Padre padrone – Ammentu

16 Gennaio 2011

piras

Natalino Piras

Due mesi fa, sabato 20 novembre,  recensendo “Padre padrone” sulla “Stampa-Tuttolibri” così conclude Massimo Onofri: «Credo si possa dirlo con sicurezza: se Grazia Deledda fu la madre di ogni Sardegna ancorata a riconoscibili codici antropologici, se Salvatore Mannuzzu (in ciò discendente di Giuseppe Dessì), viceversa, resta il figlio d’un disconoscimento di quei codici (pena, in caso contrario, una ingiustificabile regressione nell’oleografia d’una tradizione che non esiste più), Gavino Ledda ci appare, con Padre padrone, lo scrittore d’un conflitto drammatico (“dramma patriarcale” lo chiama lui), lo scrittore d’una testimonianza lancinante, il narratore di un’offesa e di una perdita, altrettanto irreparabili». C’è qualche vuoto come indicazione d’autori. Manca il caso “giorno del giudizio” sattiano, la sua unicità  rispetto allo stesso contesto narrato dai romanzi e dalle novelle della Deledda. Mancano “Sos sinnos” di Michelangelo Pira come terra sospesa tra modernità e barbarie. E pure un riferimento, oltre ogni considerazione di valore  e di disvalori,   alle nuove e ai nuovi che già da qualche anno fanno cronaca letteraria. Ma forse Onofri ha ragione,  almeno a giudicare da quanto come scritture è editum, ché l’absconditum è  tutta un’altra questione. Bisogna stare in  altri codici linguistici, farne parte per tradizione e linea di sangue. “Padre padrone” esiste come adesso e come ammentu,  ricordo,  di quanto fu causa, trentacinque anni fa. Gavino che si ribella al genitore despota Abramo. Lo fa anche fisicamente. Gli alza le mani. Va via di casa. Contesta la tradizione patriarcale e tutto quanto questa comporta e veicola: anche la lingua e i linguaggi. Giusto evidenziare, come fa Onofri, l’offesa e la perdita. Necessario il distacco. Ma come si fa a contestare l’offesa e la perdita se si è “dentro” rispetto al “fuori” verso cui tende Gavino Ledda di Padre padrone e Lingua di falce, il romanzo successivo? Il fuori che mistifica  e dà stura ad altre mistificazioni.  Specie la versione cinematografica del romanzo (1ª ed. 1975), opera (1977) dei fratelli Taviani, fu l’innesco di una messa alla berlina, autentico gallo di carnevale, di Gavino Ledda. Esiste «Dopo “Padre padrone”: il libro, il film, la Sardegna», a cura di Manlio Brigaglia, Cagliari, Della Torre 1978,  che antologizza tutto un accatastarsi, come legna per il rogo, di parole pesanti. Fummo in pochi  a voler stare fuori dal coro.  Ricordo la campagna di “Su populu sardu” contra “cussu c…de su izzu de compare Ledda”. Lo attaccavano in prosa e in versi, per commenti anonimi o sigle, pure per vignette. Lo stesso Michelangelo Pira divenne fautore di intolleranze. Ricordo tra le poche voci contro la messa alla berlina di Gavino, quella di Giovanni Dettori nel periodico “Sa Sardigna”. Il pezzo che Dettori voleva pubblicare come “Considerazioni inattuali su una rissa d’attualità” uscì invece come “Scusi: dove si lapida il silighese?”. A volte sembra di riviverli quei tempi, recentemente usando a pretesto accabadoras, limba sarda e, autentica lana caprina, se sia da considerare sarda una letteratura scritta in italiano o, come sostiene il niño Remigio nel romanzo Garabombo, viceversa. Forse con un po’ di causticità, a proposito di “Padre padrone”, il contrasto  padre-figlio lo  potremmo liquidare con il fulminante dialogo, da scuola impropria, che inventò Kelleddu per un ciclostilato paesano, “Su Cuentu”. Chiede il maestro a Iscorporatu: “Qual è l’animale che ti sveglia al mattino?” Risponde Iscorporatu: “Babbu!”. Ma forse bisogna cercare di essere più seri. Ricordo che al tempo della divampante polemica redigevo materiali, schede e fogli volanti,  per un ciclo “Cinema e Sardegna” che organizzammo come Biblioteca Satta di Nuoro. I film erano Banditi a Orgosolo, Barbagia, Sequestro di persona, I protagonisti, Una questione d’onore, Dove volano i corvi d’argento e appunto Padre padrone.  