Riflessioni
1 Settembre 2011Riproponiamo queste brevi riflessioni inserite agli inizi dello scorso agosto: riguardano l’esperienza del manifesto sardo così come la vivo io; vi chiedo di intervenire anche diffusamente sui vari temi, a settembre prevediamo uno scambio di opinioni (un’assemblea) al fine di migliorare il quindicinale. (m.l.)
Marco Ligas
A volte rifletto sul lavoro che facciamo col manifesto sardo. Mi chiedo se il nostro impegno, le cose che scriviamo, i temi che affrontiamo vengano accolti con interesse dai lettori, se stimolino riflessioni o anche solo curiosità, soprattutto se corrispondano alle motivazioni per cui è nato il quindicinale.
Siamo partiti, nel dar vita al manifesto sardo, dalla consapevolezza che in Sardegna, come nel resto del paese, stampa e televisione fornissero un’informazione alterata sull’operato dei partiti e su chi effettua le scelte che riguardano il lavoro, la politica economica, ambientale e culturale; insomma su chi decide della vita delle persone (oggi penso che con la pubblicazione di nuovi quotidiani la situazione possa cambiare, soprattutto se si eviterà la dipendenza da leader ritenuti carismatici).
Attraverso il quindicinale abbiamo cercato di inviare un segnale diverso nel tentativo di contrastare, relativamente alle nostre forze (modeste), una cultura della dipendenza molto diffusa.
Nel condurre il nostro lavoro redazionale abbiamo individuato delle priorità dando ai problemi dell’occupazione un’attenzione particolare, sottolineando come non solo siano necessari nuovi posti di lavoro ma come occorra dare stabilità a quelli esistenti. Restando nel tema lavoro abbiamo indicato l’opportunità di evitare le esperienze delle monoculture e ribadito come sia utile investire nel settore della formazione e in quello delle infrastrutture al fine di incentivare nuove attività produttive, soprattutto legate alle risorse locali: semplici indicazioni keynesiane.
Ricordate queste priorità abbiamo però trovato difficoltà nell’approfondimento delle analisi; per esempio nei passaggi dalle vecchie industrie energetiche a quelle nuove, passaggi che, ove possibili, devono essere necessariamente compatibili con la tutela del paesaggio e dell’ambiente.
Difficoltà anche davanti a progetti come quelli che prevedono la chiusura delle fabbriche, la messa in cassa integrazione dei lavoratori, il rinvio delle attività a date indefinite
È vero che non siamo un partito di opposizione e neppure un sindacato il cui compito istituzionale è (dovrebbe essere) quello di tutelare gli interessi dei lavoratori, penso però che se vogliamo fare una buona informazione dobbiamo superare i limiti che abbiamo e intervenire su questi temi con tempestività: insomma dobbiamo migliorare i nostri strumenti di conoscenza e di interpretazione della realtà, soprattutto oggi che il sistema di potere capitalistico, a tutti i livelli, conduce un attacco violento contro i diritti di chi lavora.
Fare informazione (non conformista) significa dire di più e meglio su questi temi.
Facendo queste osservazioni intendo bocciare l’esperienza che abbiamo condotto sinora? Niente affatto, sono del parere però che dobbiamo correggere questi limiti, colmare le incompletezze. Ritengo che questa correzione sia possibile soprattutto se l’intera redazione, in un rapporto di completa collaborazione tra tutti i suoi componenti, l’assumerà come esigenza prioritaria. Penso inoltre che con gli stessi collaboratori dovremmo trovare modalità adeguate per una loro partecipazione più diretta e attiva.
Nel corso di questi anni abbiamo dato grande importanza ai temi dell’identità, della lingua sarda, della storia antica della Sardegna. Persino le ipotesi degli tsunami e di Atlantide, non adeguatamente supportate e condivise dalla comunità scientifica, hanno trovato sul manifesto sardo un ampio spazio per il confronto e l’approfondimento. Ritengo che queste presenze vadano difese e valorizzate. Dobbiamo fare tutto ciò con attenzione, in modo che passato e presente si saldino lungo una linea di continuità e dove i diversi temi trovino una dimensione equilibrata, in sintonia con le problematiche contemporanee, e dando ad esse un maggiore rilievo.
Se penso ad alcune questioni che sono oggi all’ordine del giorno (partecipazione dei cittadini alla vita democratica, inadeguatezza della sinistra, la crisi e la corruzione delle istituzioni, il ruolo della Regione, ecc.) concludo affermando che non mancano i temi dove dovremmo cimentarci con maggiore applicazione.
