Parlamento illegale e colpi di mano: così è nata la riforma su cui voteremo

1 Ottobre 2016
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Ottavio Olita

Se l’etica avesse ancora un significato per chi fa politica senza essere visceralmente attaccato al potere, il Referendum sulla cosiddetta Riforma Costituzionale non si sarebbe mai dovuto indire. Perché? Le ragioni sono tante e a metterle insieme si prova disgusto a pensare come è ridotta la gestione del potere politico nel nostro Paese. L’occasione per una riflessione complessiva su quel che è accaduto e su quel che succederà se il Sì vincerà è stata data dalla festa organizzata a Carbonia da Sel, con la collaborazione dell’Arci: titolo, estremamente significativo, “Di sana e robusta Costituzione”.

Innanzi tutto due dei relatori, la senatrice Loredana de Petris e Vincenzo Vita, del Comitato Nazionale per il No, hanno ricostruito la storia politica di questi anni proponendo la successione di vicende dimenticate: a partire dalla modifica del titolo quinto della Costituzione, voluta dal centrosinistra per tentare di fermare quella che sembrava essere la valanga leghista, ai continui spostamenti e rinvii della data in cui farci andare a votare per dire No – e solo No – a questa Riforma. Vicende dimenticate e che invece bisogna ricordare per capire su che basi è stato costruito il castello di quest’attacco senza precedenti alla Carta Costituzionale e alla democrazia repubblicana.

Partiamo da come è nata la legge su cui dovremo dire No. E’ stata approvata da un Parlamento eletto con una legge giudicata incostituzionale dalla Consulta. Il ‘Porcellum’ è risultato proprio una porcata, come definita dal suo stesso inventore, l’ineffabile Calderoli della Lega, anche all’esame della Corte Costituzionale. Illegittimi, quindi, quei cosiddetti rappresentanti del Popolo Italiano che vararono la legge di Riforma. Ma come si arrivò a quel voto? La ricostruzione degli atti parlamentari di quei mesi dà l’idea di prassi da regime in costruzione più che da Repubblica Democratica.

La ministra Boschi presentò il testo base su cui non fu ammessa alcuna discussione in Commissione, tanto che vennero sostituiti tutti quegli esponenti del Pd nominati nella Commissione Affari Costituzionali che mostravano perplessità su alcune parti del Disegno di Legge. Non solo, ma giunsero pressioni alla presidente del Gruppo Misto, che era la stessa senatrice De Petris, perché in Commissione venisse  indicato qualcuno di gradimento alla ministra.

Fatto questo, altro intervento a gamba tesa del Governo è stato che le Giunte per il Regolamento di Camera dei Deputati e Senato da allora in poi non si sono mai più riunite. In questo quadro, perché la minoranza interna del Pd non si oppose respingendo in aula la legge? Se lo avessero fatto non saremmo giunti a questo punto.

La prassi fin qui seguita da Renzi-Boschi è stata dunque quella di spazzare via l’eventuale dissenso con imposizioni autoritarie sui passaggi parlamentari. Non solo, ma anche il ricorso a slogan propagandistici che non facciano ragionare sulla sostanza del provvedimento. Come l’offensiva formulazione del quesito referendario. A leggere quella domanda sulla scheda chi non risponderebbe Sì? Ecco perché diventa fondamentale ed indispensabile qualunque occasione di dibattito per spiegare le ragioni del No.

E a Carbonia, oltre alla De Petris e a Vincenzo Vita, Michele Carrus, segretario Regionale della Cgil, Ennio Meloni, segretario provinciale dell’ANPI, Franco Uda, dirigente nazionale Arci e Andrea Fabozzi, giornalista, notista politico de “il Manifesto” hanno proposto con chiarezza e lucidità la loro analisi di quel che stiamo rischiando.

Michele Carrus si è soffermato a lungo sul nuovo centralismo che si determina con la Riforma Renzi-Boschi e sull’esautorazione di fatto delle autonomie regionali. Di fronte all’urgenza e all’esigenza nazionale l’ultima parola spetterà al Presidente del Consiglio. Provate ad immaginare cosa succederà se ‘l’esigenza nazionale’ stabilirà che, nonostante la forte opposizione popolare più volte dichiarata dai sardi, sarà scelta un’area dell’isola come deposito nazionale delle scorie nucleari. Oppure se sulle basi militari che tanti guai hanno prodotto e continuano a produrre deciderà sempre e comunque il Governo centrale.

Ma il rischio non è solo questo, ha poi detto Carrus. Con il combinato disposto tra Riforma Costituzionale e nuova legge elettorale denominata ‘Italicum’, si correrà il rischio che un Parlamento eletto da una piccola porzione dell’elettorato, dato il continuo aumento dell’astensionismo, darà una maggioranza blindata ad una formazione politica che potrà anche decidere cose gravissime, come ad esempio la dichiarazione dello Stato di Guerra.

