Psicologia ed elaborazione del lutto
1 Febbraio 2008
Guido Rocca
La cronaca delle morti tragiche, spesso di giovani, sul posto di lavoro, per incidenti stradali o per suicidio, ci costringe a ricordare che la perdita è una costante della nostra esistenza. L’impatto con la morte, ancor più se violenta e imprevedibile, attiva quei processi d’immedesimazione con chi scompare e con chi resta che costituiscono un’occasione per riflettere su quanto noi stessi, la comunità di cui facciamo parte, le istituzioni, siamo in grado di accogliere e contenere le emozioni di chi subisce tale distacco. Il lutto è la più drammatica e dolorosa tra le esperienze di perdita: nessuno riesce facilmente ad accettare la scomparsa improvvisa di un figlio, di un compagno, di un genitore, ecc. Si ricorre al rifiuto della realtà perché essa stessa evoca l’assenza della persona amata. Ci si trova di fronte ad un percorso di cambiamento molto faticoso, che richiede un lungo periodo per essere completato, e che talvolta si cerca di rinviare, rifugiandosi sull’immagine interna di chi è scomparso. Elaborare le perdite, adattandosi alla nuova realtà che si prospetta, è fondamentale: durante questo percorso tutto il mondo interno deve essere ristrutturato secondo forme nuove, partendo da una presa di coscienza dell’accaduto e vivendo profondamente tutte le emozioni legate al distacco, senza negarle o sfuggirle. La profonda tristezza, l’angoscia, il piangere la perdita della persona amata, sono passaggi normali di un processo di elaborazione del lutto. Il dolore dovrebbe essere accettato e vissuto fino in fondo: esso non scomparirà, ma potrebbe diventare sopportabile, fino a consentire di conviverci, soltanto se c’è stato il tempo per soffrire. Spesso al dolore si accompagna la rabbia, diretta verso le circostanze che hanno portato via la persona amata, o anche verso sé stessi, sotto forma di senso di colpa per non essere stati in grado di impedire che l’evento luttuoso si verificasse. La complessità di tale percorso spiega l’importanza di fornire, a chi subisce una perdita con potenzialità traumatica, un supporto psicologico specialistico che attivi e valorizzi le risorse adattative dell’individuo. Normalmente le persone sono in grado di proteggere la propria integrità ed il proprio equilibrio affettivo anche dopo aver subito un trauma, e tale capacità è correlata alla “resilienza” di chi lo subisce, ma anche a quanto l’ambiente in cui l’individuo è inserito sia stato in grado di mobilizzare tali risorse. Il termine resilienza, mutuato dalla scienza dei materiali, è traducibile come forza psicologica interiore. La resilienza è per la psiche paragonabile a ciò che il sistema immunitario rappresenta per il corpo e, considerata la stretta interconnessione mente-corpo, esiste una forte correlazione tra la resilienza psicologica e buon funzionamento del sistema immunitario. E’ noto che le esperienze di stress psicologico importanti determinano anche un abbassamento del tono affettivo, fino alla manifestazione di uno stato depressivo che presenta, come correlato biochimico, un incremento nel circolo sanguigno dei livelli del cortisolo, ormone in grado, tra le altre cose, di abbassare le difese immunitarie e determinare una maggiore predisposizione ad ammalarsi. Un distacco improvviso può talvolta rappresentare un evento “non integrabile” nella mente della persona, e rimanere quindi dissociato dal resto della sua esperienza psichica. Anche se è raro che un lutto determini lo sviluppo di una sindrome post-traumatica strutturata, il concorso di fattori personali, esperienziali, nelle caratteristiche della rete di supporto sociale personale, può contribuire all’instaurarsi di tale sintomatologia. La prevenzione del disagio psicologico, il rinforzo dei fattori di resilienza, ed il