La voce dei naufraghi
16 Giugno 2011Pierluigi Carta
Il film “il mio nome è Khan” si apre con la perquisizione di un musulmano, novello Forrest Gump Bollywoodiano, in un aeroporto degli Stati Uniti, il quale alla richiesta da parte dei suoi controllori – cosa ci fai qui in America – risponde – devo andare dal vostro presidente e dirgli che il mio cognome è Khan, ma non sono un terrorista -. È la storia di un ragazzo cresciuto con una strana forma di autismo, la sindrome di Asperger, che gli consente di comunicare meglio le emozioni in forma scritta che orale. Questo è forse un handicap comune alle comunità di immigrati in Italia, le quali si portano dietro una vita ed una storia che non riescono a comunicare agli indigeni, e ciò scatena incomprensioni, odio ed ostilità.
Le telecamere puntate sul canale di Sicilia si spengono ad intermittenza, ma la tragedia continua ed è lontana dalla sua catarsi. Tra il 27 e il 28 maggio, 900 profughi provenienti dalla Libia sono arrivati a Lampedusa, aggiungendosi ai 1.200 migranti sbarcati all’inizio del mese scorso. Il 2 giugno un peschereccio partito da Tripoli e diretto in Europa, che trasportava circa 850 persone, è affondato al largo delle coste tunisine. Tre giorni dopo sono stati ritrovati 26 cadaveri. Secondo le fonti tunisine, sono 250 i dispersi. I numeri possono apparire esigui, forse per via dell’abitudine, ma sono cifre che si aggiungono al computo delle croci sommerse del canale di Sicilia, un tratto di mare che ha inghiottito 17.600 esseri umani in 23 anni. Un lungo tragitto di morte, tra le rotte che vanno dalla Tunisia, dalla Libia e dall’Egitto, verso Lampedusa, Pantelleria, Malta e la Sicilia; ma questa è storia nota. Le uniche voci che sentiamo sono quelle dei telecronisti che descrivono imbarcazioni fatiscenti e solerti soccorsi, al limite qualche stralcio di’intervista degli scampati, in un francese improvvisato.
Anche la Sardegna si fa a tratti teatro di sbarchi. Il 29 maggio sono arrivati al porto canale di Cagliari 57 migranti, dei 623 evacuati da Lampedusa e imbarcati su di un traghetto della Grandi navi veloci. L’Excelsior è arrivata carica di migranti maschi, senza bambini né donne, scappati dalla Libia e provenienti dagli stati del centro Africa. I volontari della Caritas, la Protezione civile e altre organizzazioni stavano ad attenderli all’imbarcadero, tutto regolare. Letta la notizia al bar, una timida riflessione sulle nostre strade così europee e così minacciate dalla diversità, e la vita continua per i nostri connazionali. Ma delle loro voci, neanche l’eco. 138 sono i profughi accolti nei vari centri dell’hinterland cagliaritano, del Medio Campidano, Sassarese e della Gallura. 10 migranti, provenienti dal Maghreb, sono sbarcati il 27 maggio sulla costa sud occidentale della Sardegna, a bordo di un peschereccio che si è incagliato vicino alla cala di Zafferaneddu, un caso fortuito, che ha dato un argomento da sviscerare agli abitanti della zona.
