Pintor su Cossiga (1990-1999)

19 Agosto 2010

pintor

KORDOGLIO
Dietro il Muro democristiano
(02/11/1990)

II presidente Cossiga ha una strana concezione dello Stato e di se stesso, una concezione deviata. Forse non si è reso conto della enormità delle sue dichiarazioni londinesi, dell’ombra cupa che gettano su di lui e sul Quirinale. O forse ha voluto lanciare una sfida, confidando nell’impunità. Nell’un caso e nell’altro noi pensiamo che debba lasciare senza indugio la sua carica, o essere indotto a lasciarla, non potendosi più oltre riconoscere in lui il rappresentante della comunità dei cittadini. Molti lo pensano, noi lo diciamo, appunto come cittadini: quei semplici cittadini contro i quali l’on. Cossiga si è vantato di aver predisposto a suo tempo un vero e proprio piano di proscrizione, affidato a una struttura armata clandestina.
Questo e non altro è l’operazione Gladio. Concepita non solo fuori e contro la Costituzione di questo paese da chi le aveva giurato fedeltà, ma contro una parte della società e della popolazione, mettendo in conto forme di guerriglia o guerra civile. Progettata non contro la democrazia in senso vago, ma contro la sovranità popolare e il suffragio universale ove avessero messo in forse il potere democristiano. Intrecciata infine al Sifar e al golpismo del generale De Lorenzo, alla Rosa dei venti e ai Servizi cosiddetti deviati, e quindi verosimilmente implicata o contigua alla strategia della tensione e delle stragi. Se questa implicazione sanguinosa, sulla quale molti tornano a interrogarsi con sbalordimento, risultasse prima o poi non solo verosimile ma vera e provata, allora ci troveremo di fronte non più a una responsabilità amministrativa e politica dei passati governi (o di singoli uomini di governo) ma a un caso di concorso morale in reati che preferiamo non definire, una materia penale da cui la nostra mente rifugge.
Ma anche se così non fosse, inalterata resta la natura eversiva di quella banda armata e di quel piano di proscrizione che nessuna clausola ufficiale o segreta degli accordi Nato, nessuna logica di guerra fredda, nessuna presunta emergenza militare può giuridicamente e politicamente legittimare.
Una simile struttura e un simile piano, anche ammesso per assurdo che siano stati originariamente pensati in vista di una invasione straniera, sono stati attivati o riattivati nell’ultimo ventennio e fino ad oggi dai governi e dagli uomini della De (anzi da una rosa ristretta di persone all’interno dei governi) come una polizza d’assicurazione contro l’ascesa politica ed elettorale dei comunisti e della sinistra e contro i moti sociali di quegli anni. anni.
Non più leggi speciali, polizia e carabinieri o divisioni corazzate, e neppure i Servizi in quanto tali, ma un’arma segreta di pronto intervento esente da qualsiasi controllo istituzionale, totalmente sconosciuta al Parlamento, appoggiata semmai a centrali extranazionali: forse Berlinguer non ne sapeva niente, ma la sua riflessione sulla tragedia cilena si può applicare perfettamente a questo scenario italiano. L’on. Cossiga si dice orgoglioso di aver conservato questo segreto per 45 anni alle spalle della gente, ma il merito non è solo suo. L’on. Andreotti, l’on. Forlani, alcuni degli uomini più rappresentativi dei governi di questi anni, hanno fatto altrettanto. Il loro senso dello Stato, il loro rispetto della sovranità popolare, è sotto questo aspetto non dissimile da quello che ha improntato i regimi dell’est europeo, anche se una democrazia condizionata è meglio di una democrazia nulla.