La cronaca recente mi suggerisce una considerazione che intreccia concetti importanti come la cultura della dipendenza, l’indipendentismo e la subalternità di certa intellettualità sarda. Subito dopo l’ultima manifestazione dei pastori qualcuno ha invitato Briatore nel nuorese, mi pare a Bitti. L’imprenditore è arrivato in paese col suo elicottero personale, come sappiamo il mezzo di trasporto più usato dai pastori per la raccolta del latte. Intenderebbe acquistare una casa nel centro del paese, si è dichiarato interessato per la situazione drammatica dei pastori(!), vorrebbe dar vita ad un progetto che sviluppi il turismo e al tempo stesso i prodotti locali. Che scelta: dalla formula uno alla produzione del formaggio attraversando la Costa Smeralda. Diversi nostri conterranei, anche qualche intellettuale, sostengono che non bisogna essere prevenuti, meglio capire le sue intenzioni. Davvero c’è ancora qualcosa da capire da un personaggio le cui amicizie e attività non si prestano ad alcun equivoco? Offrendogli carte di credito non alimentiamo forse la nostra cultura della dipendenza e l’attitudine a farci colonizzare dai primi cialtroni che si presentano come salvatori della patria? Sono rimasto sorpreso dal silenzio di diversi indipendentisti e anche dalle incertezze di alcuni intellettuali. Mi pare che, indipendenza o no, la subalternità sia un difetto difficile da sradicare.
E questo è un altro terreno su cui dovremmo lavorare con maggiore sollecitudine.
Prima di chiudere voglio fornire alcuni dati che riguardano il funzionamento del quindicinale. Registriamo 6/7000 letture e circa 11000 visite ogni mese: non sono tante ma neppure poche, ci posizionano fra i primi venti siti nazionali nel nostro settore (“associazioni no-profit” e/o “Politica e società”) e soprattutto indicano una presenza costante di lettori che dimostrano un interesse apprezzabile, spesso accompagnato da commenti e consensi. Significativamente distribuita in modo bilanciato su tutto il territorio nazionale e con interessanti presenze fisse europee (in particolare Spagna, Gran Bretagna, Francia e Germania) e qualcuna negli altri continenti.
Partecipiamo alla nuova rete dei ‘circoli del manifesto’ con il ‘Circolo del manifesto-Sardegna’ e godiamo di un link fisso nella home page del sito del quotidiano nazionale che, assieme ai compagni di tutta Italia, vogliamo salvare, consolidare, aggiornare, diffondere.
Nel corso di questi anni abbiamo prodotto dei dossier (vedi l’apposito link) su diversi temi: dalla Legge Statutaria alla vicenda Tuvixeddu, dal tema Globalmente Donne alla Sindrome Nucleare, dalla Palestina al Lavoro all’Identità alle nostre Vignette. Contiamo su una rete di 30/40 collaboratori; il nostro lavoro è completamente volontario: non riceviamo soldi da nessuno e nessun collaboratore è retribuito.
3 Agosto 2011 alle 09:12
Opportuna riflessione, Marco, il dare conto dell’operato del giornale. Ed evidenziare la critica allo stato presente delle cose, che è poi il lumen inattuale del comunismo, inattualità come capacità di “fare fronte”.
Riprendo due punti e ne aggiungo un terzo:
1) Lingua sarda. Continuare a considerarla mezzo e non fine. Anche nel “Manifesto sardo” si corre il rischio di dare voce a fanatismi e primogeniture, alla presunzione di imporre che azzera l’importanza dell’ascoltare. Lo standard omologa l’inesistente, la violenza parolaia – ci sono troppi insultanti “convinti” nei blog – l’abbassamento della qualità, della scrittura e del parlato. Produce cattiva letteratura e attiva il tempo delle volpi.
2) Briatore a Bitti a dintorni: se la notizia supera l’estate, se supera l’opinionismo dei romanzieri di moda e il benpensantismo dei benpensanti, allora vuol dire che bisogna considerarla.
