La tassa sul lusso
La spia accesa e i vandali di governo
Pierluigi Sullo
Eguaglianza e tassa sul lusso
Andrea Pubusa
Legge Soru per compensazione
Sandro Roggio
Tasse moderne
Elio Pillai
Una tassa definita sul lusso
Marco Ligas
Prendere Tobin per Robin
Marcello Madau
La spia accesa e i vandali di governo
Pierluigi Sullo
Il Manifesto | 2 agosto 2007
Il manifesto ci ha fatto una prima pagina: scelta molto azzeccata.
L’impugnazione da parte del governo della cosiddetta «tassa sul lusso» della Sardegna è un riassunto dell’atteggiamento del centrosinistra – la parte «coraggiosa» – sui temi del cosiddetto sviluppo. In altre parole, è la conferma di quanto il precipitare della crisi ambientale, lo stato di degrado in cui è il nostro assetto idro-geologico, il disastro della cementificazione e privatizzazione delle coste (che è all’origine dell’«emergenza incendi»), lo spettro della crisi idrica che sta ammazzando il Po, tutto questo sia ignorato dall’attuale governo. Anzi, ogni provvedimento (o non provvedimento) concorre a aggravare la situazione.
La legge sarda non si propone solo di far pagare un’imposta ai ricchi, quelli che hanno grandi barche o aerei privati, ma soprattutto di chiudere un cerchio che si è aperto con l’approvazione del piano paesistico regionale che proibisce nuove costruzioni a meno di tre chilometri dalle coste. Quel divieto salva il salvabile, dopo l’allegro saccheggio iniziato dall’Aga Khan in Costa Smeralda decenni fa, e permette all’isola di continuare a vendere la sua «merce» turistica, che altrimenti semplicemente si esaurirebbe. Ma in compenso, dice il presidente Soru, noi chiediamo ai non residenti, a coloro che posseggono una seconda casa e la usano uno o due mesi l’anno, di contribuire al salvataggio delle coste. Anche a loro vantaggio, perché non costruire più nulla darà ovviamente maggior valore a quel che c’è già. Ora, che il governo si opponga in nome dell’esclusivo potere dello stato di imporre tasse (dopo tante fesserie sul federalismo) e dell’«eguaglianza dei cittadini» (quando è noto che la tassazione progressiva, e quella sarda lo è, è una delle basi dello stato moderno) è più che grottesco: è pericoloso. Perché suona inequivocabilmente come un incitamento ai trafficanti di cemento, tant’è vero che la destra sarda sta esultando, oltre a invitare a non pagare la famosa tassa (quasi il 50 per cento di chi dovrebbe, per altro, ha già pagato, perché evidentemente i cittadini sono più intelligenti dei loro ministri).
Ma appunto questa storia della Sardegna è l’ennesima spia rossa accesa sul cruscotto dell’automobile modello Italia. Lasciamo stare per una volta la Tav, che è troppo facile. Che dire di una Regione, come l’Umbria, che allo stesso tempo proclama lo stato di calamità a causa della scarsità d’acqua, e poi autorizza Rocchetta a utilizzare un pozzo che ammazzerebbe definitivamente un fiume, il Rio Fergia, così che tocca ai cittadini locali accorrere al suono delle campane per fermare le ruspe? E che dire di un parco nazionale, come quello del Gargano, dove le fiamme hanno divorato boschi e ucciso persone, che si oppone all’abbattimento di centinaia di case abusive e non fa una piega quando si vuole costruire un mega-hotel e centro commerciale in zone protette? O di un’altra regione, il Lazio, dove lobby multiformi si agitano per ottenere il maggior numero possibile di inceneritori, solo perché sono resi assai convenienti dagli scandalosi Cip6 (la quota che tutti noi paghiamo nella bolletta per fonti rinnovabili fasulle e velenose come gli scarti del petrolio o i rifiuti, appunto), mentre il comune di Roma ha una ridicola quota di raccolta differenziata, il 20 per cento, e viene perciò premiato da Legambiente?