Senonché lì è caduto il Muro, ma qui non è caduto affatto: è il Muro della illegalità democristiana, l’anomalia e il peccato originale della nostra vita pubblica. Quanti grandi Vecchi, quanti Belzebù, quanti Burattinai abbiamo avuto in questi anni? Forse più di uno, forse una rosa di venti, che hanno tuttavia operato tutti dietro quel Muro e abitato tutti nelle stesse stanze: le stanze del potere, un potere insieme pubblico e occulto. Perché ci meravigliamo che il sistema politico sia marcito, le istituzioni siano spossessate e sfibrate, la finanza pubblica sia dissestata, la malavita sia insediata nella macchina statale? L’illegalità è indivisibile.
Eppure oggi questo regime, questa classe politica, anzi questo personale politico (poiché sono sempre gli stessi uomini, con nome e cognome) rivendicano tranquillamente il loro operato e si concedono l’amnistia: il passato è passato, abbiamo tutti i nostri scheletri nell’armadio, non parliamone più, i comunisti si sono ravveduti, riformiamo insieme le istituzioni e governiamo in pacifica alternanza o meglio in convergenza più o meno parallela.
L’on. Andreotti ha lanciato la prima pietra forse per dimostrare d’essere senza peccato, l’on. Cossiga l’ha rilanciata con pari improntitudine e leggerezza: forse pensano che chi ragiona così, chi mostra questo senso dell’impunità, susciti in questo paese frastornato più ammirazione che scandalo. Qui non siamo in America, che sotto questo aspetto invidiamo, e noi che diciamo queste cose non siamo il New York Times. Ma non crediamo neppure di trovarci, malgrado tutto, in un regime sudamericano.
Pensiamo che esista ancora un’opposizione capace, in Parlamento e fuori, di reagire con i molti mezzi di cui dispone. Non si tratta di pretendere un ovvio scioglimento postumo della struttura clandestina ma di incriminarne i promotori. Non si tratta di chiedere una commissione di inchiesta a coloro che debbono essere inquisiti ma di istituirne una propria che porti questa vicenda in un’aula di giustizia.
Giacché i reati di attentato alla Costituzione e di banda armata tanto più sono configurabili quanto più siano commessi o favoriti non da comuni cittadini o associazioni private ma da alte autorità che vengono meno al loro mandato o lo tradiscono. È troppo? Può darsi, il quadro è tale che vien voglia di chiudere gli occhi e arretrare. Ma guai a farlo. Ha ragione Occhietto, quando dice che bisogna rifondare la Repubblica (assai più del Pci). Ha ragione Craxi, che ha l’attenuante di esser stato al governo per poco tempo e per conto terzi, quando sente aria di congiura. Comprendiamo anche gli on. La Malfa e Spadolini, quando si schermiscono.
Ma finché non tireranno tutte le conseguenze da vicende gigantesche come questa, e non picconeranno il Muro democristiano con tutto il calmo furore necessario, sarà come se avessero torto. Quali che siano oggi i rapporti di forza, non è che muteranno mai per grazia di dio, né si può sperare che la coscienza avvilita e distratta di questo paese si risvegli se ad essa nessuno fa appello con quanto fiato ha in gola.