Ennio Meloni ha parlato sia come rappresentante dell’Anpi, sia come iscritto al Pd. Ha ricordato che i Partigiani Italiani, proprio per pronunciarsi sulla Riforma proposta dal governo Renzi hanno indetto un congresso Nazionale al quale hanno partecipato 347 delegati. Voto unanime per il No, con una sola astensione. Come si fa, ha concluso, a mettere a confronto questo pasticcio con il grande lavoro svolto dai padri Costituenti? Poi, come iscritto al Pd, ha letto con forti sottolineature il manifesto degli obblighi morali di chi aderisce a quel partito, in particolare la parte che vincola tutti a non stravolgere la Carta Costituzionale, a rispettarla, a farla applicare. Chissà se Renzi, come Segretario del Partito, ne sa qualcosa.

Franco Uda, dopo aver ricordato che il Consiglio Nazionale dell’Arci ci mise soltanto trenta giorni a pronunciarsi per il no, ha sottolineato che questo progetto di Riforma riduce gli spazi di democrazia, mentre in tutto il resto del mondo c’è un’ansia di ampliamento di quegli stessi spazi. Il nuovo centralismo comincerà a scardinare tutto lo sforzo di costruzione di una democrazia sempre più avanzata cominciato dalla Lotta di Liberazione dal Nazifascismo. La campagna referendaria è stata tutta costruita sulla personalizzazione e sulla grande mediaticità. Noi dobbiamo riuscire a parlare ai cittadini per spiegare, far comprendere, illustrare i contenuti per combattere gli slogan. Il tema vero è la difesa della democrazia.

Andrea Fabozzi si è quindi soffermato su come tutta la grande stampa sia nettamente schierata per il Sì.  E non riesce neppure ad evidenziare le contraddizioni di un Presidente del Consiglio che un giorno difende a spada tratta l’Italicum e il giorno dopo dichiara disponibilità a cambiarlo. Così come non viene neppure ricordato come il precedente Presidente della Repubblica, dopo aver promulgato l’Italicum ora dice che bisognerebbe modificarlo. Quasi nulla è stato scritto o sottolineato sulle motivazioni delle sostituzioni dei rappresentanti Pd nella Commissione Affari Costituzionali. E infine nessun ha voluto ricordare che la Boldrini, presidente della Camera, ha fatto votare con la fiducia una legge – quella della Riforma Costituzionale – che per la sua importanza non avrebbe avuto diritto a quel percorso privilegiato.

Ora, con la fissazione della data del referendum, ha infine detto Vincenzo Vita, dovrebbe diventare operativa la ‘Par Condicio’. Ma chi vigilerà? Chi ci garantirà sull’effettiva obiettività dell’Autorità di Garanzia sulle comunicazioni? Continua ad essere enorme la sproporzione, anche in Tv sugli spazi e sulla qualità dell’informazione data al Sì e al No. Per questa ragione il nostro impegno dovrà essere massimo per combattere questo stravolgimento della Carta Costituzionale che può aprire la strada ad avventure pericolose.

E in effetti, se si pensa a quello che sta avvenendo in Europa con la vittoria di forze xenofobe, di destra se non addirittura neonaziste in varie parti del Continente, si rischia di costruire un sistema di democrazia autoritaria che messo nelle mani di chi non ha alcun interesse per le garanzie Costituzionali potrebbe cancellare quel formidabile patrimonio di diritti e tutele sancito dalla Carta. Se non fosse tragica la situazione economica e occupativa italiana ci sarebbe da fare ironia sulle forze politiche che, incapaci di applicarla completamente cercano di modificare la Carta Costituzionale per scaricare su di essa la colpa che invece risiede soltanto nella loro incapacità.

Fu così che, nel 1993, con il passaggio dal proporzionale al maggioritario all’italiana abbiamo ottenuto soltanto 20 anni di berlusconismo. Oggi il quadro è molto più preoccupante e il futuro potrebbe riservarci personaggi ben più pericolosi. Non solo, ma per usare una bella espressione utilizzata da Loredana De Petris, bisogna sempre ricordarsi che i Padri Costituenti ci lasciarono in eredità una Carta che ci trasformava da sudditi in cittadini. Oggi, questa riforma rischia di riportarci indietro di oltre 70 anni, di privarci di diritti fondamentali, come sta già avvenendo con il jobs act e la buona scuola, di farci ridiventare sudditi di un potere centrale che vuole decidere senza controlli. E se oggi la disoccupazione giovanile dilaga, se lo sviluppo non c’è, se la povertà è sempre più diffusa, davvero si può credere che la colpa sia del funzionamento delle Istituzioni per come scritto nella Carta Costituzionale? Non prendiamoci in giro.

E soprattutto ricordiamoci che se i Padri Costituenti non volevano più uomini e donne con il cappello in mano di fronte ai potenti, questa riscrittura della struttura di governo del Paese rischia di farci ridiventare questuanti per noi o per i nostri figli. La battaglia per i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione va completamente rilanciata. Diciamo un No al progetto Renzi-Boschi perché il nostro Sì sarà sempre per quei formidabili costruttori di democrazia che tra il 46 e il 47 ci fecero entrare nella storia delle libertà fondamentali dell’uomo, della donna e dei bambini.

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