A Vicenza aspettano a pié fermo le ruspe che dovrebbero costruire la nuova base militare. Se ci sono drammi sulle pensioni, la precarietà e il welfare (e ci sono), suggerisco alla sinistra di prendere nota di questi altri drammi. Il malessere sociale ha molte facce.
Eguaglianza e tassa sul lusso
Andrea Pubusa
Il Manifesto, lettere | 19 agosto 2007
Possibile che Pierluigi Sullo (La spia accesa sarda» – il manifesto del 2 agosto) non capisca che nel rinvio della «legge Soru» la c.d. «tassa sul lusso» non c’entra un fico secco? Qui c’è in gioco qualcosa di più importante, viene chiamato in causa uno dei principi centrali della nostra Costituzione: il principio di eguaglianza dei cittadini, senza discriminazione in ragione della loro provenienza regionale. Anni fa il presidente della provincia di Milano, una ex cantante passata alla destra, suscitò la giusta indignazione di molti, limitando alcune sovvenzioni scolastiche agli studenti residenti. Una misura venata di un odioso spirito razzista verso gli studenti figli di extracomunitari. Domani la regione Lombardia potrebbe imporre un tributo a tutti gli italiani residenti da Roma in giù che si rechino in quella operosa città. In una versione classista, il balzello potrebbe imporsi solo a coloro che hanno un alto reddito e il ricavato potrebbe essere destinato ai lavoratori ultracinquantenni privati del loro posto di lavoro.
Come si vede, una volta infranto il principio di eguaglianza fra i cittadini a seconda della residenza o della provenienza, ogni regione potrebbe sbizzarrirsi a pensare misure di destra o di sinistra che introducono dei distinguo fra cittadini.
Confesso: personalmente ai ricchi (alla Briatore) imporrei non solo la tassa sul lusso, ma anche una prestazione personale e cioè gli chiederei se vuol trascorrere l’estate da noi, di dissodare, con pala e piccone, uno dei tanti assolati e incolti campi di Gallura. Forse la prestazione contribuirebbe a migliorarne non solo la linea, ma anche l’umanità e la condotta.
Ma che c’entra? Il problema è se questa misura, vigente l’art. 3 della Costituzione, sia ammissibile se introdotta da una legge regionale e con una differenza di trattamento a seconda della provenienza regionale. Dunque, l’imposizione a carico di chi mostra con le seconde case una capacità contributiva per poi destinare i fondi così raccolti a favore della tutela ambientale, non è peregrina. E’ una misura discutibile, ma può essere considerata un giusto contributo per l’uso del territorio. Ma l’oggetto della discussione è un altro: si può dare del federalismo un’interpretazione di stampo «leghista», secondo cui, al di fuori di un quadro comune e unitario offerto dalla legge statale, ogni regione fa quel che vuole? Di più: può una regione trattare i cittadini in modo diverso a seconda della loro residenza e della loro origine? Ancora, l’idea che allo stato rimanga la funzione di camera di compensazione fra regioni ricche e meno ricche è utile e buona? O è meglio il federalismo fiscale leghista, secondo cui, egoisticamente, ogni regione gestisce, senza solidarietà, le sue risorse e discrimina i cittadini di altre regioni? Come si vede, la questione sollevata dal governo tocca un aspetto centrale della forma di stato in Italia e dei diritti fondamentali di cittadinanza. La Corte costituzionale, nello sciogliere la querelle, inciderà a fondo nello sviluppo del nostro ordinamento, dovrà confermare o ridefinire i principi della prima parte della Carta. Sotto questi chiari di luna, in cui la Costituzione è sotto attacco sul fronte sostanziale (e presto lo sarà di nuovo su quello formale), io non baratterei il principio di eguaglianza con alcuna misura, giusta o sbagliata, d’ispirazione leghista, legata all’appartenenza regionale dei cittadini; lo proteggerei come il bene più prezioso.
