Notti padane. Non è un mestiere per donne
22 Febbraio 2014Valeria Piasentà
Torino, fine Ottocento. Una giovane si presenta a Giacomo Grosso, docente e poi direttore dell’Accademia Albertina di Belle Arti. Ha lasciato gli studi magistrali per dedicarsi a quelli artistici e vorrebbe studiare pittura nel corso di Grosso, artista di fama. Lui la guarda, aggrotta le sopracciglia e dice “Ma cosa fa qui lei, non sa che le donne devono stare a casa a fare la calza? Non voglio donne nel mio corso”. Lei mostra la cartella dei disegni. “Accidenti ma questa ha la mano di un uomo”, così Grosso l’accetta come sua unica allieva donna, però: “Lei dovrà lavorare il doppio dei suoi colleghi maschi!”. Fu così che Evangelina Alciati divenne una delle più apprezzate pittrici del primo Novecento italiano. (AAVV Evangelina Alciati 1883-1959. Chiara profonda intelligente pittura, Fabiano, 2007). A fine Ottocento, in tutta Europa, le artiste non erano più del 20/25% del totale. Alla Biennale di Venezia fra il 1995 e il 2011, le donne hanno rappresentato circa il 25%. Al Metropolitan di New York meno del 5% delle opere esposte sono lavori di donne, l’83% sono nudi di donna. La discriminazione di genere è il risultato di un ambiente costruito, gestito, fruito da uomini per artisti uomini. Il mondo dell’arte è misogino, tutt’ora vige il pregiudizio che la donna-artista non abbia mai conquistato e non conquisti fama e quotazione per una sorta di difetto genetico: “La donna di genio non esiste e quando ciò accade essa è un uomo” (così, nel 1981, Pollok cita una affermazione di Uzanne del 1912). Secondo questo pensiero, lo stereotipo di donna artista – pur di talento – non potrà superare un dilettantismo istintuale dalle capacità cognitivo-funzionali limitate “di donne viste come artiste emotive e intuitive, (il che) consentiva ai critici di tenerle nettamente distinte dal mondo artistico degli uomini, ritenuti unici detentori di quel settore – l’arte – vasto, grandioso, intellettuale nonché decisamente remunerativo” (P. Mc Craken, La (in)visibilità sociale di Artiste e Designer in: AAVV Arte a parte: donne artiste fra margini e centro, F. Angeli, 2000).
E’ passato oltre un secolo dall’ingresso di Evangelina all’Accademia di Torino, molte cose sono cambiate per le donne, tuttavia ancora oggi ci sono mestieri considerati inadatti al genere femminile. Tutti quei lavori che implicano una presa di potere. Nella UE del 2011 gli insegnati della scuola primaria sono per l’85% donne, nella secondaria il 59%; all’università, in tutti i ruoli accademici, le donne sono al 40% circa. Nelle università italiane, a fronte dell’82% di docenti ordinari uomini, solo il 18% sono donne. Mentre già a partire dagli anni ’80 la popolazione studentesca femminile ha raggiunto il 50% del totale: nel 2006 erano iscritti circa 1.800.000 universitari, il 56,3% donne e il 43,7 uomini; nel 2007 si laureano il 57,5% di donne il 42,5% di uomini, su 297.818 unità. Ancora nel 2006 in Italia la somma dei docenti di ruolo era costituito per il 67% da uomini e per il 33% da donne, ma le percentuali divergono sempre più mano a mano che procede la carriera (dati MIUR). E’ possibile ipotizzare che qualcosa non funzioni già a partire dalle operazioni di ingaggio? e che – oltre alle limitazioni imposte alla donna da uno Stato sociale sempre più inadempiente – questo sia il frutto avvelenato di un sessismo strisciante e subdolo, risultato di una millenaria e stratificata cultura del potere al maschile assurta al ruolo di vox populi e radicata nell’inconscio collettivo, atto a mantenere le donne quanto più lontane possibili dai ruoli decisionali?
Il panorama politico nazionale riflette il mercato delle professioni. Ci siamo tutti recentemente emozionati scoprendo un parlamento italiano molto giovane e femminile. La quota rosa nella XVII legislatura è pari al 30,6% degli eletti. Tuttavia, un interessante analisi di agosto 2013 condotta dall’istituto di sondaggi YouTrend-Quorum (www.youtrend.it) ci racconta una realtà territoriale molto diversa “su scala nazionale la percentuale complessiva di consiglieri regionali donne è pari al 13,9%”. Quindi i nostri amministratori, cioè coloro che per l’appunto ‘amministrano’ il frutto della tassazione sui territori, sono uomini. E’ interessante la disanima geografica, con le eccezioni del Veneto al 5%, per la forte presenza del partito più maschilista del panorama nazionale: la Lega Nord; e della Campania al 25%, per una diversa legislazione elettorale con una doppia preferenza ‘di genere’. Questi i dati: “’Regioni Rosse’ 18,54% di donne, ‘Nord Ovest’ 16,7%, ‘Nord Est’ 14,5%, ‘Centro Sud’ 15,4% e ‘Sud e Isole’ 8,7%”. Solo due donne, del Pd, sono al governo delle loro regioni: Marini in Umbria e Serracchiani in Friuli Venezia-Giulia. Questa è la relazione fra donne elette e coalizioni: al primo posto troviamo i 5stelle, seguono sinistra e centrosinistra, infine centrodestra e buon ultimo il centro. La sorpresa arriva dal numero di elette incrociato coi livelli di secolarizzazione. Ne risulta che si eleggono più donne là dove più si va all’oratorio, alla messa delle 11 in Duomo, e si devolve l’8×1000 alla chiesa cattolica.
La politica non è un mestiere per donne. Ce lo rammenta anche papa Francesco che “Le donne sono naturalmente inadatte per compiti politici. L’ordine naturale e i fatti ci insegnano che l’uomo è politico per eccellenza, le donne da sempre supportano il pensare e il creare dell’uomo, niente di più”. La dichiarazione è del 2007 e potrebbe trattarsi di notizia infondata, seppur mai smentita. Tuttavia rappresenta plasticamente un sentimento maggioritario: il luogo della donna è la casa, ad accudire marito e figli (centralità della famiglia: si comprende così la scarsa presenza di elette nelle liste di Casini); se lavora lo deve far per motivi strettamente economici e in ruoli subordinati; soprattutto non deve avere ambizioni personali né tantomeno tentare di avvicinarsi alle sfere dei poteri politico, economico, religioso, culturale. In questo contesto sorprende un sondaggio dell’Istituto Piepoli, uscito il 13 febbraio, secondo il quale il 74% degli elettori di centrosinistra, il 70% di centrodestra e il 72% del Movimento 5stelle, sarebbero propensi a votare per uno schieramento a guida femminile. E’ pur vero che, nella condizione in cui si trova il Paese, si tenta il tutto per tutto …
Con queste premesse possiamo ancora chiederci come è potuto accadere che il ricorso di Mercedes Bresso, relativo ai conclamati brogli elettorali piemontesi, abbia avuto un decorso positivo solo dopo quattro anni dalle elezioni regionali? Soprattutto, che Bresso si sia dovuta esporre in prima persona senza il supporto del suo partito? Domandiamoci cosa sarebbe accaduto se al posto di Mercedes Bresso ci fosse stato un Marco Bresso. E questo oltre qualsiasi altra considerazione di carattere personalistico, piuttosto che relativo alle lungaggini della macchina legislativa italiana, ecc. Almeno noi donne impariamo a distinguere.