Proprietà collettiva: l’originale e le imitazioni

1 Marzo 2013
di Guido Ambrosino (Berlino), Giuliana Beltrame (Padova), Sergio Caserta, Mauro Chiodarelli (Bologna), Marco Ligas (Cagliari), Lidia Menapace (Bolzano) e Daniele Barbieri (Imola)
Cara Norma, in un editoriale del 20 febbraio (La testata dura del manifesto) inviti “le care lettrici e i cari lettori” a prepararsi a sottoscrivere per un progetto di “proprietà collettiva” della testata, e metti in guardia dalle “imitazioni”. A noi sembra invece che proprio il tuo progetto sia un’imitazione o, peggio, ricorra all’etichetta di “proprietà collettiva” per camuffare una sostanziale privatizzazione della testata: il suo passaggio in forma esclusiva, e escludente, al gruppo che ora gestisce il giornale.
Il tuo “noi”, il soggetto collettivo che aspira a diventare padrone della testata (non “tornare” a esserlo, perché non l’ha mai posseduta prima) è la cooperativa “il nuovo manifesto”, ovvero una cerchia di 10 + x persone. Dieci erano i soci al momento della costituzione il 18 febbraio. Il loro numero potrà crescere fino a qualche decina. Certo dovrà essere sostanzialmente inferiore ai 67 soci con cui si è sciolta a dicembre la vecchia cooperativa editrice in fallimento, schiacciata dal peso di un personale sovradimensionato rispetto alle vendite. Insomma un collettivo di produttori, giornalisti e poligrafici, di qualche decina di persone.
La prima cooperativa editrice nel 1994 aveva accettato di condividere la proprietà della testata, nell’ambito della “manifesto Spa”, con più di seimila azionisti, nostri lettori-sostenitori. Rispetto alla situazione precedente, il tuo progetto restringe radicalmente l’area coinvolta nella proprietà: priva i seimila azionisti della Spa (anch’essa prossima alla liquidazione) anche della loro partecipazione di minoranza, priva di ogni influenza giornalisti e collaboratori dissidenti (o comunque “eccedenti”).
Per questo, siccome si dice privata una proprietà anche perché priva qualcuno di un precedente diritto d’uso comune, il vostro progetto costituisce un passo di privatizzazione: mette attorno al manifesto una recinzione per impedire l’accesso a chi non rientrerà più nel novero dei 10 + x. Né potrà cambiare qualcosa la presenza cosmetica di un rappresentante dei circoli nel consiglio di amministrazione, che qualcuno di voi propone.
Il progetto di proprietà collettiva approvato il 4 novembre scorso all’assemblea nazionale organizzata a Roma dai circoli del manifesto era tutt’altra cosa. Partiva dalla constatazione che il valore della testata “il manifesto” sta nel sostegno che le hanno dato i lettori sottoscrivendo sull’arco di quarant’anni qualcosa come 18 milioni di euro e nel lavoro quarantennale dei giornalisti e dei collaboratori che vi hanno preceduto. Partiva anche dall’urgenza di creare un garante collettivo, per impedire quel che poi è avvenuto: una lotta tra frazioni contrapposte del vecchio collettivo, intenzionate a prendere solo per sé “quel che resta”.
Prevedeva perciò di affidare la proprietà della testata a una cooperativa di migliaia di persone: lettori soprattutto, ma anche collaboratori e redattori. Quel progetto è condensato nella dichiarazione d’intenti “il nostro manifesto”, ora sottoscritta da 100 persone, che alleghiamo, perché sembra tu ne abbia dimenticata l’esistenza.
All’assemblea del 4 novembre tu e il tuo “gruppo di gestione” avete votato contro o vi siete astenuti. Il gruppo di lavoro per la proprietà comune, condivisa tra lettori, collaboratori e giornalisti, gruppo costituito da quell’assemblea, in seguito al vostro ostruzionismo si è riunito solo una volta.
Alla proprietà comune – meglio chiamarla così per distinguerla da quella di un piccolo collettivo privatistico – vi siete opposti perché vedevate in pericolo la vostra “autonomia”. Il modello da noi proposto, in realtà, lascerebbe alla cooperativa giornalistica concessionaria della testata piena autonomia nella fattura del giornale. Le chiederebbe però di riferire sui conti economici e sui piani editoriali. Già questo a voi è sembrato un affronto. Avete scritto che non volevate “guardiani”. Ma allora, se volete fare tutto da soli col vostro “collettivo” proprietario, perché tornate a supplicare “le care lettrici e i cari lettori”?

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