Per un’assistenza domiciliare di qualità

9 Aprile 2025

[Mario Fiumene]

Negli ultimi anni in Italia si sono sviluppate diverse iniziative nel campo delle medical humanities (la medicina vista come un’unità di scienze naturali e di scienze umane) e dell’umanizzazione delle cure.

L’Umanizzazione delle Cure trasforma radicalmente il concetto di assistenza sanitaria. Non si tratta solo di erogare servizi, ma di creare un sistema che valorizza ogni persona nella sua unicità – paziente, operatore sanitario o caregiver – allineando competenze e gestione per raggiungere obiettivi misurabili di efficienza, efficacia e soddisfazione.

Si pone il paziente al centro come protagonista attivo del proprio percorso di salute, riconoscendone diritti, valori ed esperienze. Gli operatori sanitari sono parte integrante di questa trasformazione, con le loro competenze e benessere fondamentali per cure di qualità. L’innovazione si realizza attraverso una rete di cura integrata, dove pazienti, familiari, operatori e associazioni collaborano attivamente. Comunicazione trasparente, formazione continua e processi ottimizzati sono i pilastri di questo sistema centrato sulla persona. L’approccio genera un circolo virtuoso in cui competenze, tecnologie e gestione convergono per rendere le cure non solo efficaci, ma profondamente umane. Questa visione stride con la situazione italiana dell’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI). Attraverso l’analisi delle criticità l’associazione Salutequità (si occupa dell’analisi dell’andamento e dell’attuazione delle politiche sanitarie e sociali) le ha messe nero su bianco per la prima volta in modo analitico e organico. Questo tipo di assistenza fondamentale soprattutto per l’evoluzione epidemiologica della popolazione e delle cronicità.

«Il rischio che corriamo – ha dichiarato Tonino Aceti, presidente di Salutequità – è fare bella figura con l’Europa e, al contrario, una pessima figura con i pazienti, perché stiamo puntando su un modello prestazionale che bada più alla quantità delle persone che hanno un accesso sanitario a casa, e non invece a una vera presa in carico al domicilio per chi ha bisogno di cure più intense e continuative. Proprio sugli aspetti qualitativi andrebbero assegnati obiettivi specifici alle Regioni. Non possiamo perdere la grande occasione del Pnrr per produrre vero valore nel Servizio sanitario pubblico».

Facciamo il punto della situazione: Il 2026 è a un passo e il Pnrr parla chiaro: si deve passare dal 4% circa di assistenza domiciliare integrata (ADI) per gli over 65 del 2023 ad almeno il 10%. Ciò per raggiungere l’obiettivo fondamentale per l’evoluzione dell’assistenza del Ssn della “casa come primo luogo di cura”. La realtà ci dice che un numero crescente di persone inattive e con limitazioni dell’autonomia personale, a fronte di una progressiva riduzione delle persone in età attiva, tende a spingere verso l’alto i livelli della spesa pubblica in ambito sanitario, previdenziale e assistenziale, con possibili ripercussioni negative sulle risorse da destinare alle famiglie con figli e sulla già scarsa mobilità sociale intergenerazionale che contraddistingue il nostro Paese. Il Presidente Istat Francesco Maria Chelli in audizione presso la Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica in atto: «Il 2024 – ha dichiarato Chelli – evidenzia una dinamica demografica in continuità con quella dei recenti anni post-pandemici: un calo contenuto della popolazione residente, la conferma di una dinamica naturale fortemente negativa i cui effetti vengono attenuati da una dinamica migratoria positiva, la progressiva contrazione della dimensione media delle famiglie. Il 2024 aggiunge però alcuni elementi: il minimo storico di fecondità, una speranza di vita che supera definitivamente i livelli pre-pandemici, l’aumento degli espatri di cittadini italiani, il nuovo massimo di acquisizioni della cittadinanza italiana, a cui si affianca comunque l’importante crescita della popolazione straniera residente. Al 1° gennaio 2025 la popolazione residente conta 58 milioni 934mila unità, 37mila in meno rispetto alla stessa data dell’anno precedente. Il processo di diminuzione della popolazione, in atto dal 2014, prosegue ininterrottamente e il decremento registrato nel 2024 (-0,6 per mille) è in linea con quanto osservato nei due anni precedenti (-0,4 per mille nel 2023 e -0,6 per mille nel 2022). Il calo di popolazione non coinvolge in modo generalizzato tutte le aree del Paese: mentre nel Nord la popolazione aumenta dell’1,6 per mille, il Centro e il Mezzogiorno registrano variazioni negative pari rispettivamente al -0,6 per mille e al -3,8 per mille. Nel 2024 le nascite si attestano a quota 370mila, registrando una diminuzione sul 2023 del 2,6%. Calano anche i decessi (651mila), il 3,1% in meno sul 2023, dato più in linea con i livelli pre-pandemici che con quelli del triennio 2020-22. Il saldo naturale, ovvero la differenza tra nascite e decessi, risulta quindi ancora fortemente negativo (-281mila unità)».