primo trattamento degli esiti conseguenti ad una perdita in una situazione “estrema”, rientrano nell’operatività della Psicologia d’emergenza, settore specialistico della psicologia che si occupa degli interventi in situazioni di calamità, disastri e crisi, e che studia il comportamento individuale, dei gruppi e delle comunità in tali circostanze. La Psicologia dell’emergenza si è diffusa soprattutto nel mondo anglosassone dai primi anni ’80, e ultimamente si è sviluppata anche in Italia diventando materia di insegnamento in alcune Università e cominciando ad integrarsi nelle attività formative e di intervento di alcuni Enti ed organizzazioni operanti nell’ambito del soccorso. Gli interventi clinici di Psicologia dell’emergenza si possono rivolgere ai soggetti direttamente coinvolti da un evento critico, ai parenti e/o testimoni diretti dell’evento e ai soccorritori intervenuti sulla scena, che spesso sono esposti a situazioni di particolare drammaticità. Uno degli ambiti operativi più delicati di tale branca della psicologia è rappresentato dalla comunicazione del decesso accidentale della persona cara, momento che, se non condotto adeguatamente, contribuisce ad amplificare la sofferenza e la potenzialità traumatogena dell’impatto con la perdita. Nell’ottica di favorire la mobilizzazione delle risorse di resilienza dell’individuo ed il corretto instaurarsi dei processi di elaborazione del lutto, l’intervento dello psicologo dell’emergenza prevede una particolare attenzione nella gestione degli aspetti comunicativi, relazionali ed emotivi della prima trasmissione della cattiva notizia. Questo avviene attraverso l’utilizzo delle metodologie più idonee a contenere l’impatto sui familiari delle vittime (come e dove comunicare la notizia; quali contenuti utilizzare: cosa dire e, soprattutto, cosa non dire; come contenere le reazioni emotive dei familiari; come favorire l’espressione e l’integrazione delle emozioni dei familiari). Pur di fronte all’evidente funzione preventiva di tali interventi sulla salute psicologica delle persone, dobbiamo costatare una non corrispondente sensibilità delle istituzioni preposte a garantire la tutela del benessere dei cittadini. Se, per esempio, in alcuni paesi europei lo psicologo è sempre parte integrante delle èquipe delle ambulanze che erogano servizi sanitari pubblici di primo soccorso, solo in poche regioni italiane (per es. Val d’Aosta) alcuni psicologi delle Asl compongono i team di intervento nelle emergenze. In Sardegna, attualmente, non esiste alcun ente pubblico dotato di èquipe specialistiche destinate a tali interventi ed organizzate con turni di pronta reperibilità, in grado perciò di rispondere rapidamente ed efficacemente a tali esigenze assistenziali. Purtroppo il nostro sistema sanitario si mostra, in generale, fortemente carente nel sostegno psicologico professionale nei confronti di chi entra in contatto con la malattia terminale e con la morte, anche nelle situazioni estranee all’emergenza, all’interno di contesti super strutturati come gli ospedali. La formazione del personale sanitario non prevede paradossalmente l’acquisizione delle competenze necessarie per comunicare adeguatamente una diagnosi infausta al paziente o ai sui familiari, né tanto meno la comunicazione della morte, come se tale esito non venisse contemplato come possibile in un percorso di assistenza. L’angoscia di fronte all’impotenza suscitata dalla morte, spesso determina anche nell’operatore sanitario un distanziamento difensivo dalla sofferenza che l’identificazione con il paziente o con il familiare inevitabilmente implicherebbe. Quando il distacco dell’operatore restituisce al paziente e ai suoi familiari l’angoscia di essere soli e senza solidarietà di fronte alla morte, è evidente che non esiste professionalità.
