Pulizia mentale

15 Settembre 2010

sionismo

Pier Luigi Carta

L’Arcipelago Cisgiordano è racchiuso in un recinto e costellato da checkpoint? Niente di strano. I negozianti di Hebron si proteggono con delle reti metalliche per evitare massi e rifiuti scagliati dai coloni? Non c’è da stupirsi. A Beit Hanoun l’altro giorno i militari israeliani hanno ucciso un beduino e due ragazzini che erano con lui? Perché tutto ciò è così ostico da comprendere? Nurit Peled non lo trova per niente strano, e ha trovato una chiave di lettura interessante per comprendere la mentalità dei nuovi Israeliani, dell’Ebreo forte che insiste a chiamare soap gli scampati all’olocausto e i loro discendenti, che monta di guardia ai checkpoint assalta la Marmara. Se in Italia sono i telegiornali a cuocerci il cervello, in Israele sono i libri sui quali studiano i ragazzini a infettare la loro mente.
Nurit Peled-Elhanan è un’insegnante israeliana di Linguaggio ed Educazione presso la Hebrew University, traduttrice, scrittrice e madre di due bambine. Attivista per la pace tra Palestina e Israele, nonostante l’assassinio di una sua bambina in un attentato terroristico. Nel 2001 ha ricevuto dal Parlamento europeo il Premio Sakharov per i diritti umani.

Il 13 luglio a Gerusalemme, nella hall dell’Haifa Hotel, davanti ad una platea di 40 militanti pro palestinesi, la professoressa ci espone il contenuto dei manuali di scuola israeliani. Destinati ad un pubblico dai 7 ai 12 anni, tali testi scolastici fanno l’apologia dell’odio sionista verso i palestinesi ed il mondo arabo in generale, avvalendosi di cartografie inesatte, di pesanti mistificazioni storiche riguardo alle guerre e ai recenti massacri, di stereotipi e cliché colonialisti e razzisti che sottolineano e avvalorano la disumanizzazione del diverso o di tutto ciò che non è ebraico. I testi vengono utilizzati come strumenti di una potente propaganda xenofoba e sono alla base del sistema pedagogico israeliano: nelle scuole religiose ebraiche, nelle scuole pubbliche, private e perfino nelle cattedre della seppur esigua minoranza di professori palestinesi, che si ritrovano a dover insegnare ai propri studenti la creazione dello stato di Israele come il governo prescrive, con tutte le imposture del caso e dimenticandosi la Nakba, che non compare neppure per il programma estivo.
Nurit sostiene che “non solamente i soldati Israeliani siano coinvolti nei massacri degli ‘Arabi’ palestinesi o libanesi, tanto quanto gli americani, ed entrambi possono diventare adulti senza vedere una faccia araba fino al momento della leva, e apprendono nell’arco di dodici lunghi anni che il nemico è primitivo, crudele e aggressivo, che fanno i bambini solo per scatenarli nelle strade a tirar pietre verso i soldati dei checkpoint. I bambini israeliani crescono nell’impedimento di conoscere i loro immediati vicini, la loro storia, la loro cultura e i loro meriti. Sono abituati a concepire i loro vicini come un elemento indesiderato. Questa non è educazione, ma un’infezione mentale”.

Cosa spinge questi ragazzi israeliani a giocare il ruolo di giudice supremo fino a perdere ogni facoltà di giudizio? Per Nurit Peled e per lo scienziato Richard Dawkins la colpa è della Grande Narrativa Sionista, che ha costituito la malta per la coscienza collettiva di tutta la società israeliana e che detta le modalità di relazione tra israeliani e palestinesi. Come si spiegherebbe altrimenti l’azione dei più giovani diretta alla distruzione degli istituti scolastici, delle librerie e degli ospedali, senza alcuna ragione apparente se non quella di essere vicini o prossimi in qualche modo? L’unica motivazione va ricercata nell’influenza dei genitori, degli insegnanti e dei leader, che son riusciti a convincere con successo le nuove generazioni che gli altri non sono umani quanto e come loro e che ucciderli non è un vero e proprio assassinio, perché viene legittimato da altri nomi come “pulizia”, “purificazione”, “punizione”, “operazione”, “missione”, “campagna” e talvolta”guerra”.

Nurit parla della situazione israeliana, ma ammette che lo stato sionista non è un’eccezione, anzi il problema è di tutto il mondo occidentale, e cita la situazione scolastica statunitense, che non si discosta molto dal suddetto esempio, prova ne è l’affluenza di nuove reclute nelle forze armate, e non si scorda di citare l’esaltazione della patria e della guerra nei libri di testo dell’Italia fascista.
La ricerca di Nurit Peled si basa sul lavoro di Ruth Firer dell’Hebrew University in collaborazione con Sami Adwan dell’Università di Behlehem. Il loro lavoro ha prodotto un libro pubblicato dal Georg Eckert Institute for International Textbook Research, intitolato “Il conflitto Israelo-Palestinese nella Storia e nei Libri di testo di Entrambe le Nazioni”. L’analisi esamina 13 testi israeliani (2.686 pag.) e 9 libri palestinesi (1.607 pag.) e rivela una comprensione speculare degli eventi: la guerra del 1948 nei libri israeliani è chiamata “Guerra di Indipendenza” e in quelli palestinesi Nakba –la Catastrofe-, il nazionalismo palestinese è traspare nei testi israeliani come una reazione alla politica sionista e britannica, mentre d’altro canto la Palestina è vista come una nazione esistente da lungo tempo e nata autonomamente, facente parte del mondo Arabo-Islamico.

I testi palestinesi pongono come centro del conflitto il problema della terra, mentre per Israele il problema è la sicurezza. Entrambe le parti però ignorano i relative periodi di calma e di coesistenza tra le due nazioni, per esempio tralasciano il decennio 1921-1929, nessuno rivela mai il tentativo di mostrare la storia del conflitto dal punto di vista del nemico, entrambi tralasciano i dettagli della sofferenza umana causata dagli scontri e ogni parte elabora un computo delle vittime individuale e unilaterale. Tutti sappiamo che la Disamistade ci insegna che il dolore dell’altro è solo un dolore a metà, mentre per l’odio che manca ci si dedica l’autorità.
Nurit non manca di ricalcare questo concetto durante tutto il dibattito e tra l’altro vorrebbe consigliare alle madri di smettere di dire ai loro figli che l’uniforme gli dona, e che sarebbe ora di ammettere che sono brutte, come le targhe, gli stendardi e le medaglie al valore.

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