Tropea. In questo breve, prezioso e spietato saggio, il poeta milanese ci racconta le nostre «vite trasformate in vitette» da «una dinamica sudditanza diffusa, inalata quasi senza avvedersene minuto dopo minuto, una sorta di aria dell’aria confusamente composta da: comunicazioni di massa, sfrenato bombardamento pubblicitario, istituzione permanente della spettacolarità, progressiva sostituzione del linguaggio con le immagini, sottovalutazione del pensare o ragionare, dipendenza da stereotipi, scollamento dalle ricerche della cultura e dell’arte, dominio del Denaro e del Potere, netta benché spesso mascherata divisione fra chi ha, e quindi è, e chi non ha, e quindi non è».
I nostri corpi -come quelli degli operai Bialetti? – vengono trasformati in perfette macchine dalla ‘dittatura dell’ignoranza’ che vince senza bisogno di eserciti, grazie alle sue infinite risorse e al suo imperativo «credere, obbedire, comprare» poi scomparire «immondizia simile a quella lasciata dovunque, strabordante dai cassonetti, impestante.» Un lago piemontese e le sue genti, un ‘omino coi baffi’ e la sua caffettiera rivoluzionaria, un poeta che coniugando arte e realtà svela la menzogna del potere arrogante e amorale, tutti fanno parte del gran caleidoscopio padano tuttavia hanno perso chi li rappresenta, perché (scrive Majorino) «è possibile andare al potere se non si è ignoranti? se si rispettano, si adottano addirittura i modi e i caratteri “noncuranti” della crescita di ciascuno, della libertà di giudizio, della ricerca di felicità adeguata?».

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