Psicopatologia del silenzio

7 Agosto 2024
Foto Naaman Omar, Gaza

[Aldo Lotta]

Mattanza – c’è un termine più appropriato per quanto oggi succede a Gaza, o nella Cisgiordania occupata, dopo almeno 70 anni di genocidio sottotraccia?

Quei luoghi (prima prigione, poi poligono vivente sperimentale, poi ancora campo di sterminio a cielo aperto senza cimiteri, perché anche le tombe sono devastate) mi fanno ora pensare alla “camera della morte” delle tonnare: annientamento intenzionale, con un fine ultimo spietato e slegato da principi etici, nessuna via di fuga, mare di sangue e lembi di cadavere sparsi, tragico sadismo o, peggio, insensibilità e indifferenza di chi “persegue il proprio mestiere” genocida.

Il 19 luglio la Corte internazionale di giustizia ha espresso la sua opinione e la sua conclusione è forte e chiara: l’occupazione e l’annessione da parte di Israele dei territori palestinesi sono illegali e violano il divieto di segregazione razziale e di apartheid. Lo Stato di Israele ha l’obbligo di porre fine alla sua presenza illegale nei Territori Palestinesi Occupati “il più rapidamente possibile”.

Le decine e decine di risoluzioni dell’ONU sull’illegittimità delle azioni israeliane si sono succedute per almeno 70 anni, dalla Nakba (disastro in arabo), con le stragi e la scacciata di centinaia di migliaia di palestinesi (costretti ad una diaspora perpetua attraverso la “legge del non ritorno”), alla costruzione del muro della vergogna (dichiarato illegale nel 2004). E poi ancora in occasione di ogni singolo passo della colonizzazione genocidiaria strisciante: vittime civili, detenzioni amministrative, distruzioni di case e interi villaggi cisgiordani, seguite da una barbarica sostituzione etnica, i periodici bombardamenti della Striscia di Gaza fino all’attuale mattanza. Tutto contro una popolazione civile, formata da almeno il 70% di bambini, minori, donne, con un sistematico, sprezzante, rigetto delle leggi e convenzioni internazionali e dei diritti fondamentali dell’uomo.

Risoluzioni, quindi, e esaurienti documentazioni di accusa da parte di ONG per i diritti umani internazionali (come Amnesty International e Human Rights Watch) regolarmente, ignorate, con la complicità di tutto l’occidente e in particolare dell’Europa: dei governanti, dei troppi organi d’informazione asserviti, di un’opinione pubblica per lo meno distratta (e di fatto complice), ma tutto secondo una logica dettata da una consuetudine antica e incardinata, ahimè, nei popoli di inchinarsi di fronte al potere imperiale di turno, per paura e convenienza. 

Ma il silenzio assordante e allucinato del mondo politico occidentale e di buona parte dei media dopo questa, pur storica, sentenza ha dell’agghiacciante, perché sembra trasmettere la definitiva acquisizione da parte del nostro mondo di una normalità politica perversa, assolutamente non curante e di negazione rispetto al diritto internazionale (pur nato per impedire la ricaduta delle civiltà nei tragici errori che hanno portato ai massacri delle prime 2 guerre mondiali).

E’ un silenzio tragico e osceno, perché acconsente alla tragica e oscena ritualità dei quotidiani eccidi di donne e bambini nelle camere della morte: le aree devastate e dissacrate delle scuole, i cortili degli ospedali in macerie, le tendopoli: ingannevoli, lugubri “luoghi sicuri” in quello spazio sempre più tragicamente angusto che è Gaza, dove nessun luogo può comunque riparare, specie i neonati ed i più fragili, dall’arma infallibile e scientifica della carestia.

Ed è un silenzio non fisiologico, perché nulla possiede della reazione difensiva di chi ha paura e, a volte paralizzato dall’angoscia, trattiene il fiato. Evoca, piuttosto, la complice indifferenza di chi sta tacitamente e stolidamente dalla parte dello psicopatico, di colui che reitera serialmente il gesto che nei codici etici di buona parte della mediasfera, ma riprovevole non è più.

Così ora, anche grazie al nostro silenzio, le politiche genocidiarie e di apartheid attuate dalla nazione “caposaldo democratico, e coloniale in medio-oriente”, su precisa volontà di chi a Washington decide anche per noi, rischiano di diventare potenzialmente le nostre stesse politiche. Lo osserviamo molto bene in Italia, dove l’attuazione ossessiva senza freni di pacchetti legislativi che hanno come unico presupposto un criterio retrivo e ottocentesco di sicurezza nazionale prende di mira “il nemico”: i poveri, i migranti, gli stranieri, i carcerati, gli attivisti per la giustizia sociale ed ecologica, con buona pace della costituzione. E con il definitivo ripudio da parte nostra del sistema intero delle leggi e convenzioni internazionali e dei diritti fondamentali dell’uomo.

È necessario un risveglio da una trance potenzialmente letale e autodistruttiva per esigere, come società civile, (il più rapidamente possibile”, per riprendere le parole ammonitrici della Corte di Giustizia dell’ONU) il rispetto integrale di quei principi universali, che solo se attuati a salvaguardia di qualsiasi comunità in pericolo, compresa quella martoriata della Palestina, solo in tal caso oggi e in futuro potranno valere anche per noi.

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