Legge Soru per compensazione
Sandro Roggio
Il Manifesto, lettere | 19 agosto 2007
Il presidente della regione Sardegna, spiazza spesso gli sguardi, pure da sinistra. Azzardando con progetti e provvedimenti, alcuni oltremodo necessari come quelli per il buon governo del territorio, che dalla politica prima di Soru non sono purtroppo venuti con la dovuta tempestività. E’ la «tassa sul lusso» (chiamata così, impropriamente) oggi al centro dell’attenzione. C’è un aspetto nella discussione su questa misura – disapprovata dal governo Prodi – che riguarda la violazione del principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini davanti al fisco. Il principio è spesso violato – altro che tasse !- come sappiamo bene, basta un’occhiata a come vanno normalmente le cose. D’altra parte c’è la circostanza dei paesaggi sardi spremuti per fare plusvalenze impressionanti (una casa di alto rango può spuntare un prezzo 30 volte il costo di costruzione); e non può lasciare indifferenti che quegli immobili valgono decine di milioni di euro perché stanno in luoghi unici e non c’entra nulla l’abilità d’impresa. Si pensi che per l’Ici di una villa in una costa di pregio si spende come per qualche serata al Billionaire, e che le paventate imposte sulle barche sono pari al costo per tenerle in acqua alcuni giorni. La Sardegna azzarda l’idea di una compensazione. Nel deficit del legislatore nazionale si riconosce ai residenti il privilegio del risarcimento di innumerevoli guasti arrecati al paesaggio che pagheranno, non c’è dubbio, le generazioni future. Ci sono pezzi di costa sottratti all’uso pubblico con danni incalcolabili per le comunità locali che mai più potranno mettere a frutto quelle risorse compromesse in modo irreversibile. L’appartenenza a un luogo («terra e sangue» – è stato detto) non basterebbe per accordare franchigie, neppure nel nome della solidarietà ecologica e generazionale. Eppure, solo esentando i residenti questo tributo assume il suo vero significato. Questa scelta, questo principio etico, trova consensi (l’ottimo articolo di Pierluigi Sullo coglie il significato di questa scelta) e non mancano apprezzamenti da parte di illustri studiosi come Valerio Onida o Guido Melis. Ci sono preoccupate contrarietà da non sottovalutare quando dicono dello strappo alla regola costituzionale; anche se appare improprio confrontare questa motivata esenzione con quelle oltranziste di impronta razzista. Neppure convince il silenzio su altri poteri in capo alle regioni, che seminano comunque differenze tra i cittadini del paese. In altre materie nelle quali le regioni operano già con un alto grado di autonomia – l’urbanistica appunto- si possono produrre grandi sperequazioni nei territori. Infine: chi – come me – di argomenti fiscali e di delicate cose costituzionali sa poco, si pone domande riguardo a franchigie concesse ai residenti molto simili nella sostanza a dispense da imposizioni fiscali. Peraltro il governo, mentre difende il quadro delle compatibilità, avanza ipotesi che fanno pensare. In particolare colpisce l’annuncio nei giorni scorsi del ministro Rutelli a margine – ma neppure tanto – della discussione riguardo alla progettata autostrada Tirrenica Civitavecchia – Grosseto. Su Repubblica del 5 agosto scorso, in cronaca di Firenze, un ampio resoconto del dibattito a proposito dei danni al paesaggio che verrebbero da quella strada. E ecco la proposta di Rutelli di «un’autostrada leggera con barriere a pagamento al posto degli svincoli», per agevolare il traffico locale consentendo ai residenti di «viaggiare gratis». Il sottosegretario Marcucci precisa, credo nell’ottica della compensazione del danno, che per gli aspetti tecnici «spetterà alla regione decidere in via definitiva i meccanismi che permettano di alleggerire i pedaggi per chi abita e lavora in zona». E allora: com’è che «sangue e terra» di Maremma varrebbero per ammettere, basta fare due conti, notevoli privilegi tributari?
