Renzi e la riforma elettorale

1 Febbraio 2014
italicum
Graziano Pintori

I nuovi giovani dirigenti del Partito Democratico esordiscono come uno tsunami sbaragliando la vecchia nomenclatura: zittiscono D’Alema, portano alle dimissioni dagli incarichi ricoperti prima Fassina e poi Cuperlo, alimentano tensioni e i tira e molla facendo fibrillare il governo Letta. Il giovane Renzi ostenta sicurezza nel suo operare quotidiano grazie all’indiscutibile vittoria delle primarie e al solido conforto del presidente Napolitano, il quale, evidentemente, gli raccomanda di tenere ben presente la lenza che collega il Quirinale con via del Nazareno. Perciò, avanti tutta con l’agenda delle riforme- Legge Elettorale, Province, Senato, titolo V della Costituzione, Jobs Act – concordata non solo con l’inquilino del colle, ma anche con il pregiudicato di palazzo Grazioli: due sponde forti tanto da permettere al neo segretario PD di fare la voce grossa, di sollevare il mento stringendo le mandibole e premere i pugni ai fianchi, come un simpatico ducetto. Le certezze ostentate dal giovane capo del PD spiazza i pochi avversari interni, per quanto navigati siano, e queste gli permettono di presentare una nuova legge elettorale che raccoglie un po’ di mattarellum, di metodo spagnolo e porcellum per concepire Italicum: una miscela che farà deflagrare i partiti con le percentuali più deboli. Le soglie minime del 4,5, 8, 12 per cento negano a milioni di elettori di essere rappresentati in Parlamento, poiché i loro voti potrebbero non raggiungere, anche per pochi decimali, quelle percentuali. Infatti, il 4,4% dei suffragi ottenuti da una lista potrebbe contribuire a far vincere la coalizione di appartenenza, però non eleggere nessuno dei propri candidati, come nessuna rappresentanza è concessa alle coalizioni che si fermano all’11,9% (anziché al 12%), così pure nulla spetta alle formazioni politiche che in solitudine raggiungono il 7,9% (anziché l’8%). Sono numeri che fanno rabbrividire chi nel proporzionale vede il sistema di rappresentanza più coerente con il concetto di democrazia. Il tutto è aggravato dalle liste bloccate, ossia il sistema senza preferenze, fortemente voluto da chi governa i partiti da padroni e non da leader, poiché le liste bloccate permettono loro di inserire le persone più compiacenti e fedeli. Infatti, i padroni dei partiti sostengono che il sistema delle preferenze è l’anticamera della corruzione e della cattiva politica e manda avanti solo chi può permettersi campagne elettorali dispendiose, impedendo l’accesso ad altri meno abbienti, anche se più capaci sul piano politico e moralmente più affidabili. Come a dire, con cinica spudoratezza, che le liste bloccate del porcellum hanno tenuto lontani la corruzione, il malaffare, l’uso personale della politica in questi ultimi anni. Inoltre, se le preferenze recano tanto danno perché non cambiare tutti i sistemi elettorali dove vige anche il voto di preferenza, come avviene in certe regioni e nei comuni? Luoghi non estranei alla corruzione, agli opportunismi, agli arricchimenti ecc., luoghi in cui si contano onorevoli e consiglieri corrotti pari alle corti dei re e dei principi, che nel medio evo governavano le regge, i comuni e le corti ecclesiastiche. La verità è che i partiti sono diventati macchine elettorali imperniate sulla figura del “capo”, il quale determina, ancor di più con le liste bloccate, la vita politica dei suoi accoliti e di chi lo assiste durante le funzioni della spartizione del potere, mentre, al contrario, determina la fine di chi si mette fuori dai “giochi” poiché si distingue per onestà e autonomia nell’ottenere preferenze elettorali fuori controllo. Il premio di maggioranza, vale a dire più seggi per garantire la maggioranza assoluta, è conseguente alla ferrea volontà del PD e FI di imporre un sistema che esclude la pluralità nel Parlamento, giacché i piccoli partiti sono definiti un intralcio ai loro programmi. Si tratta di un sistema elettorale (soglie di sbarramento, liste bloccate, premio di maggioranza, salva-lega) più consono a una dittatura con pennellate di democrazia parlamentare, piuttosto che l’espressione di un suffragio che liberamente sceglie i propri rappresentanti. Sarà interessante conoscere, si spera al più presto possibile, quale sarà la percentuale delle astensioni alle prossime elezioni politiche e come si procederà sulle riforme della Costituzione, per capire come si concilierà il voto di astensione con il premio di maggioranza, e stabilire se il livello della democrazia tenderà sempre più verso il basso. Attendiamo. Tutto dipende dal Parlamento. Intanto, per stare in clima elettorale, il prossimo sedici febbraio noi sardi siamo chiamati al rinnovo del Consiglio Regionale, dovremo esprimere un voto dopo una campagna elettorale in cui alcune forze politiche liquidano il campo avversario senza distinguere la sinistra dalla destra, il centrodestra dal centrosinistra, mettendo al centro, come unica panacea, il sardismo con il suo autonomismo, o sovranismo, o indipendentismo ecc. Una forma di propaganda opportunista e politicamente limitata, considerato, comunque sia, che il concetto di organizzazione sociale non può prescindere dalle idee che si alimentano dalla sinistra o dalla destra. Per quanto mi riguarda sceglierò il centro sinistra, alla cui guida si propone un presidente che possiede serietà, competenza e quel pizzico di indispensabile sardismo, nel contempo orienterò la preferenza verso la sinistra sarda.

1 Commento a “Renzi e la riforma elettorale”

  1. Rocco Quindici scrive:

    “Mentre aspettiamo che Berlino abbia il coraggio politico di fare la cosa giusta, noi italiani abbiamo una precisa agenda di cose da fare. L’elenco stilato il 5 agosto scorso da Draghi e Trichet nella lettera a Berlusconi basta e avanza per fare chiarezza tecnica sulle questioni principali: si tratta, in sostanza, di liberalizzare i servizi pubblici locali e i servizi professionali; di ridurre la rigidità della contrattazione salariale, per riconoscere differenze fra aziende e fra territori; di adottare la flexsecurity proposta da Pietro Ichino per avere più occupazione insieme a più garanzie per chi perde il lavoro; di mettere ordine nel sistema pensionistico, “rendendo più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità”. Chi ha detto queste parole nel 2011, dopo il diktat della troika all’Italia? L’attuale candidato del centrosinistra alle elezioni regionali sarde. Ecco perché non c’é più distinzione fra destra e la sedicente sinistra. la sua analisi è superficiale e la conclusione è opposta e contradditoria rispetto alle premesse. E’ ora di guardare ai programmi e alle idee, oltre che alle persone. Quelli che chiama opportunisti limitati almeno hanno un programma serio e innovativo e stando agli ultimi sondaggi rappresentano almeno il 20% dei votanti, senza contare l’altissima percentuale di indecisi e non intenzionati a votare. Pensiamo un po’ di più alla gente che ha fame e meno a difendere le poltrone dei soliti noti

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