Nuit Debout
16 Aprile 2016Gianni Loy
La cosa più penosa, è l’indifferenza. Da settimane, tutta la Francia è attraversata da una imponente serie di scioperi e manifestazioni. Molte scuole sono occupate.
Centinaia di studenti, tutte le sere, si danno appuntamento in Place de la Repubbliche, a Parigi, per dibattere, informarsi, progettare. I tempi sono contingentati. A ciascuno sono concessi 15 minuti per presentare la propria idea. Espongono i loro programmi in un lungo pannello che sarà distrutto dalle forze dell’ordine. Ma essi, pazientemente, lo ricostruiranno all’indomani, quando si riapproprieranno della piazza per riprendere il discorso. Il movimento, nato a Parigi, si è esteso nelle piazze delle principali città di tutta la Francia.
Quel movimento si chiama Nuit debout, notte in piedi. Anche gli scioperi si ripetono, l’ultimo, sabato scorso, ha visto un lieve calo nella partecipazione, ma i lavoratori non mollano, proseguono i loro raduni ed i loro scioperi.
La cosa più penosa è il fatto che gli echi di questa imponente rivolta sociale, quest’ultima grande battaglia contro l’omologazione di nostri fratelli francesi (possiamo chiamarli così nonostante l’irreprimibile voglia di sciovinismo che spesso li caratterizza) non riesca a superare le frontiere. Le regole della globalizzazione, stavolta, non funzionano. La rete, tanto idolatrata, sembra atrofizzata. I nostri compagni francesi riescono a paralizzare il centro delle principali città, a bloccare l’intero sistema educativo, e noi quasi neppure ce ne accorgiamo.
Perché? Il perché non è importante, non fa notizia. Non fa notizia soprattutto per i lavoratori italiani. Essi, quando è toccato a loro, a noi, il sacrifico di rinunciare al patrimonio di tutele nel lavoro conquistate con secoli di lotte, lo hanno fatto senza neppure spendere un’ora di sciopero.
Sarà per questo. Sarà che per noi è orami banale, deja-vu. Noi il jobs act l’abbiamo già. Ai francesi stanno per concederlo, simile se non peggiore del nostro, ed invece si dimenano, coinvolgendo pesantemente, ed è questo il dato ancora interessante, , i giovani di tutto il paese.
Noi no. Qualche sciopero contro il jobs act l’avremmo anche potuto proclamare, ma poi è corsa voce che la riforma più dura da inghiottire, il contratto a tutele crescenti, quello che ti possono licenziare senza giustificazione alcuna, mettendoti sotto il naso un assegno già firmato, quello almeno ce lo saremo risparmiato. Così, l’ultimo tocco della stagione delle riforme è stato un tocco da maestro. Una legge fatta per chi ancora non lavora.
In Francia non è andata così. La sostanza è pressoché identica, rispetto a noi perdono in più il mito delle 35 ore settimanali, la loro grande storica vittoria. Ma è difficile, per noi, capire quella loro protesta, per noi che di ore alla settimana possiamo già farne 72, per noi che possiamo già lavorare liberamente anche 12 ore al giorno (ve le ricordate le 8 ore…), senza neppure aver diritto ad una maggiorazione per straordinario.
In materia di licenziamento, il loro jobs act non è molto diverso: via le tutele ed un piccolo risarcimento economico in cambio del licenziamento illegittimo. E poi lo sbaraccamento del contratto collettivo nazionale: tutto sarà contrattato all’interno dell’azienda, anche piccola, dove come è noto la forza dei lavoratori, soprattutto di questi tempi, è irresistibile.
Anche i sacri principi legati ai diritti fondamentali della persona sono scossi. L’art. 61 del disegno di legge, stabiliva addirittura che “la libertà di manifestazione delle proprie idee, comprese quelle religiose” poteva essere limitato, oltreché per l’esercizio di altri diritti fondamentali, anche “per le esigenze di buon funzionamento dell’impresa se proporzionali allo scopo perseguito” …
L’articolo è stato cassato durante i lavori parlamentari, unitamente ad altre parti dell’articolato, nel tentativo di addolcire la pillola e ridurre a ragione la protesta, ma continua a costituire un esempio di come la controffensiva del capitalismo più arrembante sia priva non solo di limiti materiali, ma anche di pudore.
Sotto questo profilo, sì, che siamo globalizzati. Ricordate quando Berlusconi pretendeva di mettere mano nientemeno che all’art. 41 della Costituzione italiana? La norma stabilisce che la libertà di iniziativa privata non può essere esercitata in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
Ma la nuova frontiera, tocca prenderne atto, è quella di sottomettere, tutto, anche i diritti fondamentali, “alle esigenze del buon funzionamento dell’impresa”!
Una frontiera che la destra raramente è riuscita ad attraversare indenne. Berlusconi non ha potuto piantare il gagliardetto della vittoria sopra le ceneri dell’art. 18, perché un forte movimento progressista glielo ha sempre impedito, così neppure Sarkosy ha potuto tanto.
Ma ormai, in Francia come in Italia, sono scese in campo le sinistre. I governi di sinistra si sono rivelati assai più abili ed efficienti in tema di riduzione dei diritti dei lavoratori.
La cosa più penosa è che non nutro nessuna speranza sul successo dei movimenti francesi, quello dei lavoratori e quello dei giovani studenti.
Avranno anche loro la loro porzione di riduzione delle tutele, proveranno anche loro la sconfitta, avranno un’altra, piccola o grande, Waterloo. Anch’essi, prima o poi, applicheranno la ricetta universale prescritta a tutti i paesi dell’Europa del sud, quella ricetta che esclude dalla dieta dei lavoratori tutto ciò che possa ostacolare la salute dell’impresa. Come ingannano i linguaggi. Da qualche tempo a questa parte, alle riforme che hanno progressivamente ridotto i diritti dei lavoratori, in Francia, hanno dato il nome di leggi di “modernizzazione”.
La cosa più penosa è che non avverto neppure l’esigenza di analizzare nel dettaglio la proposta di riforma del lavoro made in France. Perché mi sembra inutile. Ora, stanno cercando di lusingare gli studenti, promettendo misure che facilitino il loro ingresso nel mondo del lavoro. Cercano di alleggerire un piatto della bilancia, per poter vincere al più presto e chiudere anche questa partita.
Gli operai in attesa del prossimo sciopero. E gli studenti in piedi, di notte! Ed il ritornello di una vecchia canzone di Ivan della Mea che insiste: Tocca sperare, Franco, amico mio ….