Per un mediterraneo di pace
16 Dicembre 2007Francesco Martone
La riunione dei D10 (i dieci ministri della Difesa dei dieci paesi rivieraschi del Mediterraneo uniti nella cosiddetta iniziativa 5+5, che si sviluppa anche nei livelli sociale e politico e non solo militare) offre lo spunto per una riflessione sui rapporti euromediterranei e su quali possano essere le proposte della sinistra per fare del Mediterraneo un mare di pace e giustizia sociale. E più in particolare sul contributo che possono dare la Sardegna, i movimenti e gli attori sociali sardi nella costruzione di un nuovo rapporto con il Mediterraneo. Come scrivere un progetto di pace e dialogo tra i popoli, di accoglienza e costruzione di una mesoregione multietnica e plurinazionale? Con il processo di Barcellona, volto alla creazione di un’area di stabilità e pace nel Mediterraneo, l’Europa ha cercato di edulcorare il paradigma neoliberista della costruzione di un’area di libero scambio mediterraneo entro il 2010 con il supporto a processi di democratizzazione, la promozione dei diritti umani e politiche mirate allo sviluppo sostenibile. L’agenda dominante resta comunque quella neoliberista. Se questa è la filosofia di fondo delle politiche europee per il Mediterraneo, come possono essere queste compatibili con il nostro progetto, quello per un’altra Sardegna, imperniata sull’elaborazione e l’applicazione di un modello economico-produttivo alternativo a quello sviluppista? Se si parla della necessità di una politica di coesione sociale, di un nuovo intervento pubblico, di una forma di programmazione economica, per la Sardegna, si dovrà riconoscere l’urgenza di una profonda trasformazione delle priorità programmatiche che l’Unione Europea ha nei confronti del Mediterraneo. Andrà quindi contrastata l’intenzione della UE di costruire un’area di libero scambio entro il 2010, un progetto politico che ricalca negli approcci e nelle conseguenze quelli dell’agenda dell’Organizzazione Mondiale del Commercio o della direttiva Bolkestein. Un caso su tutti è rappresentato dalla spinta alla liberalizzazione dei mercati agricoli ed dei prodotti ittici. Per un rilancio produttivo ed economico dell’isola si dovrà invece dare centralità alla sovranità alimentare, e non al libero mercato dei prodotti agricoli, che comporterebbe un dumping e l’esternalizzazione di costi sociali ed ambientali. Non solo le politiche europee non hanno portato prosperità, ma hanno anche contribuito a costruire una barriera impenetrabile alla libera circolazione delle persone con il programma Frontex e la militarizzazione delle frontiere, di cui si discuterà anche nel D10. Le merci sono libere di muoversi da una sponda all’altra le persone invece sono illegali. Secondo Fortress Europe dal 1988 ben 11.245 persone sono morte nel tentativo di attraversare la frontiera invisibile del Mediterraneo, di cui 3.964 dispersi. Tutto ciò è incompatibile con una prospettiva di giustizia e pace. Insomma, a dieci anni dall’inizio del processo di Barcellona l’approccio dell’Unione Europea ha dimostrato di essere, se non fallimentare, estremamente inadeguato rispetto alle sfide attuali. Il Mediterraneo è un’area di conflitto, un’area di tempesta, non un’area di benessere collettivo e di pace. Alcuni conflitti regionali rimangono irrisolti, da quello di Cipro a quello Israelo-Palestinese, a quello del Sahara occidentale. E’ attraverso il Mediterraneo che passano i voli segreti della CIA quelli delle “rendition” è anche nel Mediterraneo che opera la missione Enduring Freedom. E’ nel Mediterraneo che la NATO vuole assumere un ruolo chiave, e Washington vuole costruire il suo Grande Medio Oriente. La nostra sfida dovrà allora essere quella di capovolgere le compatibilità, per costruire un Mediterraneo che sia laboratorio di un nuovo modello di sviluppo più equo, giusto, paritario, ecologicamente sano. Questioni talmente rilevanti da non poter essere lasciate nelle mani di una decina di ministri della difesa rinchiusi in una zona rossa.
19 Dicembre 2007 alle 22:52
NO DAL MOLIN. Vediamo con grande piacere che nel sito della FLC-CGIL si raccolgono firme contro la guerra, le devastazioni dell’ambiente ad essa relative e contro le spese militari, a partire dal No alla base americana di Vicenza. Diamo il collegamento per il testo della petizione invitando a firmarla.