La cacofonia di voci viene di tanto in tanto sovrastata dal megafono governativo, fortuna che Wikileaks ogni tanto si rende utile e smentisce la validità della politica anti-immigrati del governo Berlusconi, svelando il bluff dell’incapacità nel gestire la crisi degli sbarchi. Lampedusa è al collasso e la comunità internazionale guarda con preoccupazione all’Italia di Bossi e Berlusconi, l’Italia della linea dura contro i clandestini. La messa in scena dei governanti che criminalizzano i migranti -e chi cerca di accoglierli- risulta oramai stucchevole. Se n’è accorto anche il dipartimento di stato di Washington e Wikileaks rivela il segreto di Pulcinella, i boat people costituiscono una parte minima degli irregolari che arrivano quotidianamente in Italia (il 15%), ed il tasso di criminalità è in diminuzione: ovvero da lontano fanno più paura. Nonostante il bassissimo pericolo terroristico, dato evidenziato anche nei dispacci diretti all’ambasciata americana, Berlusconi e Maroni, complice buona parte dei media televisivi, non cessano di gonfiare la situazione, prospettano un’imminente quanto inevitabile invasione, che fa andare di traverso la cena ai sensibili cittadini italiani. La sensazione di pericolo, che hanno tentato di instillare nell’opinione pubblica, fa presa solamente su di una parte degli italiani, e se le norme anti-immigrati sono una realtà nefasta, fortunatamente non mancano episodi di integrazione e serena convivenza. La drammatica piaga dei boat people scaraventa sulle nostre coste meno di un quinto degli immigrati irregolari, e la maggior parte di essi arriva via terra, o via mare, ma sulle navi, non su stracolmi barconi decisamente troppo appetibili per le telecamere. Il governo inoltre, non può fare altro che alzare la voce; infatti la cronica mancanza di risorse impedisce una seria politica sull’immigrazione. L’Italia ha meno di tremila posti letto disponibili nelle strutture di detenzione. Questo comporta l’inapplicabilità della maggior parte dei provvedimenti in materia, ma anche forti tensioni in periodi di sovraffollamento, come le rivolte dell’agosto e dell’ottobre 2010 nel Cpa di Elmas.
Il governo ha allora giocato la carta dell’euro-scarica barile, montando una polemica nei confronti delle istituzioni europee, mostrando un’Italia prostrata dall’incessante flusso dei migranti verso le sue coste, lamentandosi per il mancato aiuto da parte dell’Ue nei confronti dei paesi dell’area meridionale. Sfortunatamente per loro, l’aggressività della campagna diplomatica non ha smosso granché, ma ha messo in risalto lo scarso peso politico di Berlusconi nel panorama internazionale, fallendo nel tentativo di far accettare agli altri capi di stato dell’Unione, una ripartizione dei costi sui flussi migratori.
La voce dei nostri eletti rimbomba forte e chiara, anche se sovente foriera di poche verità. La voce dei nostri immigrati invece, anche se urlata da un ponteggio, risulta timida ed indistinta. Forse perché gli immigrati riescono a farsi intendere con altri mezzi. Il IV rapporto Inps sui lavoratori immigrati, presentato la scorsa settimana, redatto dai curatori del dossier Caritas/Migrantes, mette in luce una dinamica importante: nel 2008 2.727.254 lavoratori immigrati iscritti all’Inps – il 12,9% del totale – hanno versato 7.5 miliardi di euro di contributi nelle casse dell’ente. Gran parte di essi è impiegato nel lavoro agricolo, è ciò ha consentito un ricambio generazionale del settore agricolo, incidendo per un quinto del totale delle maestranze. Nonostante il cospicuo capitale versato nelle casse previdenziali però, pochi immigrati godono dell’erogazione pensionistica. Solo il 2,2% dei residenti è riconducibile a stranieri pensionati o in età pensionabile. In un’Italia fatta di pensionati ed anziani, il contributo della forza lavoro giovanile degli immigrati diventa indispensabile per il sostenimento del sistema previdenziale. Senza contare che la loro presenza si rende fondamentale per il sostenimento del mercato del lavoro e della produzione di beni e servizi, come il servizio di assistenza per gli anziani. Molti ragazzi che fuggono dall’Africa, non hanno modelli culturali e di riferimento granché diversi da quelli dei loro coetanei occidentali, in quanto li hanno ereditati dalla globalizzazione. Sono giovani normalissimi che fanno sacrifici enormi, sicuramente non comuni per i loro coetanei italiani.
Quel noto graffito che recita “Immigrati non lasciateci soli con gli Italiani” ormai non esprime solamente un giudizio sulla simpatia della popolazione indigena, ma una vera proposta di aiuto per la nostra sopravvivenza economica. Un’Italia multietnica fa paura alla nostra classe dirigente, ma il collasso economico risveglia ben più diffusi timori.