LE DIMISSIONI
Meglio tardi che mai
(26/04/1992)

Abbiamo perso la scommessa? Il senatore Cossiga fa le valigie, con due mesi di anticipo? Così pare, anzi così è. Ne ha dato comunicazione a reti unificate lui stesso, con la consueta logorrea, con toni per metà melensi, vittimisti e patetici, e per metà sprezzanti verso quella nomenclatura di cui lui stesso è un esimio esponente. Come non credergli? Crediamogli. E tuttavia non pagheremo la scommessa finché, martedì, non vedremo il senatore Cossiga uscire dal Quirinale salutato dai corazzieri, diretto all’isola di Giannutri (una Sant’Elena mediterranea) o a Capo Marrargiu.
Perché non si è dimesso ieri, cogliendo l’occasione autocritica offertagli dal 25 aprile? Perché ha scelto una martedì, data sconsigliata per le partenze? Perché ha rinviato al 28 aprile? Non può averlo fatto per onorare il ventunesimo compleanno di questo giornale, che per primo in Italia ha chiesto le sue dimissioni di gladiatore e picconatore della Costituzione. Non siamo così megalomani, anche se l’ex presidente ci ha gratificati dicendo di aver deciso le dimissioni per smentire il nostro titolo di ieri.
Ci sarà una ragione, per questa pausa di riflessione postuma che il senatore sassarese si è concesso. E una ragione può essere che ancora spera in una processione di fedelissimi al Quirinale che lo implorino di restare, investendolo di nuova autorità politico-morale per la formazione di un governo salvifico. Un’altra ragione può essere quella di proporre con anticipo la propria , candidatura a una rielezione come via d’uscita emergenziale dal caos post-elettorale, continuamente evocato nel|discorso televisivo d’addio.
Ma forse, anzi sicuramente, questi nostri sospetti sono solo esorcismi. Nessuno, neanche il doroteo Francesco Cossiga, può rimangiarsi in tre giorni ciò che ha detto avvolto nel tricolore di fronte a venti milioni di ascoltatori. Forse si è reso conto che il voto popolare, che ha squassato i grandi partiti e il quadro politico tradizionale, non ha per contro premiato neppure le sue personali ambizioni e il disegno di una seconda Repubblica autoritaria. Non posso neppure sciogliere il Parlamento, i presidenti delle Camere contano più di me… Che resto a fare?
Allora pagheremo la scommessa e ci congratuleremo per il successo, una volta tanto, delle nostre provocazioni. Chi cade, in genere, non risorge. E può darsi che la Repubblica e la Costituzione ritrovino un degno garante, anche se la guerra sarà senza esclusione di colpi e se è vero che la confusione è grande sotto il tetto dei palazzi.

IL GOVERNO D’ALEMA
Tribunale speciale
(15/10/1999)

Quando nacque il governo D’Alema, con una misera maggioranza parlamentare da Cossutta a Cossiga, noi scrivemmo che resuscitava il peggior trasformismo di fine ‘800 e che la sinistra andava al disastro. Facemmo una copertina col titolo “balla coi lupi”. E ora accade che i lupi, latrando come si addice a questo genere di animali, stanno scuoiando vivi i ragazzi di palazzo Chigi: i quali si sono, da un anno in qua, volontariamente offerti in pasto.
Il comunicato del sen. Cossiga, diffuso come pubblicità a pagamento, scritto in uno stile che bisognerebbe analizzare come i bollettini delle Br, esige una commissione parlamentare d’inchiesta sulla storia d’Italia e sull’esistenza stessa del Pci per settant’anni. Un tribunale speciale di lupi e gladiatori che le pecore subiscono belando. Gladio veste i panni solenni di una magistratura giudicante per indagare sul Kgb, Cossiga indagherà su Cossutta che indagherà su se stesso. I giornali invocano la dissacrazione di Berlinguer, che non solo morì comunista senza rinnegamenti ma anche prigioniero dell’Urss. L’editorialista del Corriere Panebianco, con quel cognome abusivo rispetto a se stesso, scrive che il comunismo è “il male assoluto” e chiede ai ragazzi di Berlinguer di condannare il proprio padre, di compiere un’abiura anch’essa assoluta. C’è del metodo in questa follia, che non intende solo sbranare ma dissolvere nell’acido solforico i resti della sinistra italiana. Questa follia non si fermerà, non si accontenterà del rapporto Mitrokhin e dei finanziamenti del Kgb, farà della caccia alle streghe una bandiera politica ed elettorale, fino a farci rimpiangere l’anticomunismo del passato. Non c’è alcun segnale di reazione a questo assalto. D’Alema e Veltroni hanno infilato tutte e quattro le mani in questo ingranaggio che li stritola e non sanno come sottrarsi, forse non hanno neppure capito con chi si sono messi (Berlinguer lo aveva finalmente capito quando accusò se stesso di “ingenuità” nei confronti della Dc e di Cossiga come individuo). Non diranno al picconatore, come farebbero due uomini adulti, di andarsene fuori dai piedi, né glielo dirà il congelato Cossutta. Ma una maggioranza così indecente non può durare né esprimere un governo credibile e una politica rispettabile. Se il governo resterà in piedi perché il potere o una sua parvenza contano più di tutto sarà un cadavere ambulante. Non lo dico come paleocomunista che ha a cuore le sorti e anche l’onore della sinistra, del suo passato e del suo futuro, ma come un povero cittadino umiliato e offeso.

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