Ricordando Aquilino Cannas, il cantore di Cagliari e dei diseredati

1 Novembre 2016
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Francesco Casula

Il 6 novembre prossimo ricorre il 102° Anniversario della nascita di Aquilino Cannas, il cantore di Cagliari e dei diseredati, il più grande e suggestivo poeta casteddaiu in lingua sarda degli ultimi decenni. Muore il 29 Maggio del 2005.

Pubblicista instancabile e prolifico: collabora continuativamente alla maggior parte delle riviste e degli organi di stampa sardi: ad iniziare dall’Unione Sarda e da La Nuova Sardegna. Personaggio dai numerosissimi interessi: dal bilinguismo alla nuraghìa (espressione da lui stesso coniata e attorno alla quale si sviluppò un ricco dibattito); dalla sua grande passione equestre all’interesse per la questione della valorizzazione delle bellezze della Sardegna e di Cagliari in particolare.

Cagliaritano verace del quartiere storico di Villanova, per tanti anni direttore di “S’Ischiglia”, – fino al 1990 – la prestigiosa rivista in limba in cui scriveva con lo pseudonimo di Luziferinu, Aquilino Cannas è però soprattutto poeta di grande estro e dal verso graffiante: specie scrivendo in sardo-campidanese.

Tra i suoi scritti in lingua italiana sono da segnalare Le Bianche colline di Karel (1972), uno scritto poetico che ci offre una struggente immagine di una città sarda –Cagliari appunto – deturpata dall’industria petrolchimica e violentata dalla speculazione edilizia e dal cemento.

Denunciando la morte delle colline – scrive Giovanni Lilliu nella prefazione alla Silloge poetica – Aquilino Cannas mette in guardia contro i pericoli di morte dell’Autonomia di Cagliari e della Sardegna, contro il processo di “autofagia” e il disegno di “genocidio” in atto da parte del moloch della Weltanschaunnng isolana.

Nel 1976, firmandosi “Anonimo cagliaritano”, pubblica Arreula!: il termine sardo secondo il Wagner, che la trascrive da area campidanese, significa chiasso, schiamazzo con grida. Deriva da reula che era la raganella che si usava a Cagliari nella settimana santa per annunciare i riti sacri in sostituzione delle campane mute per la Chiesa in lutto.

Nel 1994 pubblica Disterru in terra (La saga dei vinti), in cui sono riuniti sedici componimenti poetici già pubblicati nella rivista “S’Ischiglia”, degli anni 1989-1990.

Nel 1999 pubblica Mascaras casteddaias (Maschere cagliaritane) con prefazione di Giuseppe Podda che scrive: Aquilino Cannas est su cantori de casteddu (è il cantore di Cagliari). Sanguigno, aspro, violento, beffardo, armonico, il suo linguaggio affonda le radici nella storia dei sardi, raggiunge una dimensione mediterranea ed europea, diventa universale.

In Disterru in terra, Il cuore addolorato di Cannas ha battuto e batte a causa dei saccheggi consumati e che ancora si consumano sulla natura e sulle bellezze della sua città, sfogando il moto dell’animo che insorge violento dall’avere visto rovinato e disperso – per esempio – il fascino e il patrimonio di su staini ’e Santa Ilia, dove i pescatori hanno abbandonato is barraccas de castiu, perché non c’est prus nudda de piscai,/si no po is marangonis allurpius…

Quelli del Porto canale infatti hant bocciu su Staini,: di qui le campane a morto a Santa Gilla. Al poeta altro non resta che levare alta l’invettiva contro i nuovi Barbari: Gutta corali si calit, carrazzanus!/ e sciaccu mannu tengais, faineris e benduleris/ medianeris chi arruinau e isperdiu heis custu/logu incantau, custa prenda manna/custa grandu grazia de Deus calada in terra!

Che siano inoltre stramaledetti e che vadano in malora quelli della stirpe bastarda dei mediatori locali, dei doppiogiochisti e mercanti persino dell’olio santo che non tornerà a loro per rivalsa, quando ne avranno bisogno al momento di tirare le cuoia: immagine di questa genia truffaldina, è per il poeta, il mostro antropotauro, su Su boe muliache :

Deu seu su boe naturau/a facci ’e cristianu/,e de aundi e totu/’ndi seu bessiu uscrau/corrudu e impinnacciau./A de notti/candu corrinu deu/arretronant is nuraxis/e de buxina mi faint/boxi de morti/po fai azziccai sa genti./Foras mali/apparicciau deu seu/po mi portai/beni acuau in brenti/(mansavida campis)/s’inimigu chi benit de mari./E mi sighit, de logu, a pei/sa maccatrefa turma/de is arrennegaus/prus naturaus de mei:/fillus de mala bacca,/prus corrudus de mei.

Bello di apparenza nella sua lussuosa bardatura, il boe muliache (il bue che mugghia) è invece il genio del male. Il suo lugubre muggito rintrona nei nuraghi, di notte, e terrorizza la gente. Figlio di mala vacca è il traditore, “il cavallo di Troia” che nasconde nella pancia di bronzo il nemico, il diavolo cornuto e impennacchiato, il nemico che viene dal mare.

Il verso libero da vincoli e da regole metriche, è ricco di sangue: ovvero di amarezza e di sdegno, di veleno e di pianto, intrecciando il comico, l’aspro e il sarcastico con il tragico, la dolente rabbia e la denuncia violenta con il gusto beffardo per la deformazione grottesca.

Il linguaggio è estremamente immaginoso, pungente e caustico e insieme disseccato, franco e aspro. Utilizza il sardo-campidanese, nella varietà cagliaritana, con abbondante ricorso da una parte al “gergo” dei quartieri cagliaritani, dall’altra a termini desueti ma spesso estremamente affilati, preziosi e pregnanti di significato. La poesia di Cannas, sia pure in modo né insistito né predicatorio, vuole essere uno strumento di battaglia civile per affermare e difendere i diritti di natura, di libertà e di identità della sua terra.

Scrive Giovanni Lilliu a proposito della poesia di Aquilino, soprattutto di quella di Disterru in terra : Una poesia suggestiva e penetrante, ricca di immaginazione e di evocazioni di passato e presente, affidata a una precisa e talvolta preziosa ricerca linguistica, con ritmi e tonalità differenti, ma sempre sostenuti. La animano ironia e amarezza, sdegno e denuncia ma anche gioco, sottintesi e allusioni. Il tutto lungo un filo polemico di fondo indirizzato a salvaguardare i valori di identità della Sardegna e a lottare, tutti insieme, per la sua liberazione dai nemici di fuori e di dentro.

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