Riflessioni postelettorali
1 Marzo 2013Marcello Madau
Mi chiede il direttore di cimentarmi – credo certamente assieme ad altri – in qualche riflessione postelettorale. Ci si scambi perciò, pubblicamente, pareri ed opinioni su questo terremoto.
A pochi giorni dalle elezioni, la situazione mi sembra meno sconvolgente di come pareva all’affluire, e poi al consolidarsi, dei risultati. La reazione prevalente a sinistra è stata quella dello strapparsi le vesti, della delusione, dell’indignazione non di rado antipopolare (questi italiani che non capiscono nulla, che votano sempre Berlusconi etc. etc.). Autocritica, sinora, zero.
Forse perché – al solito – i risultati si mischiavano ai desideri, ed emergeva una tendenza a rimuovere ciò che non si riusciva a capire: il ritorno di Berlusconi, lo tsunami Cinque Stelle. E il lungo radicamento di una cultura di destra prevalente, che pure ha profonde ragioni storiche.
Eppure che fossimo in un momento assai particolare, ben al di là delle nostre forze e capacità e di controllo, non poteva essere una sorpresa; né che entro la crisi drammatica del comando capitalistico globale, a egemonia finanziaria, tale potere – come ogni potere che si rispetti –cercasse di serrare le file. Con particolari condizioni di favore, poiché politicamente, a grandi linee, la rappresentanza della destra è formalmente schiacciante: provate ad aggiungere ai voti della coalizione di centro-destra quelli del raggruppamento attorno a Monti, e valutate nel giusto peso, come ulteriori aggiunte numeriche, sia le tendenze neo-liberiste dell’ideologia grillina sia quelle moderate nel PD. Altro che cinquanta per cento. Basterebbe il proporzionale puro.
La sinistra appare politicamente e teoricamente in crisi drammatica, nonostante l’emergere di fermenti innovativi che, se non hanno permeato le forze politiche parlamentari (o con desideri parlamentari), sono ben vivi nella nostra società.
Talmente vivi da essere giustamente temuti, perché solo il protagonismo di lotta che emerge dalla società civile può mettere in crisi il liberismo, e ne ha tutti i presupposti teorici. E mettere in crisi le stesse forme politiche di rappresentanza, a destra come a sinistra, straordinariamente obsolete. Un altro motivo di funzionamento dell’azione di Grillo.
Talmente vivi da essere giustamente temuti, perché solo il protagonismo di lotta che emerge dalla società civile può mettere in crisi il liberismo, e ne ha tutti i presupposti teorici. E mettere in crisi le stesse forme politiche di rappresentanza, a destra come a sinistra, straordinariamente obsolete. Un altro motivo di funzionamento dell’azione di Grillo.
E’ stata pesante, davvero plumbea l’assenza di discussione reale sull’ambiente, sulle bonifiche e la messa in sicurezza di territorio e paesaggio, sul motore eccezionale che i suoi beni e quelli della cultura possono rappresentare. Come il silenzio (al massimo si è evocato il Quarto Stato) sul Quinto Stato e sul mare crescente e cosciente di lavoratori ‘indipendenti’.
La Sardegna poi, una volta ritenuta laboratorio per il paese, è stata preda di un grigiore infinito rotto da qualche stupidaggine sovranista. E’ persino riapparso Renato Soru.
La Sardegna poi, una volta ritenuta laboratorio per il paese, è stata preda di un grigiore infinito rotto da qualche stupidaggine sovranista. E’ persino riapparso Renato Soru.
L’unica possibilità di una ripresa critica e aggiornata del pensiero e della prassi di sinistra, in questa fase storica, è legata alla democrazia basata sull’uso dei beni comuni, a iniziare da quello matrice che chiamiamo territorio, e dalla battaglia per dirigerne la proprietà verso forme democratiche il più possibile collettive.
In questo senso emerge un altro dato positivo: la fine (una eventuale continuazione potrà essere accanimento terapeutico) dei partiti ormai piccoli della sinistra, un dato positivo e prezioso per poter costruire nuove adeguate rappresentanze rivoluzionarie e eventuali federazioni delle forze antiliberiste di sinistra (mentre scrivo questo pezzo mi arriva quello di Marco Ligas, e noto con piacere una valutazione simile).
In questo senso emerge un altro dato positivo: la fine (una eventuale continuazione potrà essere accanimento terapeutico) dei partiti ormai piccoli della sinistra, un dato positivo e prezioso per poter costruire nuove adeguate rappresentanze rivoluzionarie e eventuali federazioni delle forze antiliberiste di sinistra (mentre scrivo questo pezzo mi arriva quello di Marco Ligas, e noto con piacere una valutazione simile).
