Ragazze di Istanbul
1 Luglio 2014Valeria Piasentà
E’ uscito il rapporto di Amnesty International sulla protesta turca, che dal 30 maggio 2013 si è diffusa dalla piazza Taksim di Istanbul per tutto il Paese. La relazione specifica l’entità delle violenze poliziesche, che vanno dalle percosse all’uso illegale di gas lacrimogeni e canoni di acqua addizionati ad elementi chimici, fino alla violenza sessuale e agli spari ad altezza d’uomo. Mette in evidenza l’attacco alla libertà di espressione e di riunione, e il carattere continuativo di impunità della polizia. «La mancanza di indagini e procedimenti di abusi da parte delle forze dell’ordine e l’assenza di meccanismi di ricorso efficaci realmente indipendenti, è stato notato con preoccupazione negli ultimi anni, dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti umani e dal Comitato contro la tortura.»
Già dai primi giorni, il Comitato in difesa di Gezi Park ha chiesto di poter manifestare in sicurezza, ma «Il governo perpetua politiche di violenza, repressione e censura sulle persone che presentano le loro richieste per i diritti umani in un modo pacifico e democratico. Chiediamo di poter esprimere le nostre rivendicazioni democraticamente, senza che alcun individuo subisca atti di violenza fisica.» (dichiarazione del Comitato dopo l’incontro con il vice primo ministro Bülent Arinc, il 5 giugno). Del resto che aspettarsi dal primo ministro Erdogan, quando considera «holligans» chi esprime opinioni contrarie, che non rispetta le richieste della UE e delle Nazioni Unite affinché ponga fine alla violenza della polizia su dimostranti pacifici, anzi minaccia repressioni più pesanti in caso di ulteriori contestazioni? Sono state sanzionate anche le proteste passive: da luglio è considerato un crimine sbattere pentole e coperchi come atto di solidarietà; sono stati arrestati i giovani artisti che protestavano immobili e silenti al centro della piazza, in quella forma di contestazione passiva conosciuta come ‘l’uomo in piedi’. Sono sotto inchiesta 45 studenti della METU – una delle più prestigiose università della Turchia, la Middle East Technical University – da quando non hanno salutato convenientemente il primo ministro turco durante una visita nel dicembre 2012. Il 1 ottobre centinaia di oppositori si sono raccolti al molo di Besiktas, a bere il tè in gruppo, e 12 sono stati arrestati. La repressione poliziesca ha riempito le carceri di studenti, di giornalisti e di oppositori politici; ha causato sei morti e migliaia di feriti; ha lasciato segni indelebili su corpi e volti dei manifestanti, ad alcuni sono stati cavati gli occhi, come testimonia il video rilasciato da Amnesty insieme al rapporto.
Poi c’è la violenza sulle donne. Erdogan: «Le donne sono le donne, gli uomini sono uomini: c’è possibilità per loro di essere uguali?» Queste parole attestano il carattere discriminatorio di uno Stato patriarcale, giustificano le molestie sessuali e le violenze perpetrate come strumento di repressione e controllo del corpo femminile. Lo stupro di donne e minori è la regola nei fenomeni collettivi di punizione, specie nelle guerre etniche dove è strumento per rompere lo spirito dei ribelli. Non è il caso della Turchia, allora perché né Erdogan né il suo governo hanno adottato misure per affrontare le accuse documentate dalla maggioranza delle donne arrestate durante le manifestazioni? Mentre proprio la presenza di donne – si definisce spesso questa protesta come ‘un movimento al femminile’ – e di giovani che ha caratterizzato le manifestazioni, è garanzia di protesta civile e non violenta. La loro presenza legittima un movimento non marginale.
Dal Rapporto di Amnesty International: Deniz Ersahin ha raccontato come è stata violentata da agenti di polizia nel quartiere Kizilay di Ankara, il 16 giugno. «Erano circa le 18 del 16 giugno, il giorno del funerale di Ethem Sarısülük (ndr: un manifestante di 26 anni, morto il 14 per un colpo di proiettile alla testa). Non stavo prendendo parte alla manifestazione (ndr: il funerale di Ethem) ma guardavo da lontano in compagnia di due amiche, in piedi accanto al centro commerciale GIMA… La dimostrazione era in Güven Park e dove eravamo noi, in Sakarya Avenue, non stava succedendo nulla. Poi è arrivata la polizia, con un veicolo blindato, e senza preavviso ha sparato un lacrimogeno verso di noi. Siamo scappati verso viale Yüksel ma lì c’era la polizia antisommossa ad aspettarci. Sono caduta… Un poliziotto mi ha afferrata e mi ha detto di aprire la borsa. Ha colpito la mia amica col manganello, lanciato una granata… spruzzato spray al peperoncino negli occhi. Corremmo fuori e mi sono ritrovata sola con la polizia dappertutto… Un agente di polizia antisommossa ha preso la mia borsa, avevo una maschera bianca, una soluzione Talsit (ndr: per curare l’esposizione a gas lacrimogeni) e una bandiera turca. Ora sapevano che ero una dimostrante. Mi hanno portata alla zona dove si tenevano le persone in stato di detenzione, dietro Güven Park. Hanno gridato insulti sessuali come ‘cagna’ … Intorno c’erano i giornalisti a scattare foto, ma i poliziotti continuavano a imprecare contro di me. Un ufficiale ha cominciato a toccarmi nelle parti intime. Lo guardai. Indossava una maschera antigas. Ho detto “cosa stai facendo?”, ma ha continuato a farlo. Hanno preso le mie foto, non ho detto nulla. Uno della polizia ha detto “perché questa cagna sta parlando”. Ho detto ” Che cosa stai dicendo” Egli rispose: “Chiudi la bocca!”. Uno dei poliziotti mi ha presa a calci, mentre venivo caricata su un veicolo da un poliziotto donna, che ha sbattuto la mia testa contro il vetro della finestra, due volte… Erano circa le 18,30 o le 19, quando ci hanno portato alla Sicurezza Generale. Quando sono arrivata ho detto di essere stata picchiata, che mi hanno violentata. Hanno riso prendendosi gioco di me. Eravamo in 118, di cui 17 donne. Gli uomini erano in uno stato peggiore di noi, coperti di sangue, i vestiti strappati. La polizia ha cercato di farmi firmare un pezzo di carta con tutte le cose di cui sono stata accusata: tentativo di rovesciare il governo, resistenza alla polizia, appartenenza ad un’organizzazione terroristica, danneggiamento di proprietà pubblica, lancio di una molotov. Mi sono rifiutata di firmare. Poi sono stata portata a una visita medica. Ho detto al dottore delle violenze, lui non mi ha neppure guardata… Sono stata detenuta per più di 24 ore… Uscita ho fatto una denuncia. Ho detto che mi hanno violentata. In un primo momento l’ufficiale di polizia non ha scritto quanto stavo dichiarando. Il mio avvocato ha insistito e alla fine lo ha scritto. Ma come nota in fondo al documento…».