Pro terra de bandidos
1 Dicembre 2009Marcello Madau
Nel numero di sabato scorso Alias ha dedicato la prima pagina, e molte colonne seguenti, a Orgosolo e al suo mondo. Vi è un mondo che cerca il difficile passaggio fra arcaismo e modernità, fra orgoglio balente e – nella crisi di quella società pastorale della quale Orgosolo è certamente uno dei più nobili rappresentanti – nuove prospettive della cosiddetta economia ambientale.
Gli studi del sociologo Franco Cagnetta sono stati ripresi da un giovane studioso, Nicolas Martino, che ha firmato “La montagna rifugio di libertà e democrazia”, il pezzo uscito sabato scorso sul settimanale del Manifesto. La riflessione sulla Sardegna, e sulla Barbagia, è sempre aperta e stimolante. Anche se il mondo sta cambiando, e pure Orgosolo, profondamente.
Perché Franco Cagnetta, Nicolas?
Penso che sia importante riconoscergli la posizione che merita in quanto apripista degli studi antropologico-culturali in Italia (certo insieme a De Martino e altri, ma perché dimenticarsene?), ma non solo. il suo lavoro credo sia stato importante anche per lo sviluppo metodologico della “storia orale” come storia delle classi subalterne e per la pratica militante dell”‘inchiesta”, metodologie di lavoro politico-culturale che avrebbero costituito uno dei cardini dell’operaismo italiano da “quaderni rossi” a “classe operaia” e oltre (interessante ricordare che l’inchiesta pubblicata su rivista comprendeva anche 5 autobiografie di banditi, pastori, mogli e sorelle. storie “picaresche”, c’è anche quella di Peppino Marotto. sono molto belle, nella prima edizione in volume che è quella francese ne rimase solo una, nessuna invece nell’edizione italiana per Guaraldi e poi Ilisso, non so perché). insomma il suo mi sembra essere un lavoro che si inserisce a pieno titolo – come “prologo”- nella storia di quella “cultura radicale” che tra la metà degli anni Cinquanta e i sessanta avrebbe rotto definitivamente i ponti con la tradizione “idealistica” (sviluppo, finalmente! anche in Italia della sociologia e dell’antropologia culturale, apertura della provincia italiana alla cultura europea).
Ma esisteva questo terreno per Cagnetta nel mondo accademico italiano?
Una cultura radicale che certo non ha conosciuto grande fortuna nelle università italiane, lo stesso Cagnetta dopo la denuncia se ne andò in francia e poi negli stati uniti e riteneva questo un paese inadatto alla ricerca. D’altra parte la sua inchiesta è anche, credo, un punto fermo nella genaologia degli “studi sardisti” nel secondo dopoguerra, intuisce la natura di ordinamento giuridico del codice barbaricino (Pigliaru lo riconosce), e le sue ricerche sono materiale anche per i “movimenti” e i progetti politico-culturali anticolonialisti (Eliseo Spiga appunto). forse, ma qui non so bene, c’è qualche nesso anche con il lavoro di Michelangelo Pira.
Tu hai vissuto alcuni anni in Sardegna. E’ questa la ragione del tuo indirizzo?
Per quanto riguarda il mio interesse specifico per la Sardegna oltre il dato biografico (e al fatto che comunque è difficile rimanere indifferenti al fascino “anticlassico” – come direbbe Lilliu – della Sardegna) c’è questo: la storia che racconta l’inchiesta di Cagnetta non è in fin dei conti l’individuazione di una sorta di “errore di sistema” all’interno del dispositivo statuale moderno che ormai si è consumato? Una faglia all’interno del progetto moderno? ecco allora mi sembra che la Sardegna possa essere un punto d’osservazione particolarmente interessante nella ridefinizione dei rapporti tra locale e globale in epoca post-leviatanica.
La mia impressione però è che talora anche a sinistra la Sardegna dei banditi rappresenti un terreno idealizzato. Meglio ancora, comunque, se finisce in spettacolo. Coniugare un bandito isolano famoso con un’isola che i famosi (in genere del ‘come eravamo’) ospita è davvero esemplare. Però, se non condivido la parabola dell’assedio ai ribelli montanari dai Cartaginesi in poi (nel senso che dovette esserci in età nuragica, e ancora indietro), mi pare interessante la riflessione sullo spazio e la mente della montagna. E poterci lavorare.
C’è almeno un altro dato che mi sembra importante e di stringente attualità: Cagnetta nel suo lavoro “demistifica” il mito del banditismo sardo cercando di individuarne le cause storico-sociali (è ovviamente dalla parte di chi da subalterno è costretto a farsi bandito, ma denuncia anche le collusioni fra il banditismo dei signori e i poteri locali e nazionali). cerca di individuare la verità del cosìdetto banditismo ed è questo, credo, che insieme alla denuncia della verità dei rapporti intrattenuti dall’Italia con l’isola diede fastidio al potere. Cagnetta era un intellettuale. Il potere o criminalizza o spettacolarizza il banditismo, l’intelligenza invece è, se è intelligenza, contro la mistificazione ideologica.
Ma il potere, più in generale, criminalizza o spettacolarizza il conflitto per neutralizzarlo. Oggi che il potere criminalizza la storia italiana degli anni Settanta – vedi il caso emblematico del film “La prima linea” in cui il potere interviene a “edulcorare” il lavoro di sceneggiatura e regia di una storia “scomoda”. Ma vedi per altri versi il caso di Cesare Battisti per cui ormai è “criminale” anche solo cercare di sostenere che non di cronaca criminale si tratta ma di storia di una stagione di lotte e conflitti, di “storia” per quanto drammatica. vedi insomma l’impossibilità quasi di parlare di quegli anni se non unilateralmente in termini di criminalizzazione e dalla parte di chi ha vinto (anche l’imperatore Augusto inizia le sue “res gestae” delegittimando le lotte civili e definendo i suoi protagonisti letteralmente nemici della res publica, ideologia mica da poco) – oggi allora non è forse una lezione intellettuale importante l’intelligenza e il coraggio del lavoro di Cagnetta? Per questo ho messo alla fine la citazione della poesia di Peppino Marotto:”s’imperu è s’avaru e de s’istola est cominzende a sonare sa trumba de ritirada…”. Succede quando l’intelligenza è al lavoro.
Certo a fare come Cagnetta si rischia di finire male…ma sennò uno che studia a fare?
4 Dicembre 2009 alle 19:13
(…)La mia impressione però è che talora anche a sinistra la Sardegna dei banditi rappresenti un terreno idealizzato. Meglio ancora, comunque, se finisce in spettacolo. Coniugare un bandito isolano famoso con un’isola che i famosi (in genere del ‘come eravamo’) ospita è davvero esemplare. Però, se non condivido la parabola dell’assedio ai ribelli montanari dai Cartaginesi in poi (nel senso che dovette esserci in età nuragica, e ancora indietro), mi pare interessante la riflessione sullo spazio e la mente della montagna. E poterci lavorare.(…)
Certamente.
Angelo Liberati