Il segno nella sinistra elettoralista di questa totale inadeguatezza (probabilmente nasconde anche la paura della propria fine), è dato dallo scoraggiante livello delle polemiche contro il concetto della società civile. Si sono sprecati toni dozzinali, distillati di ignoranza e qualunquismo, con ritorni di retoriche di militanze dure e pure: ‘quel cazzo di società civile’, ‘la società civile non esiste’, oppure ‘dov’era la società civile mentre attaccavamo i manifesti faticavamo con la colla, spendevamo soldi e fatica’. Verrebbe da dire: incollatevi la bocca, è un uso socialmente utile del prezioso liquido adesivo.
Neppure ai tempi di muscolari militanze e degli ‘angeli del ciclostile’ si sentivano queste cose, almeno c’era un po’ di preparazione in più. Il tanto da non ignorare che la discussione, ed il ruolo, della società civile, nei suoi rapporti con la politica e con lo Stato, è centrale per il pensiero marxista e la storia del pensiero politico, da almeno qualche secolo.
Io penso proprio che, riprendendo le coordinate teoriche anche diverse (come sono diversi ruolo e valutazione della società civile, in maniera straordinariamente interessante, in Marx e in Gramsci), il discorso del ruolo della società civile, le sue interazioni con la politica, la discussione su come nel terzo millennio il proletariato, o una forma analoga, o chi, possa essere soggetto rivoluzionario.
Certo è che le battaglie territoriali sui beni comuni e le reti orizzontali di relazione che i movimenti si danno, arrivando anche a straordinarie vittorie, ci avvicinano alla società civile che ci interessa: non qualche idolo musicale o giornalistico, o professionale, o qualche simbolo emozionante, ma persone e movimenti in lotta che chiedono forme dirette di rappresentanza, che difendono il territorio e lo propongono come ricchezza plurale e pulita, che già hanno in qualche modo liquidato quelle vecchie.
Certo è che le battaglie territoriali sui beni comuni e le reti orizzontali di relazione che i movimenti si danno, arrivando anche a straordinarie vittorie, ci avvicinano alla società civile che ci interessa: non qualche idolo musicale o giornalistico, o professionale, o qualche simbolo emozionante, ma persone e movimenti in lotta che chiedono forme dirette di rappresentanza, che difendono il territorio e lo propongono come ricchezza plurale e pulita, che già hanno in qualche modo liquidato quelle vecchie.
In questo senso, a sinistra, il risultato elettorale non manca di uno straordinario interesse. Speriamo che i nostri piccoli papi si dimettano, e non aspettiamoci nulla dai nuovi conclavi.
1 Marzo 2013 alle 10:14
Nel penultimo n. del Manifesto Sardo avete pubblicato gentilmente un mio commento. Spero che pubblichiate anche questo, perché sarà l’ultimo. Io ormai non trovo né nel Manifesto né nel Manifesto Sardo spunti utili per pensare la sinistra. L’articolo di Madau, di cui -beninteso- ho apprezzato in passato l’intelligenza e acume, è una fedele immagine dell’atteggiamento che in questa campagna elettorale hanno assunto molti intellettuali che si proclamano di sinistra: tendenza a spaccare il capello in quattro e a non sporcarsi le mani, critica di una presunta “nomenclatura” onnipotente ed endogamica che domina i partiti della sinistra radicale, elogio smisurato di una società civile per spiegare la quale si cita (quasi mai correttamente) Gramsci, ecc. È evidente: il progetto di RC (ma anche quello di SEL) è fallito, e dubito che la sinistra possa rientrare in parlamento, indipendentemente dalla politica che porti avanti. Chi vi scrive continuerà a lottare, pur sapendo che la sinistra radicale scomparirà dalle istituzioni e mass media. Pazienza. Caro Madau: fatela voi ‘sta benedetta sinistra rinnovata. Parlateci voi con questa società civile. Dateci voi il programma e la flessibilità che i dinosauri che stavano dietro RC non hanno. Se lo fate, e avrete successo, io vi voterò e appoggierò. Però si chieda anche perché tutta la sinistra europea sta crescendo presentandosi con le sue sigle e simboli e dialoga senza idolatrare questa società civile.
Grazie di tutto. È stato un piacere.
