Notti padane. Di chi è la città?

16 Settembre 2010

istituto del mondo arabo

Valeria Piasentà

Il vescovo di Milano Tettamanzi, appoggiato dalla Cei, chiede agli amministratori locali di non ostacolare la costruzione di un luogo per il culto islamico, come ne esistono in tutte le grandi città. Perché la libertà di culto è un diritto e, nel contesto del dialogo fra le Chiese, “non è un affronto alla nostra sede”: «I mussulmani hanno diritto a praticare la loro fede nel rispetto della legalità. Spesso però la politica rischia di strumentalizzare il tema della moschea e finisce per rimandare la soluzione del problema, aumentando il livello di scontro, mentre potrebbe diventare uno stimolo per migliorare il livello della convivenza civile».
I politici al governo non rispondono, come il sindaco Moratti, e quando lo fanno i toni sono sprezzanti. Calderoli dal palco della Festa dei popoli padani, al culmine del ‘rito dell’ampolla’ col battesimo leghista, rinnova i suoi strali a Tettamanzi: «A Milano i prelati spingono perché si faccia una moschea. Forse sono prelati in odore di pensione o studiano da imam». Per i rappresentanti della Lega il luogo di culto deve essere ospitato nei locali della Curia; per il vicesindaco De Corato la moschea non è una priorità e «finché ci sono interlocutori inaffidabili un dialogo non può neanche cominciare».
La polemica intorno la costruzione dell’edificio sembra pretestuosa e finalizzata a una strategia comunicativa evidente, e di stampo xenofobo. La ricerca di un capro espiatorio (rom piuttosto che islamico ecc.) su cui convogliare tutta la negatività del gruppo sociale, è funzionale alla tregua del conflitto (per chi scrive: un conflitto di classe inasprito dall’instabilità politico-economica) interno al gruppo stesso. Così la violenza latente viene polarizzata e il gruppo con la sua pubblica opinione manipolata, si ricompatta riconoscendosi in una identità vera o fittizia ma avvalorata dal peso del numero. Tutte cose già viste… Risponde diversamente la cultura architettonica lombarda, tradizionalmente attiva nel dibattito disciplinare come in quello sociale.
Dalla Facoltà di Architettura del Politecnico, dai laboratori didattici già dell’architetto Guido Canella, arriva lo studio per un centro islamico polifunzionale completo di sala per il culto ma anche di negozi e ambiti per attività culturali, collocato nell’area della nuova fiera di Rho, lungo l’asse di percorrenza Torino-Milano: «L’idea è che le strutture, poste in un’area ben collegata dai mezzi pubblici con il centro di Milano, siano utilizzabili sia durante il grande afflusso di visitatori per l’Expo 2015, sia a manifestazione conclusa, come dotazione permanente per la città di Milano» (La Repubblica-Milano 13.9.2010).
Risponde l’architetto Stefano Boeri, candidato alle primarie milanesi del Pd, che incontrerà l’architetto Jean Nouvel per parlare del suo edificio parigino e di come quella esperienza potrebbe essere declinata nella realtà di Milano. La domanda è: può una buona architettura contribuire all’espansione del pensiero sociale? Era il 1987 quando Nouvel inaugurò il suo Istituto del Mondo Arabo, un centro polivalente vetrina parigina della cultura araba, dove i cittadini senza distinzione di etnia vanno per assistere a eventi, per fare acquisti, dove non di rado si vedono signore della buona borghesia parigina sedute – senza paura! – ai tavolini della terrazza affacciata sulla Senna a consumare infusi esotici con dolcetti magrebini. Al turista che attraversa il fiume sui bateaux mouches fra i monumenti storici, da Notre Dame al pont Neuf ecc., viene indicata con orgoglio la moderna struttura dell’Istituto, che vive senza aver mai costituito un problema per il cosiddetto ordine pubblico.
Il segno distintivo Nouvel l’ha messo in facciata (l’architetto è da sempre interessato alla permeabilità, ai colori e ai materiali delle facciate), dove quadrati metallici come grandi diaframmi meccanici modulano l’ingresso della luce oltre le immense vetrate, riproducendo il decòr tipico della ceramica tunisina. Un analogo progetto parigino di Nouvel è il Musée du quai Branly des Arts premiers del 2006, col muro vegetale di Patrik Blanc che copre la facciata verso la Senna: l’attivo polo multiculturale è stato voluto da Chirac, grande estimatore di Claude Levi-Strauss.
Il giardino su progetto dello scrittore, docente, entomologo e paesaggista Gilles Clément utilizza essenze provenienti da ogni parte del mondo. Si tratta dello stesso Clément che ha stilato la teoria del ‘terzo paesaggio’. Il terzo paesaggio si riconosce in tutte le aree abbandonate dall’uomo, dove la natura autoctona ha ripreso il sopravvento secondo criteri di armonia naturale. Qui la natura si autoconserva, qui sopravvive la diversità biologica lontana dalle mani dell’uomo che distrugge educando secondo proprii e unilaterali concetti estetici e fini economici. (G.Clément Manifesto del terzo paesaggio Quodlibet).
Nel 2007, dopo le elezioni politiche che hanno visto la destra di Sarkozy legata agli ambienti finanziari internazionali riconquistare il Paese, Clément ha deciso che non lavorerà più in e per la Francia, perché «non è possibile risolvere la crisi ecologica senza cambiare il sistema economico». E si è dato all’esilio. Questo alto senso di responsabilità sociale e questa estrema empatia verso l’altro-da-sè non necessariamente e solo umano, agli antipodi rispetto all’ideologia leghista del ‘padroni a casa nostra’, pone anche un’altra domanda: di chi è la città? di chi il territorio? perché alcuni si sentono più proprietari di altri di un bene non solo collettivo e condiviso nella contemporaneità democratica ma che appartiene agli uomini tutti, passati, presenti e futuri, tanto quanto agli altri esseri del creato?
Con una differenza sostanziale: spesso l’uomo avanza arroganti pretese di proprietà sul bene che tratta e maltratta senza ritegno a differenza di altri esseri che, come gli uccelli in una poesia di Pessoa, volano alti senza lasciare traccia del loro passaggio terreno.

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