Processo per stupro
16 Giugno 2009
Luisella Cossu
Da donne a donne: Processo per stupro. (Il 22 giugno, alle ore 20.30, il Teatro Verdi di Sassari ospiterà la proiezione del film che sconvolse l’opinione pubblica italiana nel 1979).Visto oggi, a trent’anni dalla prima messa in onda, Processo per stupro continua a parlare della violenza contro le donne come nessun altro film ha saputo fare. Da qui la proposta delle associazioni delle donne e le donne delle associazioni di Sassari di proiettare questo documentario (22 giugno, h. 20.30, Teatro Verdi, ingresso libero), che è ancora, purtroppo, di estrema attualità. Il grigiore di edifici anonimi fa da cornice a un gruppo di donne impegnato nella difesa dei propri figli e mariti, o semplicemente conoscenti, accusati di aver commesso violenza carnale ai danni di una ragazza. Volti esagitati e gesti nervosi accompagnano parole che sono come macigni: “lo fanno tutti”; “oggi sono le donne che si buttano sugli uomini”. Pochi istanti dopo nel quadro compare una donna che, in uno studio televisivo, guarda le immagini su uno schermo. Si apre così, con lo sguardo e l’orecchio rivolto da una donna ad altre donne, il film Processo per stupro, realizzato nel 1979 da un gruppo di autrici RAI, che per la prima volta porta l’occhio impietoso e attento della telecamera in un’aula di tribunale, durante un processo per stupro. E non a caso le inquadrature iniziali mostrano madri, mogli, sorelle degli imputati – che per prime dovrebbero farsi sostenitrici della dignità femminile – interamente complici di un maschilismo che getta la responsabilità della violenza sul supposto “libertinismo” delle giovani donne. Dopo un incipit breve e così ricco di spunti, ha inizio la documentazione del processo. Teatro dello spettacolo giudiziario è il tribunale di Latina, dove si celebra la prima udienza per quattro imputati accusati di violenza carnale contro una giovane, Fiorella. È un’udienza emblematica, che dà la misura di quanto accadeva e accade nelle aule dei tribunali, dove troppo spesso chi ha subito lo stupro è trasformata in imputata. L’avvocata della vittima, Tina Lagostena Bassi, reclama giustizia e per questo rifiuta la somma proposta dagli avvocati della difesa come risarcimento. Ciò che ha subito Fiorella, ciò che subisce una donna stuprata, è “un danno incommensurabile” e certo non si può risarcire con “una mazzetta”, afferma Lagostena Bassi. Sotto accusa sono soprattutto i processi, che finiscono per mettere la vittima sul banco degli imputati. “Sono qui per Fiorella e per tutte le donne”, sottolinea l’avvocata, ed è per tutte che chiede giustizia. Nel procedere con le rispettive arringhe, gli avvocati difensori espongono le loro tesi con un lessico spesso osceno, punteggiato da termini latini per innalzarne apparentemente il registro. Ma i loro volti, i sorrisi beffardi con i quali accompagnano il racconto della violenza, ricostruita con morbosa dovizia di particolari, sono più eloquenti del loro latinorum. È la fine degli anni ’70 e ancora lo stupro è ritenuto reato contro la morale e non contro la persona. La linea processuale è subito chiara: si tenta di far apparire la donna consenziente, preda conquistata e felice, addirittura adescatrice, prostituta. Partendo da questo presupposto l’avvocato Zeppieri spiega, ammiccando, come non vi sia stata contro Fiorella alcuna violenza ma solo piacere. Nella sua arringa, gli stupratori vengono tratteggiati come esseri passivi e inermi di fronte a una cacciatrice di uomini. Così è la vittima che si processa, è lei, Fiorella, colpevole di tutto. La ragazza conosceva uno dei quattro violentatori e questo basta a renderla consenziente, trasformando una violenza carnale in un normale rapporto sessuale. E, sostiene il difensore, la causa prima di tutto questo va ricercata nella pretesa delle donne di essere libere, di uscire di casa, di rivendicare i loro diritti. L’avvocato Palmieri afferma esplicitamente che se le donne fossero rimaste “presso il caminetto” non si sarebbero trovate in simili circostanze. Le telecamere mostrano gli stupratori: non sono delinquenti ma uomini di buona famiglia, con mogli e prole. Sono normali, hanno facce comuni, volti familiari. Né si può dimenticare che, ora come trant’anni fa, nell’80% dei casi gli stupratori hanno familiarità con la vittima, sono mariti, padri, conoscenti. Eppure ancora oggi, grazie anche a un’informazione miope e in definitiva connivente, si istilla nell’opinione pubblica la paura dello straniero, dello sconosciuto, chiudendo completamente gli occhi sulle violenze perpetrate tra le mura domestiche. Anche per questo un film come Processo per stupro, realizzato in anni lontani e con pochissimi mezzi, si rivela attuale e necessario, perché pone lo stupro come problema culturale e vivo, come un nostro problema che la giustizia continua a disattendere. È il 1999 e alla Cassazione bastano i jeans indossati dalla vittima per assolvere uno stupratore condannato dalla Corte d’Appello di Potenza. Perfino un popolare indumento diventa un alibi per ritenere la ragazza consenziente. Notizia ancora più recente: è il maggio 2009 e la Cassazione considera la gelosia come attenuante per l’uomo che ha ucciso la sua donna. Sentenze del genere testimoniano come i tribunali finiscano sempre per sminuire e misconoscere la gravità dello stupro, riportandolo alternativamente alla natura “provocante” delle donne o alla fantomatica “ritrosia femminile”. Così, i volti dei giudici di Latina, degli imputati e il viso di Fiorella suscitano ancora oggi una domanda dirimente: la giustizia è giusta con le donne? Da qui muoveranno le riflessioni delle donne presenti in sala, Loredana Rotondo, una delle autrici del documentario, e Giovanna Angius, avvocata nuorese che si occupa di violenza sulle donne. L’idea è quella di un percorso insieme nella memoria e nel presente, quasi a riprendere il filo di un discorso ininterrotto, in una sorta di dialogo fra le donne di oggi e le donne venute prima.