I cattivi maestri e le cattive compagnie
16 Novembre 2007Redazione
La questione lavoro continua a caratterizzare la crisi della Sardegna: Decimoputzu pone di nuovo il problema dei contadini e si trascina quello dei pastori, Legler quello delle fabbriche di ultima generazione (e illusione), Geoparco quello della tradizione mineraria, il G8 alla Maddalena quello di futuri muratori e camerieri a cinque stelle, mentre continua il precariato cognitivo ed il suo sfruttamento, nei beni culturali. Affascinati dalle sorti magnifiche e progressive del capitalismo avanzato a dominio finanziario e dei suoi maestri vicini e lontani – l’opposizione di centro-destra è certo cinica nelle sue teorizzazioni liberiste, ma la sinistra non riesce a vedere un superamento critico e razionale del sistema – assistiamo alle macerie del lavoro e delle famiglie operaie, contadine e pastorali.
Sarebbe opportuno riprendere – garantendo a tutti il diritto, non delegabile al mercato, ad un’esistenza dignitosa e riaprendo definitivamente quello dell’accesso ai beni comuni – una seria discussione critica sulle diverse utilità delle produzioni e delle merci anche nella nostra Isola.
Intanto la recente sentenza della Corte Costituzionale sulla sovranità della Regione Sardegna sollecita una discussione senza condizionamenti su questi temi, da noi più volte affrontati scrivendo e confrontandoci, dove necessario animatamente, sulla cosiddetta tassa sul lusso, sulla legge statutaria e attorno alle competenze su ambiente e beni culturali.
La riflessione generata, partendo dai rilievi della Corte Costituzionale (“avete messo assieme autonomismo e sovranità, concetti e assetti molto diversi”), non è di poco conto.
Il dato politico è certamente rilevante: l’Italia mette uno stop a tentativi di indipendenza più o meno chiari da parte della Sardegna, e si ha l’impressione di una confusione fra coordinate importanti come regionalismo, autonomismo, federalismo, nazionalità e nazionalismo, indipendenza, all’interno di un indebolimento teorico e analitico preoccupante. Ma da questa debolezza non è certo immune lo Stato italiano: negli ultimi vent’anni ci sono stati troppi apprendisti stregoni e troppi ammiccamenti alle fortune politiche di pseudo-nazioni, con una traiettoria sinceramente deprimente fra Miglio e i saggi di Lorenzago. Smarrimenti teorici e politici sono stati talmente forti da arrivare anche in Sardegna, bruciando storie importanti come quella sardista in apparentamenti politici poco decorosi con la Lega Nord.
Per la sinistra discutere di questi temi non è esercitazione formalistica ed accademica: è capire come coniugarli con le esigenze di eguaglianza e solidarietà, comprendere la relazione fra gli assetti giuridici ed istituzionali da un lato, lavoro, giustizia sociale e accesso e uso dei beni comuni dall’altro, in modo da esprimere fondate condivisioni o distanze critiche.
Post scriptum. Non si può solo discutere in termini di cattive compagnie, ma le posizioni di Borghezio e Calderoli sulla bocciatura della Corte Costituzionale ci sembrano, per il governo regionale ed i suoi sostenitori, compagnie ancora più imbarazzanti di quelle che hanno strumentalizzato la critica alla legge Statutaria.