Quando la storia italiana cade nell’oblio
1 Ottobre 2008
Gianluca Scroccu
Chissà cosa avrebbe detto Sandro Pertini, sette anni Presidente della Repubblica Italiana e quattordici tra carceri e confino durante il fascismo, delle recenti affermazioni dell’attuale ministro della Difesa e del sindaco della Capitale su Resistenza e reduci di Salò, lui che ad un deputato del MSI che gli aveva chiesto se avesse mai perdonato i suoi persecutori, aveva risposto: «Come potrei vivere se non avessi perdonato? Perdonato si, tutti. Dimenticato, no».
Dimenticare: è quello che vogliono i politici nostalgici che vorrebbero seppellire la storia d’Italia in base alla loro militanza ideologica. Una cosa che accade solo in Italia, l’unico paese dell’Unione Europea, addirittura tra i sei fondatori, nel quale si segnala la mancanza di una coscienza civile nazionale che sappia guardare alla propria storia con obiettività per conoscere e ripudiare le nefandezze e le atrocità del passato e costruire un mondo migliore dove certi orrori non accadano più. Un paese, come annotava giustamente Gadi Luzzatto Voghera su “La Stampa” del dieci settembre, che non ha ancora fatto i conti con le sue responsabilità. Immaginiamoci solo se il borgomastro di Berlino o il ministro della Difesa tedesco avessero fatto pubbliche dichiarazioni a difesa dell’onore delle SS che combatterono sotto Hitler contro gli alleati angloamericani; o, ancora, se il Cancelliere Angela Merkel sostenesse durante un incontro pubblico che Goering, riorganizzatore della Luftwaffe, fece anche delle cose buone. O, ancora, immaginiamo di sentire un Ministro Norvegese elogiare Quisling, o uno francese Petain: scatenerebbero un putiferio, con conseguenti dimissioni. Ma queste cose, nei paesi seri, non succedono.
Oggi il vuoto di memoria, per richiamare il titolo di un bel libro di Stefano Pivato edito da Laterza, ha consentito questo livellamento progressivo delle differenze che consente di affermare come tutti, dopo tutto, difendevano le loro ragioni. Un parametro di valutazione aberrante, sul piano storiografico prima che su quello politico. Un’abile operazione mediatica, condotta da non storici, mirante, per usare le parole di un dei massimi e più intelligenti storici del fascismo, Emilio Gentile, a defascistizzare il regime, ad allentarlo progressivamente dall’accostamento dal nazismo, ad offuscare il suo carattere totalmente antitetico rispetto alla democrazia. Ecco quindi che nel linguaggio mediatico si parla solo del totalitarismo nazista e di quello comunista, mai di quello fascista, che nel senso comune continua a non essere ritenuto un totalitarismo. Proliferano stereotipi che creano un terreno favorevole per distruggere le basi stesse del nostro tessuto civico, e che arriverà sicuramente anche alla condanna del Risorgimento e di Cavour, Mazzini e Garibaldi. E si costruisce l’Italia dell’oblio che dimentica gli armadi della vergogna (in cui vennero occultati per decenni i fascicoli giudiziari contenenti il materiale processuale sui crimini nazisti e fascisti nel biennio 43-45) e le stragi compiute durante le nostre imprese coloniali. Discorsi che non entrano nell’arena dei talk show, dove hanno fortuna solo le chiacchiere sul “sangue dei vinti” e sulle “grandi bugie” di una sinistra che avrebbe nascosto gli eccidi della Resistenza, oltre che i diari (falsi) di un Mussolini contrario alla guerra (ricordate la puntata di “Porta a Porta” sul clamoroso ritrovamento dei totalmente falsi diari del Duce da parte di Marcello Dell’Utri? Una delle pagine più vergognose della storia del servizio pubblico per cui nessuno ha avuto richiami formali, ad iniziare da Vespa che è sempre lì). Eppure la storiografia ha continuato le sue ricerche in archivio e attraverso la comparazione delle diverse fonti, come nel caso del bellissimo e tragico libro di Guido Crainz, “L’ombra della guerra. Il 1945, L’Italia”, edito da Donzelli. Una ricerca importante, condotta su un solido impianto costituito dalle carte dell’Archivio Centrale dello Stato, che ci restituisce il dolore e la violenza di quei drammatici mesi. Ma del libro di Crainz, e delle tante ricerche provenienti anche dalle tesi di laurea e di dottorato di tanti giovani ricercatori non si parla in televisione.
Né vediamo i loro lavori accatastati nei supermercati: certo, le riviste storiche, anche straniere, le ospitano e le discutono, ignorando nella maniera più totale i libri di Pansa. Ma a chi interessa? Oggi tutto si costruisce attraverso la televisione! Soffermarsi sul biennio della Resistenza, agitando lo spauracchio del comunismo, significa cancellare ogni riferimento alla costruzione della dittatura fascista degli anni Venti e Trenta: la persecuzione degli antifascisti di tutte le tendenze, la chiusura di tutti i partiti politici, dei sindacati, della stampa, la lotta contro le leghe rosse e bianche, la partecipazione alla guerra di Spagna e la vile conquista dell’Etiopia. Ecco perché occorre ricordare i nomi e la storia di Matteotti, Don Minzoni, dei fratelli Rosselli, di Gramsci, Gobetti, Ernesto Rossi, Altiero Spinelli, Giovanni Amendola, Lina Merlin, De Gasperi, Nenni, Di Vittorio sino agli ufficiali e ai soldati italiani catturati dai tedeschi e internati nei campi di concentramento (oltre 600 mila) perchè decisero di resistere e di non aderire alla RSI per arrivare alla vergogna delle leggi razziali antiebraiche e delle stragi nelle colonie. Occorre non dimenticare per evitare che la storia di chi vuole costruire un regime monocratico basato sul pensiero unico, seppur con altri manganelli, magari mediatici, si ripeta.