Prendevo appunti. «La polemica suscitata in Sardegna dal Padre padrone dei Taviani-Ledda è  diventata via via aggressione, sproloquio e in certi  momenti annosa e stantia per quel che di xenofobia da slogan e accademismo mal digerito è venuto via via affiorando…Quel che resta infine è la costante dipendenza economico-culturale a quanto arriva da fuori  e alle manipolazioni che artigiani, artisti e intellettuali hanno compiuto e continuano a compiere, senza considerare il nostro retroterra storico culturale e il nostro presente. Dietro il ‘tradimento’ di Gavino Ledda del mondo pastorale e la sua remissione ai Taviani si può leggere la fuga da quel mondo e da quanto rappresenta…Qui in Sardegna mancano adeguate strutture che permettano la formazione di scuole e luoghi che permettano di  essere in grado in prima persona di raccontare, criticare, analizzare. Proprio perché in un contesto isolano, europeo e mediterraneo, la Sardegna presenta peculiarità e caratteristiche…soprattutto un susseguirsi di Stato dentro lo Stato e contro lo Stato». In quel ciclo “Cinema e Sardegna”, nel  lessico dei commentari, entravano parole come «rapina petrolchimica, indiani d’America-western-falsa coscienza, Storia e Mito-Presente». Ma rimasero fogli volanti, cronache del sottosuolo. Indigna non poco vederle  riscoperte trent’anni dopo come acqua calda, rese marketing  da  una  vague indebitamente nominata nouvelle,  nata e costruita all’insegna della perpetuazione degli stereotipi sulla Sardegna.  E noi che, per stare nello snodo di “Padre padrone”, scrivevamo allora, trenta e passa anni fa, nelle nostre schede cinematografiche cose come: «In un resoconto giornalistico dell’inviato in Sardegna di ‘Repubblica’, l’estate scorsa, quando il fenomeno sequestro di persona assumeva carattere industriale estendendosi a macchia d’olio su tutto il territorio isolano e bisognava quindi correre dietro e sviscerare (e se necessario inventare) la notizia, veniva puntualizzato come l’ “ospite” ricco, straniero e continentale, nel transitare “lungo le impervie mulattiere dell’interno, costeggiate da macchioni di cisto e corbezzolo”, fosse sempre pervaso dal terrore di trovarsi davanti all’improvviso “l’ulisse barbaricino” uscito dal cavallo di Troia di un habitat naturale di cui lui solo poteva conoscere tutti i segreti. Fuori dalle ripetute e risapute metafore, questo significa che nell’opinione pubblica e in chi costruisce notizie e chiavi di lettura per quelli di fuori (magari invocando l’invio dell’esercito per estirpare la mala pianta del banditismo facendo eco a quel tale Ricciardetto che dieci anni fa in concomitanza con l’esplodere del nuovo corso del banditismo ma anche delle lotte di Pratobello e della presenza in Sardegna della Commissione parlamentare d’inchiesta, invocava napalm e gas asfissianti per il Supramonte) resiste il concetto di Sardegna centrale uguale civitas barbarie con tutte le storture ed equivoci di natura storica, politica, ed economica che tutto questo sottende. Da una parte quindi la civiltà, il progresso, il divenire storico (pur con tutte le contraddizioni che lo segnano) dall’altra, per contrapposizione, l’isola “selvaggia e crudele” con le  “sue stupende coste ancora incontaminate” (e l’Aga Khan e le basi Nato?) e all’interno dell’isola i nuovi balentes (sequestratori sì ma sempre romantici e gentiluomini) e tutta una mitologia sbagliata da ritagliargli addosso». Dice un notturno clericus vagans nuorese: “Anche oggi siamo tornati domani”. Noi potremo trasformare quel “domani” in “ieri”.

1 Commento a “Padre padrone – Ammentu”

  1. Poesia: esiste una diaspora sarda… | il Blog di Daniele Barbieri & altr* scrive:

    […] http://www.manifestosardo.org/padre-padrone-ammentu/ […]

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