Porto Torres. Eni, vidi, vici
7 Dicembre 2008Porto Torres lo scorso 4 dicembre sembrava una città in festa. Dieci mila persone hanno sfilato dall’ingresso della 131 sino alla piazza del comune per un motivo che però ha ben poco di allegro. Il petrolchimico in dismissione produrrà, fra diretti e indotto, circa 3500 stipendi in meno. Polimeri Europa, gruppo Eni, chiude tutti gli impianti dello stabilimento del nord Sardegna lasciando il territorio in uno stato di totale precarietà. La manifestazione più grande che la città ricordi ha riunito lavoratori e direttori d’imprese, sindaci e sindacati, scuole e operai, bambini e persone anziane. Tutte con un motto: non toglieteci il lavoro. Accanto a Luciano Mura, sindaco di Porto Torres, altri trenta sindaci indossano la fascia tricolore seguiti dai relativi consigli comunali. C’è la Provincia e c’è la Regione. Renato Soru è apparso intorno alle dieci del mattino e fino alle 13 ha seguito il corteo fin sotto il palco di piazza Umberto I. A gran voce tutte le istituzioni e i rappresentanti dei lavoratori hanno gridato l’urgenza di un tavolo nazionale attraverso cui riparare una situazione drastica. Ma la notizia che si sarebbe diffusa nel corso della mattinata del 4, circa l’incontro a Palazzo Chigi previsto per il 17 è per tutti un’inutile tentativo di sedare la protesta. Nessun rappresentante del territorio sardo è in realtà invitato a quel tavolo. “Quello – commenta Antonio Rudas, confederale della Cgil – è un tavolino, che serve solo a dividere i sindacati dalle istituzioni. Invece noi sappiamo di avere il pieno sostegno degli enti locali”. L’obiettivo rimane dunque sempre Palazzo Chigi, ma a condizione che si tratti di un tavolo operativo che coinvolga i diretti interessati della crisi. Roma potrebbe diventare nei prossimi giorni l’obiettivo per una grande manifestazione in cui la vertenza di Porto Torres sia sostenuta da tutta la Sardegna. Anche perchè se la Polimeri Europa ha già inviato a partire da venerdì i telegrammi per la cassa integrazione per 350 dipendenti, le ditte esterne stanno cominciando ad annunciare gli esuberi: ma per i loro dipendenti non c’è la garanzia nemmeno degli ammortizzatori sociali. La partita del petrolchimico, diviso fra dismissione e mancata bonifica, è ancora aperta.
Porto Torres. Uno sciopero sostenibile
Il messaggio che arriva da Porto Torres dice che è scandaloso mandare sul lastrico migliaia di persone, di famiglie, di generazioni future. Oggi a legioni si stringono attorno agli operai, vittime di un modello sbagliato e paleo-coloniale di cui molti portano colpa: lo Stato e le sue lobbies politiche legate al petrolio e alla chimica, strette allora attorno a Nino Rovelli, nome antico riemerso nel processo a Cesare Previti, che curava i suoi interessi. Non tutti gli abbracci sono sinceri: gli ex-democristiani del PD erano sostenitori di un’industria di Stato fondata sulle clientele, gli ex-socialisti del PdL amici di Rovelli, mentre i comunisti sognavano la nascita di una classe operaia forte e combattiva. Si è giocato per generazioni spesso cinicamente. Morti di lavoro, di tumori, di avvelenamenti da mercurio, di qualità della vita. Eppure da questa esperienza in prolungata agonia sono nate comunità competenti, non domate e coscienti: anche di come sono cambiate le campagne, di come crescono diversi i frutti della terra sotto le acide atmosfere, della trasformazione dell’acqua. Hanno detto che non vogliono carbone e inceneritore; con altri italiani, a suo tempo, dissero no al nucleare. Ora vogliono dare loro carbone, inceneritore, nucleare. Non tutti gli abbracci sono sinceri.
I potenti di turno sanno che il mix stato-politica-assistenzialismo caritatevole e clientelare è funzionante; ma la gente – che non può restare senza lavoro – non si dovrebbe fidare.
Il sindacato, anche nel suo sciopero generale del prossimo 12 dicembre, dovrebbe mettere con ben altra evidenza lo sviluppo dell’economia ambientale al centro dei suoi progetti e dei suoi documenti. Nessuno deve essere licenziato, ma da subito si pensi ad altro. No ad orimulsion, carbone, termovalorizzatori, nucleare, sì all’economia dello sviluppo sostenibile. Come sarebbe lo spazio del Petrolchimico ricoperto da migliaia di pannelli fotovoltaici? Il Golfo dell’Asinara, i suoi paesaggi e le sue risorse senza Fiumesanto e il petrolchimico?
Le ruspe di Coimpresa
Coimpresa ci ha riprovato, puntualmente ha mandato le ruspe in Via Is Maglias con l’intenzione di cancellare per sempre un pezzo di storia millenaria unico al mondo.
Cualbu è un imprenditore – si dice ripetutamente – e perciò è comprensibile che difenda i suoi interessi. Chi sostiene queste cose dimentica però che la tutela dei beni comuni è più importante degli interessi di qualsiasi imprenditore. Gli studenti che in queste settimane contestano la riforma del ministro Gelmini hanno capito questa priorità e venerdì 5 dicembre hanno organizzato un sit-in per protestare contro la ripresa dei lavori. Già nel corso del mese di novembre si erano tenute numerose lezioni “in piazza” su tale argomento, svolte dai professori di Lettere, Beni Culturali e Ingegneria. Il drappello dei 50 manifestanti ha incontrato le resistenze di un vigilante tutt’altro che bendisposto, gli studenti sono stati scacciati appena hanno tentato di superare il cancello del cantiere. È stato un sit-in pacifico, ma non è bastato a fermare gli operai che già verso la metà della mattina azionavano le ruspe; gli animi si sono scaldati solamente quando il primo operaio alla guida di una Opel Astra, che tentava di varcare il cancello del cantiere bloccato da un cordone umano, dalla parte di via Is Maglias, è avanzato accelerando, incitato dal vigilante. La macchina ha schiacciato il piede di Andrea, un manifestante, che è stato costretto ad abbandonare il sit-in per una visita al pronto soccorso.
Venerdì mattina abbiamo assistito alla forza degli interessi economici di Coimpresa e dei nostri politici, che non si fermano né davanti agli appelli, né davanti ai vincoli, come neppure davanti al comune buonsenso, peraltro vergato dalla nostra Costituzione all’art. 9, che sancisce l’obbligo di tutela del paesaggio e del patrimonio artistico e storico della Nazione. Come, si spera, quello della Regione.