Rappresentiamoci
29 Febbraio 2012Alfonso Stiglitz
Trentamila firme non sono poche, in Sardegna, raccolte in alcuni mesi per proporre dieci referendum impegnativi che possono cambiare in modo importante il nostro modello di governo. Il 10 giugno prossimo o, forse, il 6 maggio in accorpamento con le amministrative saremo chiamati a pronunciarci sui quesiti abrogativi e consultivi presentati dal Movimento Referendario Sardo. L’appuntamento è di quelli che hanno bisogno di un’ampia discussione sia sul merito dei singoli quesiti sia sul significato di questa azione politica. La massiccia partecipazione alla raccolta di firme è avvenuta, certamente, nella spinta derivante dai referendum del 2011, che per la prima volta da decenni hanno visto la grande partecipazione al voto. Uno stimolo oggi accresciuto, per preoccupazione, dalle ricorrenti voci di un ‘tradimento’ del risultato di quei referendum, ventilato in più scriteriate dichiarazioni di esponenti del governo tecnico, nel silenzio pesante del Presidente della Repubblica che di quei risultati dovrebbe essere garante. Attesa ingigantita dalla bocciatura del referendum elettorale, con una delle consuete sentenze della Corte Costituzionale che sull’ammissibilità dei referendum ha creato una giurisprudenza più attenta agli equilibri politici che alla volontà dei cittadini. Infine, ha contribuito il sempre più crescente isolamento dei partiti, arroccati in una situazione di chiusura totale verso la società. Una situazione per certi versi preoccupante perché, complice la ventilata catastrofe economica, ci ha portato verso una risposta tecnocratica, sempre più tesa alla eliminazione della rappresentanza, tale da portare un insigne costituzionalista, certo non estremista di sinistra, come Gustavo Zagrebelsky a lanciare un grido di allarme molto preoccupato per la sospensione della politica rappresentativa. I referendum rappresentano, in questo momento, uno dei rari strumenti che abbiamo come cittadini per riappropriarci di quello che ci spetta, il diritto di decidere come rappresentarci e che cosa i nostri eletti devono fare. In effetti i dieci referendum ci chiamano a scegliere, in modo abrogativo o consultivo, su alcuni aspetti fondamentali del nostro potere di decidere e per questo sarà importante discuterne anche perché, per usare uno stantio luogo comune, non è tutto oro quello che luccica. Cerchiamo di iniziare a proporre qualche stimolo. I primi cinque quesiti sono volti alla abolizione completa delle province, sia le quattro storiche (Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano, ma in questo caso si tratta di un referendum consultivo, in quanto istituite con leggi statali) che le quattro nuove (Carbonia-Iglesias, del Medio Campidano, dell’Ogliastra e di Olbia-Tempio, in questo caso è un referendum abrogativo in quanto istituite con leggi regionali). Da storico oppositore della forma-Provincia non posso che essere favorevole alla loro abrogazione in quanto Enti sostanzialmente inutili e sede di trampolini o parcheggi della nomenclatura politica, molto attenta al vecchio sistema clientelare dei notabili, più che alla vitalità dei nostri territori. Il problema che si pone ed è un po’ il difetto dei referendum, è che possiamo solo mettere mano alla “pars distruens”, rischiando di creare una situazione monca nel rapporto tra Regione/Stato e cittadini. In altre parole l’abolizione delle Province deve essere solo una parte di una riforma che abbia come altro aspetto il rafforzamento giuridico delle libere Unioni del Comuni, trasformate in effettivo soggetto politico di rappresentanza delle Comunità locali nel rapporto dialettico con il centro, sia esso lo Stato o la Regione. Una campagna da fare, sulla quale sarebbe auspicabile un movimento altrettanto importante a partire dalle centinaia di amministratori locali che sono stati i primi firmatari dei referendum. Una rappresentanza, in sostanza, dal basso secondo esigenze e bisogni che sono legati al territorio e che possono essere meglio esauditi con la razionalizzazione dei servizi oggi esistenti. Nell’ottica della eliminazione di posti politici di puro potere, a disposizione di partiti, o meglio di componenti personali interne ai partiti, va il quesito sulla abolizione dei consigli di amministrazione di tutti gli Enti strumentali e delle Agenzie della Regione. Anche in questo caso siamo in presenza di strutture inutili per il funzionamento degli Enti ma fondamentali per il mantenimento del potere da parte delle consorterie, ormai slegate dalle effettive rappresentanze popolari e più dirette a costituire un trampolino di lancio o un parcheggio o un pensionamento, a seconda dei casi, di esponenti politici, con interessanti emolumenti. In questo caso nessun rischio di perdita di rappresentanza da parte dei cittadini. Più gravi mi paiono le scelte riguardanti la Regione, con la richiesta di diminuzione del numero di Consiglieri a 50 e della elezione diretta del Presidente. Il “combinato disposto” tra i due quesiti mi pare proponga una visione personalistica e, conseguentemente, autoritaria del nostro ente maggiore. Una scelta del Presidente slegata, forse, dai giochi di sottopotere e dalle nomine eterodirette da Roma in barba alla nostra Autonomia, ma basata tutta sulla persona e sulla capacità di contrattare in termini demagogici con i cittadini; unita alla diminuzione dei consiglieri, con conseguente scarso legame tra l’eletto a chi l’ha delegato. Purtroppo l’accostamento di questo quesito a quello della diminuzione degli emolumenti sta provocando un entusiasmo, giustificato dalla inaccettabilità dei privilegi, che porterà con sé un maggiore potere a pochi e la definitiva esclusione della rappresentanza. In tale direzione penso che dovremo avviare un’intensa campagna politica, unendo il mantenimento del numero degli eletti, alla diminuzione degli emolumenti e soprattutto al vincolo dei due mandati, senza eccezione alcuna e all’incompatibilità con qualsiasi altra carica elettiva. Queste due ultime scelte potrebbero già essere fatte proprie dai partiti in modo autonomo in attesa di una legge. In un momento di forte e pesante ritorno al centralismo statale, vedi le scelte sulla tesoreria unica, sul patto di stabilità e sulla sostanziale abolizione dei Comuni sotto i mille abitanti, con un sindaco-sceriffo dello Stato (scelta oggi contestata dalla recentissima L. R. 4 del 22.2.2012), mi piace di più il referendum consultivo sulla creazione di un’assemblea costituente eletta a suffragio universale. Un’assemblea che vorrei veramente rappresentativa della società civile, per intenderci incompatibile con il mandati elettivi in essere, siano essi regionali o parlamentari (ma anche delle cariche degli enti locali) per proporre una sana dialettica con i poteri esistenti, che dovrà avere una forte propensione contro lo statalismo crescente e indirizzata verso l’autentica autodeterminazione della comunità; che poi questa sia realizzata nella forma di forte autonomia o di indipendenza scegliete voi.
PS. Non per fare l’ipercritico a tutti i costi ma la recentissima legge regionale 4/2012 ha un titolo che recita “Norme in materia di enti locali e sulla dispersione ed affidamento delle ceneri funerarie”; testuale, non sto inventando niente. Ora, a parte l’orrenda “d eufonica”, che c’entrano le ceneri funerarie con l’organizzazione degli enti locali? Non vorrei pensare male.