1 Marzo 2013 alle 12:57
Il commento è molto interessante, e mi dispiace che Francesca Cau ci dia un compito che non ci appartiene, se non come parte del tutto. Siccome – e su questo concordo – c’è molto da ricostruire, quello che scriviamo non può essere che un pezzo (condivisibile o meno) che si somma a, e a cui si sommano, altri contributi. Come il suo. Diversamente non si costruirà nulla di nuovo. Sul non sporcarsi le mani, non mi pare di meritarmelo. Mi sono messo sempre in gioco, mi ci hanno messo pure altri, e (mi perdoni un po’ di autoreferenzialità) le righe sul manifesto sono una parte del mio (modesto) impegno. Domani sono a Cossoine a fianco del comitato cittadino per il problema del termovalorizzatore. Di altre cose, sul campo e nei luoghi di ‘battaglia’ sui quali ho qualche possibilità di intervento, non voglio parlare: so che non bado alla stanchezza. Il tema della società civile è spesso ‘banalizzato’ con segni qualunquisti. Ma dubito che non esista. Sarei grato che Francesca mi indicasse – perché è assai utile – chi ha citato Gramsci a sproposito su un tema che anima, teoricamente e praticamente, almeno quattro secoli e mezzo di discussione teorica e pratica. D’accordo sulla nomenclatura: non ho fatto altro che litigare, l’anno scorso, con ottimi compagni che mi trascinavano su un piano esclusivo di critica a Diliberto, Ferrero, Vendola. Odio il modello dei capri espiatori. Le dimissioni, per essere serie, dovrebbero essere date da tutti i gruppi dirigenti, a partire dai territori.
2 Marzo 2013 alle 08:24
Non esiste, nel Gramsci degli ultimi Quaderni, una vera distinzione tra “società civile” e “società politica”, le quali alla fine si fondono in un unico terreno: lo “Stato”, inteso come cultura política, “ethos”, “mores”, nueva concezione del mondo. Il marxismo di Gramsci ha profonde radici hegeliane. L’interpretazione della società civile gramsciana come qualcosa di staccato dalla società politica proviene dalla lettura socio-liberale di Bobbio, che è stata ampiamente confutata da molti autori (Liguori, Coutinho, ecc.). Ne consegue che un partito politico, per Gramsci, è “società civile” quanto un movimento ambientalista, un associazione di consumo responsabile o una iniziativa come “Cambiare di può”, dell’ineffabile Revelli (il quale sempre fa appello a una “società civile” con cui i “partiti” dovrebbero collaborare). Ma tant’è. Lasciamo stare la filologia gramsciana. Non metto in dubbio il suo impegno politico, ma la sensazione che il Manifesto S. abbia avuto negli ultimi anni un atteggiatemento di nobile distacco (militante, al meno) dalla vita dei partiti della sinistra, c’è. Vi siete lamentati spesso dell’incapacità della sinistra di aprirsi (sia chiaro, non senza motivi). Ora questa sinistra è ridotta ai minimi termini e tendo a pensare che non si recuperarà. Chi ha nuove idee su come ricostruirla, ci metta adesso anche la faccia, si faccia “organico”, “militante”; sia cratore di “strutture” politiche, anche elettorali. A me l’articolo e la riflessione non bastano più.
2 Marzo 2013 alle 11:11
E’ vera la limitatezza della lettura di Bobbio, e che gli ambiti società civile-Stato siano ‘anche’ unificabili in Gramsci, in ogni caso concettualmente analizzati in modo specifico. Molto parte da Hegel (che separa, e unisce, a modo suo). Vi è ovvia differenza (tempi e realtà sociali ed economiche diverse) con la lettura di Marx, forse solo in parte veramente diversa da quella gramsciana.
Oggi sono tempi ancora differenti da quelli di Marx e Gramsci (come idee e tempi loro erano diversi da quelli di Hobbes e degli Illuministi): basterebbe il modificarsi dei termini Stato/Società civile/ politica/partito, in realtà il modificarsi del capitalismo, della composizione di classe e dei ruoli dalle classi rivestiti. E’ un buon tema da approfondire, e non è affatto solo teorico! La questione (e la società civile) esiste, ‘fare politica’ è società civile: il problema è la natura e le forme della ‘rappresentanza’ . E’ l’autoreferenzialità del ‘fare politica’, anche del suo ‘farsi Stato’, che ne ha costituito un mondo a sé stante, staccato dalla società in movimento. Non è possibile negarlo. Un processo di ben altro livello e contesto, ma con interessanti aspetti comuni si è avuto in Unione Sovietica, contribuendo al suo crollo: il distacco fra ‘partito’ e ‘società’. Per il resto, scrivere serve, e non basta neppure a noi, tant’è che ognuno di noi sta (penso intanto a compagne e compagni della redazione) sta facendo diverse altre cose nella società, con la faccia ben esposta.