Nuovo dialogo tra laici e credenti
1 Ottobre 2008
Francesco Cocco
Alcuni amici mi hanno fatto avere le loro osservazioni sul pezzo scritto lo scorso luglio sulla ripresa del dialogo tra laici e credenti. Li ho invitati a formulare le loro osservazioni per iscritto e ad inviarle per la pubblicazione, ma vedo che l’invito non ha sortito alcun effetto. Questo forse per una qualche ragione che va al di là della pigrizia e che mi pare d’individuare nella difficoltà a scorgere un nesso tra spiritualità ed impegno politico nel suo più ampio significato.
Tra chi ha scelto la militanza politica di sinistra, specie nei vari spezzoni che esplicitamente si richiamano al PCI, permane ancora una qualche visione di stampo positivistico ottocentesco, che vedeva una netta separazione tra i temi della spiritualità e quelli della liberazione dell’uomo. Mentre in chi arriva all’impegno politico (non mi riferisco necessariamente a legami partitici) partendo dall’esperienza religiosa permane la tendenza a tenere separati i due campi.
Il risultato è che non emerge in tutta la sua evidenza il nesso evidenziato dall’ ottavo congresso del PCI per cui “un’esperienza religiosa autenticamente vissuta non è di ostacolo ma anzi è di stimolo ad una società socialista”. Oggi potremmo dire ad una società più umana, in grado di superare le contraddizioni del capitalismo. che delle idealità socialiste sappia farsi erede adeguandole alla nuova realtà.
Eppure affrontare questi temi, nell’ottica che seppe indicare il già citato VIII Congresso e che trovarono conferma nel memoriale di Yalta scritto da Togliatti alla vigilia della morte, diventa un aspetto centrale della nuova strategia che deve saper porsi sul solco ideale della miglior tradizione tracciata dal movimento operaio italiano.
Ciò che soprattutto mi spinge a queste brevi considerazioni è che qualcuno degli amici, che ha formulato le sue riflessioni sul mio precedente intervento, sostiene che in fondo oggi il P.D. è il risultato del dialogo tra il movimento cattolico, in gran parte di origine D.C., e gli eredi di alcune rilevanti componenti del movimento operaio, in maggioranza provenienti dal PCI e dal PSI.
Non voglio negare che la “fusione a freddo” tra DS e Margherita sia stata favorita dal precedente dialogo intercorso negli anni 60 tra mondo cattolico e movimento operaio. Quel che però mi preme sottolineare è che allora il dialogo era in un’ ottica profondamente diversa. Era, infatti, sostanzialmente privo di una prospettiva “costantiniana”, o anche di un orizzonte “mondano”. Cioè non era rivolto al potere immediato ma alla ricerca di comuni idealità: un terreno di valori condivisi che consentisse, con l’impegno sia del mondo dei credenti sia di chi aveva un orizzonte laico orientato al socialismo, di affrontare temi decisivi per l’umanità come quelli della pace e del lavoro. La pace per salvaguardare l’umanità dai pericoli della distruzione nucleare; il lavoro come grande valore comune che consentisse di resistere al complessivo degrado che comporta la sua mercificazione.
La “fusione a freddo”di DS e Margherita non pare avere dietro di sé alcuna spinta ideale. La conflittualità presente al centro e soprattutto nelle diverse realtà territoriali è segno della sua natura di mero accordo di potere, che di per sé accentua la conflittualità interna e consente “scorribande di potere”, non essendovi più le idealità a far da diga agli avventurismi.
Ecco perché chi si richiama al miglior patrimonio ideale del PCI ed alla miglior tradizione della religiosità democratica dovrebbe avere la forza di riprendere un dialogo che ben lungi dal porsi come accordo di potere miri, per prima cosa, alla ricerca ed alla messa in evidenza di valori comuni.