Il PNRR prevede uno stanziamento complessivo di 15,63 miliardi al fine di rafforzare i servizi sul territorio, garantire equità di accesso alle cure e modernizzare l’intero sistema sanitario. Questo stanziamento è legato ad alcuni obiettivi che devono essere raggiunti al 2026. A tal proposito bisogna ricordare che nel 2023 la maggior parte delle regioni risultava aver raggiunto l’incremento di numero di anziani assistiti a casa previsto dal Pnrr: due hanno raddoppiato l’obiettivo (oltre +200%) e sono Umbria e PA Trento; quattro invece non hanno raggiunto i propri obiettivi, ovvero Sicilia (1%), Campania (62%), Sardegna (77%), Calabria (95%). E’quanto dice l’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) relativamente al 2023. Al 2024 risultano ulteriori dati sulla presa in carico rispettivamente di over 65 e over 75. Secondo Italia Longeva (Associazione nazionale per l’invecchiamento e la longevità attiva), risultano più prossimi all’obiettivo 2026, facendo registrare la più alta percentuale di anziani assistiti in ADI, le seguenti regioni: Molise (7,26% e 11,97%), Abruzzo (5,80% e 9,57%), Basilicata (4,98% e 8,51%), Toscana (4,70% e 7,55%) e Umbria (4,62% e 7,40%). Sono invece più distanti, con tassi più bassi di anziani riceventi cure domiciliari: Calabria (1,67% e 2,87%), Sardegna (2,15% e 3,60%), Puglia (2,49% e 4,16%), Valle d’Aosta (3,23% e 5,02%) e Campania (3,25% e 5,64%).

Ma dobbiamo considerare una situazione di criticità legata all’intensità di cura, ovvero la quantità di assistenza, secondo il monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza (Lea) del ministero della Salute, nel è ancora troppo contenuta: nel 2023, a fronte di un aumento del numero di persone assiste in ADI, in 14 regioni (dati Italia Longeva) il grado di attenzione all’intensità assistenziale è basso e corrisponde per oltre il 50% a livelli compresi tra GdC 0, quando la data del primo e dell’ultimo accesso coincidono e quindi si tratta di un solo accesso  e CIA Base (livello non assimilabile a quelli previsti dalla Commissione LEA); misura la numerosità dei PAI (Piani assistenziali individuali) con CIA compresi tra 0 e 0,13.), vale a dire visite di carattere episodico. GdC sono le Giornate di Cura e indicano la durata della presa in carico. In Lombardia e Calabria il 50% e oltre dell’erogazione di cure domiciliari si concentra in un unico accesso, cioè, data della prima e dell’ultima prestazione sono coincidenti.

