Coppie di fatto, patriarchi di diritto

1 Novembre 2008

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Massimo Mele

Mentre impaginiamo il numero e inseriamo l’articolo di Massimo, la stampa di oggi (ovvero di ieri, per chi ci legge) dà notizia della gravissima votazione del Consiglio Comunale di Sassari, che ha respinto a maggioranza il Registro delle Unioni Civili. 17 a 14, la destra più due margheritini e i presunti laici di autonomia socialista e del Partito Sardo d’Azione. Le avvisaglie si ebbero oltre un anno fa, e ne parlammo. Complimenti. La grande tradizione culturale di Sassari? Lasciamo perdere. Questa votazione esprime la città prevalente e contribuisce a far comprendere cosa significa un paese a destra. Il suo specchio è questa maggioranza, rozza e forcaiola. C’è proprio molto lavoro da fare. (RED.)

Riconoscere le coppie di fatto per superare la famiglia patriarcale
Da circa tre anni in Italia infuria un´aspra polemica sul riconoscimento delle coppie di fatto etero ed omosessuali. In un clima da scontro epocale sui grandi temi etici, sciocchezze e falsità la fanno da padrona e la discussione, a tratti schizofrenica, sprofonda sempre più nel ridicolo. Dai Pacs ai Dico, dai Cus ai Didoré. Non si capisce se passino più tempo a cercare nomi cretini o a scrivere articoli di legge ancora più cretini del nome. Dai Pacs, Patto Civile di Solidarietà, con valenza pubblica, si passa, in tutti gli altri testi, alla regolamentazione del diritto in forma privata. Ovvero non si riconosce più la coppia in quanto tale ma semplicemente i diritti dei singoli che la compongono. E per non scontentare il mondo cattolico, equilibrismi politici e “sofismi” giuridici producono proposte di legge che rasentano l´idiozia o talmente sminuenti da risultare offensive. Se i Dico prevedevano la comunicazione della convivenza al partner per mezzo di raccomandata con ricevuta di ritorno, i Didoré si limitano all´aspetto più macabro della vita di coppia regolando unicamente i diritti legati alla malattia o alla morte del partner e “senza spese per lo Stato”: diritto di visita in ospedale, di decisione sulla donazione degli organi, trattamento del corpo e celebrazioni funerarie. In tutta questa confusione di nomi e concetti l´unico denominatore comune é l´ansia della denominazione o meglio, della non denominazione della coppia gay quale famiglia a tutti gli effetti, con la conseguente esclusione da tutti quei diritti che necessitano di un riconoscimento pubblico dell´unione e non un semplice contratto privato. Tutti, a parole, si dicono convinti della necessità del riconoscimento di alcuni diritti alle coppie omosessuali basta che non si parli di “famiglia”. Strano perché proprio il termine famiglia é, oggi, l´unica cosa che la nostra legislazione riconosce anche alle coppie gay e lesbiche. La legge sulla famiglia anagrafica (L. n. 1228 del ´54, modificata dal dpr 223/1989) permette a tutte le persone conviventi e legate da un vincolo affettivo, a prescindere dal loro orientamento sessuale, di registrarsi all´anagrafe cittadina come famiglia con l´introduzione del partner e degli altri componenti il nucleo familiare nei rispettivi stati di famiglia. Un riconoscimento pubblico della relazione ma senza alcun diritto concreto, se non quello del cumulo dei redditi con tutte le conseguenze economiche negative che questo comporta. Leit motiv dei contrari la presunta “naturalità” della famiglia eterosessuale, contrapposta alla semplice convivenza omosessuale basata su quello che Ratzinger definì un “amore debole”. Tema oggi in parte abbandonato perché definire “naturale” un´istituzione regolata dalla Costituzione, che tutto é tranne che “naturale”, é puro opportunismo elettorale filo Vaticano o piú semplicemente totale ignoranza di politici cresciuti con il “maestro unico”. La “famiglia”, qualsiasi ne sia l’estensione, l’organizzazione o la funzione, è comunque “naturale” nel senso che appartiene ai bisogni umani fondamentali, imprescindibili, legati alla socialità dell’uomo, alla sua riproduzione, alla sua affettività, al suo bisogno di riservatezza. La famiglia, insomma, denoterebbe quel primo e indispensabile esempio di “formazione sociale” di cui l’art. 2 della Costituzione garantisce e, ancora una volta, “riconosce” l’esistenza (non a caso, essendo l’art. 2 l’altra clausola “giusnaturalistica” della costituzione). A conti fatti, il più grande paradosso di tutta la vicenda é che la sinistra e il movimento omosessuale si trovano a combattere una battaglia di tipo integrazionistico, riducendo la dimensione socialmente rivoluzionaria del movimento di liberazione sessuale a semplice rivendicazionismo omologante e normalizzante. E´ forse per questo che nel resto d´Europa nessun partito cristiano o conservatore si sognerebbe mai di cancellare le leggi che riconoscono i diritti delle coppie gay e lesbiche, talmente integrati e normalizzati da diventare, a volte, l´avanguardia populista e razzista della destra estrema, così come l´Olanda di Fortuyn e l´Austria di Haider ci hanno dimostrato. Eppure la battaglia per il riconoscimento delle Unioni Civili trova un suo fondamento nella più generale battaglia contro la discriminazione legislativa delle minoranze, causa prima del razzismo e dell´omofobia. Le rivoluzioni sociali o etico comportamentali, come ad esempio il superamento della famiglia nucleare fondata sulla coppia in organizzazioni sociali più aperte come le “comunità familiari”, sono possibili solo se si parte da una sostanziale parità di trattamento rispetto a quell´istituzione che si vuole cambiare. Per quanto di retroguardia, quindi, la battaglia per la parificazione legislativa delle coppie omosessuali a quelle eterosessuali é condizione primaria e indispensabile per qualsiasi ipotesi di reale modifica delle relazioni e delle strutture di controllo sociale autoritarie e verticistiche di cui la famiglia patriarcale é la sintesi piú evidente.

1 Commento a “Coppie di fatto, patriarchi di diritto”

  1. Marilena Puggioni scrive:

    Veramente scandalose alcune argomentazioni portate in consiglio comunale a favore del no

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