Tasse moderne
Elio Pillai
Il Manifesto, lettere | 28 agosto 2007
«Chi siete?»… «Quanti siete?»…. «Cosa portate?»… «Uno scellino»… diceva meccanicamente, senza guardare, un uomo seduto dietro un tavolino fuori dalla città, occupato a fare i conti sulle tasse che faceva pagare a tutti coloro che gli passavano davanti. Chi non ricorda l’immagine del bellissimo e divertente film di Benigni e Troisi, ambientato nel medioevo. Erano le tasse dell’epoca, che pagavano viandanti e commercianti che si spostavano da una zona a un altra. Mio padre, con i suoi fratelli che di mestiere facevano is carrettoneris, i carrettieri, erano quelli che trasportavano merci dal centro Sardegna verso le città. Mi raccontava che all’ingresso della città c’era il dazio. La legge Soru, impropriamente detta «tassa sul lusso», mi ricorda,in parte queste immagini e per certi aspetti mi fanno anche pensare a qualche residuo pensiero ancestrale, dell’odio verso su strangiu, in italiano «lo straniero». «Il pericolo viene dal mare e non potendo fare altro facciamo pagare le tasse a tutti coloro che provenendo da quella direzione con mezzi navali, ormeggiano le barche nei nostri porticcioli. Magari comprano anche la casa in Sardegna per trascorrere le proprie vacanze». Si racconta che queste entrate verranno utilizzate per risanare l’ambiente degradato dagli innumerevoli e incalcolabili danni creati dalla speculazione edilizia sulle nostre coste. Giusto! Chi fa danni all’ambiente paghi. Ma che a pagare siano tutti. Ma davvero tutti. Tutti coloro che ieri e oggi, sardi e continentali, hanno danneggiato e degradato le coste della Sardegna. Intere zone cementificate e rubate alla collettività da imprenditori sardi senza scrupoli, alla pari di imprenditori provenienti dalla «terraferma», diciamo anche con il consenso delle amministrazioni locali: le hanno sottratte non ai sardi, ma al mondo civile, all’ambiente al paesaggio, alle generazione di oggi e di domani.
Caro Pierluigi Sullo, quest’estate sono stato a Costa Rei, Villassimius, e due giorni nella zona che va da Siniscola a Capo Codacavallo, dovresti vedere lo scempio,hanno costruito sugli alberi. Ma come è potuto accadere questo scempio?… Saranno tutte case abusive? No… non lo sono. In alcune di queste zone sono state costruiti alberghi di sindaci (sardi). Dovresti fare una ricerca seria su ciò che sta avvenendo nelle nostre coste. La sinistra ha esultato sulla legge Soru sul lusso, ma se è sul lusso e non vuole essere una legge razzista, perché questo lusso non lo pagano tutti? I sardi proprietari di ville al mare così come di costosissime barche, perché non dovrebbero pagare anche loro la tassa?
Caro Elio Pillai, questa estate sono stato a Santa Teresa di Gallura, dove esiste una città morta di seconde case equivalente (in volumi) alla città vera, quella degli abitanti. Dico città morta, perché porte e finestre si aprono un paio di mesi l’anno: ma le case, costruite in un improbabile stile «mediterraneo» un po’ copiato dalla Grecia delle cartoline e un po’ dai telefilm californiani, restano lì, con il loro inesorabile cemento, dodici mesi l’anno. E certo a fare il disastro è stato l’ormai ex sindaco diessino, e architetto (guarda un po’), ma a portarsi via i profitti sono stati in moltissimi casi palazzinari del nord: se si osservano le targhe delle auto della gente in vacanza si vedranno blocchi etnici: trentini, ad esempio, perché chi ha costruito ha poi venduto a suoi compaesani. Bene, questo è lo stato delle cose, in moltissime aree dell’isola che tu e io (da strangiu)amiamo. Sandro Roggio, urbanista sassarese che su queste pagine ha replicato a un’altra lettera critica con la legge Soru di Andrea Pubusa (che come impone la cultura delle vecchia sinistra invoca lo stato), ha scritto per il mensile di Carta tuttora in edicola un ampio articolo proprio su questo disastro (quindi un po’ di ricerca l’abbiamo fatta anche noi). Perciò, a parte la tua passione per la libera circolazione delle merci, bisognerebbe considerare la tassa sulle seconde case come parte integrante del Piano paesistico sardo, che proibisce di costruire più alcunché vicino alla costa: da una parte si salva il salvabile, dall’altra si cercano risorse sostitutive a quelle che i comuni ottenevano moltiplicando le concessioni edilizie (e peraltro chi paga quella tassa sa che la sua seconda casa varrà di più, se non si potrà costruire più nulla). Quanto infine all’eguaglianza tra sardi e non, mi pare di ricordare che esistano le discriminazioni positive: la tassazione progressiva, ad esempio, per cui i più ricchi non solo pagano di più in assoluto, ma anche in percentuale. Altrimenti, si dovrebbero abolire le tariffe agevolate, su traghetti e aerei, per i residenti in Sardegna. (Pierluigi Sullo)