3) La società multirazziale. Il burqa. Il suo divieto per legge. Anche il burqa è omologante? Più che standard è un forte segno identitario. Come tale di forte rispetto. C’è un fatto, come voce di contrasto. Sono passati trent’anni da quando a Bitti, il paese dove Briatore si dice voglia accasarsi, ci fu una vedova che decise di smettere su mucatore, il fazzoletto nero del lutto. Un esempio trainante. E’ che il burqa e lo chador elaborano pure il senso della vita, le vite di milioni e milioni di donne.
3 Agosto 2011 alle 15:07
Io non sono sardo anche se amo da sempre la Sardegna e il suo popolo per cui non potrò dare un grande contributo su questioni locali che non conosco. Credo però che questo non cambi moltissimo nell’era della globalizzazione in cui un bel giornale come il vostro deve anche discutere problemi generali che toccano tutti sardi inclusi.
Io credo per esempio che sarebbe utile una discussione su cosa é veramente l’economia del nostro tempo e in cosa é cambiata rispetto a quella del Novecento. Un argomento che mi sta molto a cuore é la virtualizzazione della economia ridotta ormai essenzialmete a scambio di denaro e non di oggetti, di merci, tanto che queste coprono una parte minuscola del flusso monetario internazionale. Ormai si compra essezialmente quello che é pubblicizzato e sostenuto dalla finanza, non quello che serve a vivere e vivere meglio.
In questo ovviamente non conta più la qualità del prodotto, ancora meno la qualità e il contenuto di conoscenza del lavoro. Di fatto questo significa che ci stiamo dimenticando cosa é la vita, fisica, mentale, spirituale, individuale, collettiva e ci sentiamo anche se non coscientemente macchinette che comprano e che vengono valutate su quanto e non su cosa comprano. Questo porta da un lato dolore profondo inespresso perché macchine significa mancanza di identità e morte e dall’altro un mercato del lavoro inedito per cui una fabbrica chiude o no a seconda di come sta andando il mercato finanziario sempre meno regolato.
4 Agosto 2011 alle 16:25
Carissimi compagni ho bisogno del vostro aiuto. Mia moglie, sarda logudoresa, che non ha studiato all’università, e quindi magari non possiede una cultura raffinata, mi ha posto (all’incirca con queste stesse parole) questa domanda: “ Premesso che stimo il presidente Napolitano e ho apprezzato la sua decisione di rinunciare all’aumento del suo appannaggio, mi chiedo comunque come mai i nostri politici e i nostri rappresentanti istituzionali, senza una vertenza, senza un corteo, senza neanche un’ora di sciopero (che anche quando si assentano li pagano), senza neanche un giorno di sciopero della fame (certo non contano di questi tempi i digiuni per le diete dimagranti, finalizzate alla prova costume da bagno, per le vacanze in Sardegna), senza incatenarsi alle porte dei Palazzi che frequentano, senza salire sugli obelischi delle piazze romane, senza imbrattare per protesta la Fontana di Trevi o minacciare di buttarsi dal Colosseo, senza occupare l’isola di pace dei giardini vaticani e piantarci le tende o chiudersi volontariamente, a tempo indeterminato, nelle celle del carcere di Regna Coeli, senza cioè dover lottare ad oltranza e senza dover ricorrere a qualche gesto clamoroso, mentre il popolo deve patire sempre più ogni genere di restrizioni, loro, non solo non temono licenziamenti per riduzione del personale, ma ottengono aumenti di stipendio e miglioramenti di trattamento, a volte pare senza neanche averli chiesti. Ma quale organizzazione sindacale li tutela, quale confederazione cura i loro interessi? Quale dirigenza porta avanti le loro rivendicazioni e le trattative? Razza di forza che deve avere per riuscire a ottenere simili risultati!”
Ho cercato di spiegare a mia moglie che sono loro stessi, gli eletti dal popolo, che decidono, che fanno e firmano gli accordi per i loro aumenti. E che li subiscono (in verità senza troppa pena) anche quelli (sempre una minoranza) che a volte sono contrari a quelle decisioni. Mi fa:” I servitori scelti dal popolo, cioè quelli che hanno superato una selezione per lavorare al servizio del popolo, come a volte capita per essere assunti, a tempo determinato, da un datore di lavoro, sono loro che decidono quanto guadagnare? Cioè è come se gli operai potessero decidere liberamente quanto prelevare dai bilanci della loro fabbrica, senza neanche consultare gli azionisti? Ma questo non era il comunismo? “
Compagni, ditemi, secondo voi ho una moglie qualunquista? Aiutatemi voi a rispondere alle sue “quistioni”.