1 Febbraio 2008 alle 03:55
[…] marina: […]
3 Febbraio 2008 alle 00:14
Di questi tempi, dove il decesso per cause violente è al primo posto nell’agenda setting dei media, ho la sensazione che talvolta anche un problema di piccole dimensioni diventi insormontabile, figuriamoci accettare l’idea della morte. Un tema-tabù, che sin da piccoli siamo abituati a temere, a evitare, a non elaborare. Paura del mistero e dell’uomo nero, la grande incognita che angoscia i nostri sogni, i nostri pensieri, un enorme punto interrogativo che ci si augura solo di incontrare il più tardi possibile. Nella nostra cultura non esiste nessuna educazione al concetto della scomparsa, nessuna assistenza al tema della morte, nessun dialogo sulla morte, con la morte. Ma se la perdita è una costante della nostra esistenza, perchè si deve ricevere la diagnosi di una malattia terminale o la notizia improvvisa della morte di un proprio caro in un modo inadeguato, lasciando spesso i familiari in balìa dell’impotenza e della disperazione sotto forma latente di un costante e inguaribile disagio psicologico senza l’assistenza di una figura professionale adeguata? Perchè non aprire le porte alla Psicologia dell’emergenza negli ospedali, nei comuni, nei consultori, nelle ambulanze, nelle scuole, per rispondere alle diverse esigenze assistenziali dei cittadini? Perchè non contemplare l’intervento professionale e la solidarietà anche di fronte alla morte? Perchè rimanere da soli nel dolore? Perchè da soli con la morte? Il dolore non scomparirà, ma potrebbe diventare sopportabile.
4 Maggio 2008 alle 18:55
Mi occupo di elaborazione del lutto gestendo dei gruppi all’interno dell’azienda sanitaria n. 3 di Nuoro, in qualità di psicologa e psiconcologa. In Sardegna abbiamo poco…la Sardegna potrebbe offrire DI PIU’, se qualcuno chiedesse DI PIU’ a noi. Il dolore dovuto ad un trauma così atroce quale la perdita di un caro, è un’esperienza che ci segna per tutta la vita. Il dolore è ineluttabile, esperienza umana, ma fa male e va gestito. Il dolore nella solitudine fà ancora più male perchè diventa disperazione e la disperazione è ingestibile.
Aiuto le persone a imparare a non dimenticare, ma a ricordare tutto quello che la persona è stata e tutto ciòà che ci ha donato ed insegnato in vita e perchè no, in morte… E’ necessario imparare a custodire il proprio dolore, custodirlo in uno scrigno prezioso nel nostro cuore, nella nostra Anima.
Una persona in lutto ha bisogno di piangere, di essere compresa, non compatita . Ha bisogno di attraversare l’Inferno, del qui ed ora, non da sola, ma accompagnata da una mano sincera, silente, empatica,non giudicante. Questo è quello che dico io alle persone che ho il piacere di accompagnare verso la rinascita che passa,ovviamente, attraverso la propria morte.
Se qualcuno avesse bisogno ci trova a Nuoro al n.0784/240588
7 Novembre 2009 alle 18:10
Ho perso mia sorella giovanna di 49 anni a febbraio 2009. Dopo una serie di lutti in famiglia non mi aspettavo di certo questa ulteriore perdita. e’ stato devastante x il mio sistema psicofisico. Ho incontrato la dott.ssa Brusasca e ho deciso di partecipare agli incontri di gruppo x l’elaborazione del lutto. Lo consiglio a tutti. Dopo sei mesi di incontri settimanali sto molto meglio. La dolcezza, la sensibilita’, l’empatia di Nadia sono state di enorme aiuto. Ora sto meglio. Con le persone che insieme a me hanno partecipato agli incontri si e’ creato un rapporto di stima e amicizia e c’e’ stato un aiuto vicendevole. Non ho certo dimenticato mia sorella, ne’ smesso di soffrire, ma riesco a gestire meglio il dolore. GRAZIE NADIA.Grazie a tutti i partecipanti.
16 Novembre 2009 alle 08:23
carissima Natalina
Il tuo cuore è grande e generoso comme quello della nostra amatissima Giovanna. Grazie per la tua sensibilita che trasmette tanta emozione e serenità; ne abbiamo tanto bisogno, tutti. UN ABBRACCIO.