Sulle ore di assistenza erogate a ciascun anziano over 65 non è andata meglio. Crea Sanità (Centro per la ricerca economica applicata in sanità dell’Università di Tor Vergata di Roma) osserva una diminuzione media annua del 2,6% tra il 2018 e il 2023, passando da 18 a circa 15,8 ore. L’offerta tra regioni è stata eterogenea: la Calabria nel 2023 ha erogato in media oltre 56 ore a fronte di un numero di assistiti simile alla Basilicata, dove le ore si sono fermate a circa 38; anche tra Lombardia ed Emilia-Romagna, con una platea di over 65 simile, le ore di assistenza fornite sono state significativamente diverse, rispettivamente 10,9 e 15,0.

Anche il passaggio dall’ospedale alle cure a domicilio risulta insufficiente come mostrano le anticipazioni del ministero della Salute sul rapporto SDO (schede di dimissione ospedaliera): nel 2023 solo l’1% delle dimissioni ordinarie e lo 0,3% di dimissioni protette hanno avuto attivazione di ADI.

Possiamo concludere nel dire che dai dati raccolti da vari organismi e associazioni, è evidente che si procede troppo lentamente sull’accreditamento e sul rispetto degli standard di qualità fissati dall’intesa Stato-Regioni del 2021, a partire dalla telemedicina da garantire nell’erogazione dell’ADI. Il recepimento delle Regioni è andato al rallentatore: ≤12 mesi per Lombardia, Liguria, Umbria, Sicilia, Abruzzo, Veneto, Basilicata, Molise e Calabria; entro 18 mesi per Emilia-Romagna, Marche, Sardegna e Piemonte; le altre a partire dal 2023.

A quattro anni dalla firma dell’Intesa, anche le deliberazioni regionali faticano a decollare, ostacolate dalla mancanza di pareri di funzionalità e verifiche sul campo. Secondo i provider che hanno partecipato alla ricognizione dei dati, le procedure per l’accreditamento ADI sono state completate in sole tre Regioni (Lazio, Sicilia e Campania).

Un quadro reso ancor più preoccupante se consideriamo le carenze di personale necessario per garantire le cure a casa. In particolare, preoccupa quella degli infermieri, che assicurano il 67% dell’ADI attuale: ad esempio quelli di famiglia e di comunità (IFeC) nel 2022 erano di appena 1.464 unità, secondo la rilevazione del ministero della Salute, appena il 7,6% del fabbisogno indicato nel DM 77 di 19.314. Anche ipotizzando un incremento del 25% nel numero di IFeC nei due anni successivi, la carenza sarebbe oggi di almeno 14.485 infermieri.

Una conferma ci viene fornita dai dati raccolti da AIDOMUS-IT (studio realizzato dalla Federazione nazionale infermieri e dal CERSI, Centro di Eccellenza per la Ricerca e lo Sviluppo dell’Infermieristica, sull’Assistenza infermieristica domiciliare in Italia), meno di un’Asl su due (40%) ha un assistente sociale in organico, solo un’Asl su due (53,2%) ha assunto almeno un operatore socio-sanitario (Oss), valore che scende di oltre 10 punti nel Sud Italia (41,7%). E per i medici palliativisti solo il 22% (37) delle borse di specializzazione è stato assegnato a fronte dei 170 contratti banditi, e nei prossimi cinque anni ci saranno solo 195 specialisti in medicina e cure palliative.

E’da condividere quanto Tonino Aceti, presidente di Salutequità: «Serve una capacità di monitoraggio e intervento centrale più incisiva per garantire un’attuazione uniforme e tempestiva dell’Intesa Stato-Regioni su accreditamento ADI. È necessario superare la carenza di professionisti specializzati e assicurare l’uso della tecnologia, con l’adozione di strumenti digitali realmente accessibili. Infine, dobbiamo già da ora attrezzarci per garantire un incremento strutturale del Fondo sanitario nazionale che vada oltre le risorse temporanee del Pnrr per evitare il collasso delle cure domiciliari». Non si devono fermare gli sviluppi dei processi di umanizzazione delle cure.

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