Una tassa definita sul lusso
Marco Ligas
Il Manifesto, lettere | 28 agosto 2007
Capita che a certe iniziative legislative vengano dati nomi impropri che orientano e condizionano i giudizi di chi vuole conoscere i contenuti delle stesse leggi. È quanto sta succedendo in Sardegna su quella che è stata chiamata legge sul lusso approvata dal consiglio regionale e bocciata dl governo. In realtà se parliamo di tassa sul lusso come si fa, almeno fra chi ha un orientamento di sinistra, a non essere d’accordo che chi ha di più debba pagare di più. A leggere gli interventi di Gigi Sullo sul manifesto si ha l’impressione che questa legge sia molto avanzata e che risarcisca la Sardegna per i guasti subiti dalle speculazioni immobiliari. Ma è proprio così? A me sembra di no e non è un caso che stia suscitando diverse perplessità. Chi critica questa legge difende soprattutto uno dei principi centrali della nostra Costituzione che è quello dell’uguaglianza dei cittadini senza discriminazioni sulla base della provenienza regionale. E non basta dire che questo principio è spesso violato per legittimare interventi altrettanto trasgressivi. Credo che Gigi Sullo sbagli quando afferma che chi sottolinea questo principio costituzionale mostra una cultura statalista che è tipica della vecchia sinistra. Tutti sappiamo che questa nostra isola è stata presa d’assalto da imprenditori, speculatori, imbroglioni di diversa natura, forestieri e indigeni. In diversi luoghi sono state create città lineari che vivono solo due mesi l’anno; sono stati distrutti innumerevoli beni comuni e c’è chi specula sull’uso delle innumerevoli strutture costruite spesso al di fuori della legalità. Tutti costoro, sardi e non, dovrebbero risarcire le comunità locali per i danni che hanno provocato e dovrebbero pagare tasse proporzionate almeno ai valori attuali degli immobili di cui sono proprietari. Questo credo sia un obiettivo ben più efficace della legge sul lusso; e dovrebbe essere condotto all’interno di una lotta per la difesa e l’affermazione dell’autonomia regionale. Ma c’è un altro aspetto che bisogna affrontare e riguarda il futuro dei beni che conservano ancora un’integrità. Che cosa facciamo di questi beni? Facciamo in modo che alimentino ancora il turismo devastante che conosciamo o cerchiamo di cambiare rotta? Se analizziamo le tendenze o le decisioni dell’attuale presidente della regione registriamo una propensione per la realizzazione di un turismo di lusso che, lontano dal risolvere il problema dell’occupazione, segna una continuità col passato.
L’euforia per la decisione di ospitare il G8 a La Maddalena (con le relative iniziative di ristrutturazione degli edifici esistenti e di costruzione di alberghi per ospitare il personale al seguito del G8), le relazioni con l’Aga Khan (verosimilmente per programmare l’estensione della Costa smeralda sino all’arcipelago maddalenino), la contrattazione per lo scambio Quirra/Teulada, sono solo alcuni segnali di un disegno turistico niente affatto alternativo. È davanti a queste cose che l’affermazione Soru liberista intelligente mi sembra inopportuna perché non va dimenticato che i liberisti intelligenti spesso sono quelli che, attraverso il plagio, provocano danni ai loro partner senza che questi possano difendersi dalle angherie subite.
p.s. Le tariffe agevolate su traghetti e aerei per i residenti in Sardegna non rappresentano una deroga al principio di uguaglianza dei cittadini sancito dalla costituzione ma una decisione presa con molto ritardo (come spesso avviene per la Sardegna) che ribadisce una continuità territoriale e un’appartenenza della Sardegna all’Italia di cui ci si ricorda soprattutto quando nell’isola si devono installare basi militari.
