Quale unità?
16 Maggio 2011Mauro Piredda
A pochi giorni dallo sciopero generale della Cgil che ha visto sfilare migliaia di lavoratori delle diverse categorie negli otto centri dell’isola, la Cagliari del 12 maggio scorso (e tutti noi anche il giorno seguente tramite i media) ha avuto modo di assaporare la rabbia di un altro spaccato di società sarda in lotta. Artigiani, commercianti, popolo delle partite Iva vessati da Equitalia e dalle sue cartelle esattoriali, connessi sentimentalmente a quei pastori sardi che nei mesi scorsi hanno manifestato in ogni dove e con molteplici forme per un giusto prezzo del latte (e non solo) e che oggi vorrebbero portare qui da noi il vento, di contagiosa rivolta, del Maghreb.
Ma tutto ciò si collega inevitabilmente anche alla desertificazione industriale da Porto Torres al Sulcis, ai veleni disseminati da padroni spregiudicati, alle servitù militari che non hanno nulla da invidiare a ufficiali depositi di stoccaggio di scorie nucleari, ai nuovi radar per ricacciare i migranti. Insomma, vediamo che la Sardegna presenta sul tavolo una serie di elementi che devono portare a riflessione obbligata su come uscire da questa crisi e su come riappropriarci il nostro futuro.
Soffermandoci sulla manifestazione del 12 non possiamo non elencare dei dati che portano questo spaccato di piccola borghesia nel nostro campo. Equitalia, la società pubblica di riscossione (è proprietà dell’INPS e dell’Agenzia delle Entrate, ma è quotata in Borsa) è una vera e propria piaga per le piccole imprese sarde: i debiti accumulati sul pagamento delle imposte e i relativi interessi e le more per il ritardo nei pagamenti, hanno fatto lievitare nel giro di un anno l’importo che le 70.430 aziende devono versare dai 3,51 miliardi di euro ai 4,27 (gennaio 2011). Con la prospettiva per migliaia di aziende di essere chiamate in causa in qualità di “soggetti evasori” e con quella, ancor più grave, di vedere espropriati i loro beni al sole come le case dalle quali vengono sfrattati.
Questo evidentemente non è fino ad ora bastato ad unificare la lotta con i lavoratori salariati. Chiaramente non è cosa possibile attraverso un semplice sciopero che garantisce per poche ore l’astensione dal lavoro ai soli dipendenti, e questo deve coinvolgerci, tutti, nelle discussioni su quali possano essere le forme più appropriate per una lotta generalizzata. assando al versante politico, e quindi ai dibattiti sulle prospettive della sinistra, cosa che vede il Manifesto sardo da tempo coinvolto sollevandone le problematiche, non può non ergersi la questione: perché questa frammentazione? Si, perché ancor prima di parlare della frammentazione politica della sinistra, come se tutti i mali della società sarda si potessero risolvere a livello organizzativo, come se chi lotta attenda con ansia ricomposizioni astratte da ciò che si propone, è opportuno andare a guardare al problema della frammentazione sociale, auspicandone la risoluzione partendo da un programma, di per sé anticapitalista, che sappia unificare tutti questi settori rovinati dalla crisi di questo sistema.
Ad esempio, come porsi nei confronti di quel sistema creditizio che grosso contributo ha dato a questa crisi (che è peggiore persino di quella del 1929), che riceve ingenti somme di denaro pubblico dai governi per essere tenuto in piedi e che allo stesso tempo manda in rovina intere famiglie di lavoratori? Insomma, programmi e alleanze sociali sono una cosa ben distinta dai programmi di coalizione e le alleanze politiche in vista delle elezioni. Non si vuole qui porre la questione di come “correre alle elezioni”, ma semplicemente riflettere sulle prassi consolidate. Anche perché, per dirla con Gianluigi Pegolo, responsabile Enti locali di Rifondazione/Fds, esiste a sinistra «una tendenza negativa a ridurre il confronto programmatico al minimo, nella speranza – attraverso la stipula di un’alleanza con il centrosinistra – di garantire l’elezione».
Citazione doverosa visto il contesto elettorale. Auspicio per una sinistra che sappia riappropriarsi del suo terreno.
18 Maggio 2011 alle 13:18
Auspico, più che altro, che sia il terreno a riprendersi la sinistra!
Infatti è vero che i partiti di cosidetta sinistra hanno tradito la causa dei lavoratori, disoccupati, studenti, contadini e pastori (chissà se quest’ultima l’hanno mai difesa…), che l’hanno sostenuta, ma è anche vero che noi l’abbiamo lasciata fare; e continuiamo a votarla, perchè? perchè non c’è un’alternativa! E allora? E allora l’alternativa si deve costruire, ma non (necessariamente) sotto forma di alleanza pre-elettorale, bensí di progetto concreto, che cerca spazi e strumenti alternativi con cui muoversi, che esce anche dal sistema CAPITALISTA della democrazia rappresentativa, dello stato-nazione (che sia italiano o sardo, non importa), e della sua sovrastruttura politica.
Poi, se qualcuno vuole andare in Regione o in Parlamento, vada pure, ma non a vendersi, bensí a sostenere un progetto che ESISTE sul terreno, nella società.