Prendere Tobin per Robin
Marcello Madau
Il Manifesto, lettere | 28 agosto 2007
Mi sembra che il dibattito apertosi ultimamente sulla cosiddetta «tassa sul lusso» sia davvero il benvenuto: c’è un deficit di discussione a sinistra su questa misura, assieme alla necessità – che stiamo affrontando sulle pagine del «Manifesto sardo» e di altri organi di stampa con Marco Ligas, Andrea Pubusa, Sandro Roggio e altri compagni – di guardare in maniera critica e ravvicinata un provvedimento sulla cui adesione vi è a sinistra meno accordo di quanto, a una lettura «nazionale» che per sua natura può essere semplificatrice, possa apparire. E la discussione sarà migliore se riuscirà a superare un vecchio vizio (questo sì della «vecchia sinistra») di distribuire patenti di sinistra più o meno aggiornata o conservatrice. Non è per necessità di composizione mediana, dato che non siamo un partito ma, almeno spero, compagni pensanti e di opinioni persino diverse, che sono personalmente attratto sia dalle appassionate osservazioni di Sandro Roggio che dalla disamina critica di Andrea Pubusa. Ma le perplessità di Andrea mi convincono a fondo e – sperando di non meritare ulteriori reprimenda per tatalismo – sono convinto, per la nozione di bene comune e per gli apparati pubblici che devono garantirli alla comunità (non solo quella sarda), che non si possano lasciare esclusivamente alle regioni misure di tutela dei beni culturali e ambientali liberando lo stato da un impegno che i ben noti liberisti ai vertici del governo della Repubblica, pur di togliersi «spese pubbliche», sono pronti a depotenziare.
La devolution fiscale non può andar bene se colpisce i ricchi (non tutti) e male se colpisce gli extracomunitari o i non padani. Dico allora che preferisco fare battaglia innanzitutto su di un sistema nazionale che tuteli e risarcisca, valutando i danni del carico antropico e speculativo, su parametri omogenei e variabili a seconda degli impatti, con indicatori misurabili, questa e quella comunità italiana: che si chiami S.Teresa Gallura o Sorrento. Per tornare alla Sardegna (lasciando paragoni non proponibili fra tassazioni varie e continuità territoriale: nelle prime vi è una discriminante di classe o di residenza, nella seconda il vulnus nasce da una differenza di costi di trasporto originati dalla geografia!), tra molti compagni, a partire da quelli del «Manifesto sardo», non vi è interesse a schierarsi contro (neppure acriticamente a favore, però) di Renato Soru. Ma vi è forte preoccupazione per una sua idea (talora avanzata rispetto alle passate esperienze) di tutela e sviluppo dei luoghi pregiati in termini di turismo di élite che emerge con sempre maggiore chiarezza, che è contigua ai sistemi dell’alta speculazione: l’Asinara, La Maddalena, il progressivo svuotamento dei «parchi nazionali» (invece che chiederne i sacrosanti miglioramenti normativi a favore delle comunità residenti), sino alla tentata vendita – sventata per fortuna perché la gara è andata deserta – di parti pregevoli di un Parco geominerario promosso dall’Unesco come esempio mondiale. Direi discutiamone, e senza anatemi. Robin Hood, che prendeva ai ricchi per dare ai poveri, era un personaggio per quanto immaginario comunque amico del crociato Riccardo Cuor di Leone, e non vorrei neppure scambiare o confondere la vecchia Tobin Tax con una Robin Tax.