Cosa ve ne sembra: posso dirle che secondo noi sarebbe magari il caso che per legge ogni emolumento ai rappresentanti del popolo venisse deciso dal popolo mediante apposite consultazioni? O venisse dal popolo ratificato tramite referendum? Vi lascio tutto agosto per rispondermi.
Comunque non nominiamo il comunismo invano. Un abbraccio fraterno.
4 Agosto 2011 alle 18:38
Marco
Non mi piace esprimere pareri sui due giornali,ma per quanto mi riguarda non mi aiuta a capire in che modo e con chi la Sardegna riuscira a superare la crisi in cui è stata relegata.E’ fin troppo facile attaccare Berlusconi-Cappellacci,il problema è come uscire dalla crisi e con chi.
E’ vero che l’attule crisi coincide col governo Berlusconi-Cappellacci,perche’ la loro ingordiggia e la loro incapacita’ ha definitivamente buttato i sardi nella miseria.
Io penso pero che la crisi economica sarda abbia origini lontane, soprattutto nell’incapacita dei Sardi di esprimere una classe dirigente capace di governare.
Tu hai posto un problema serio, credo che il manifesto sardo, per completezza del giornale debba scavare sui grandi temi, per es.quelli che hanno portato la Sardegna ad un impoverimento generale.
Faccio alcuni esempi: in Sardegna Equitalia notifica 800.000 cartelle esattoriali all’anno. Di questecCartelle 80 mila riguardano il popolo delle partite iva,le altre 600mila riguardano le famigle che non riescono piu’ a pagare le bollette,la tarsu,acqua ecc.
La Banca d’italia ha pubblicato di recente alcuni dati economici significativi: le famiglie sono al primo posto tra coloro che si rivolgono alle banche per chiedere prestiti; l’altro dato riguarda le merci in entrata, fatto cento dalla Sardegna escono il 25%d i merci rispetto a quelle che entrano,si parla di prodotti agroalimentari-alimentari. Marco condivido la tua analisi, non i tuoi dubbi bisogna continuare arricchendo Il Manifesto sardo.
7 Agosto 2011 alle 09:20
Mi sembra che il giornale, finora, abbia saputo registrare tematiche attuali, anche se non sempre gli articoli sono stati in grado di innescare dibattiti “partecipati”. Sarebbe bello , ad esempio, leggere un commento dei diretti interessati quando si affrontano le problematiche inerenti la chiusura delle fabbriche e la cassa integrazione, o quando si affrontano le problematiche sulle scelte delle fonti energetiche, o quelle sui rapporti tra attività produttive e salvaguardia ambientale. Forse accanto agli approfondimenti auspicati occorre un po’ “di provocazione”. Mi rendo conto che il rischio è quello di attirare nel blog qualche “insultante convinto”, ma quelli operano quasi esclusivamente nella monocultura della limba e dell’indipendentismo dove, nella forma (ma anche nella sostanza), hanno dato prova di subalternità verso Lega. A questo proposito mi sembra che – se pur attuali – queste due tematiche, e più in generale quella dell’identità, siano un po’ troppo presenti nel giornale.
Comunque abbiamo bisogno di una voce critica interna al movimento reale che cambia lo stato presente delle cose, e forse questa è l’unica. Continuate così.
7 Agosto 2011 alle 22:19
Credo che Il manifesto sardo risponda abbastanza bene agli interessi e alle curiosità dei lettori, lavora unendo alcuni requisiti fondamentali: attualità degli argomenti trattati, analisi approfondite e onestà intellettuale che significa uso dell’autocritica. Da settembre si ricomincia e sicuramente queste caratteristiche rimarranno inalterate. Certo sarà opportuno allargare il settore delle indagini, oggi un pò debole.
Confermo in questa sede quello che ho già espresso dal vivo nella riunione di Oristano: nell’epoca della globalizzazione, un giornale locale non può e non deve limitarsi a riferire notizie locali. La Sardegna avrà un futuro solo se avrà la capacità di vivere in un’ottica internazionalista, sempre. Perciò saranno gradite, nel nostro giornale, tutte quelle prese di posizione che affrontano con razionalità e con ottica aperta i problemi della Sardegna. Non si può, a mio parere, parlare di indipendentismo senza metterlo in rapporto a tematiche più generali. Esprimo naturalmente un’opinione a titolo personale, però credo sia di buon senso affermare che il nostro giornale ha bisogno di riflessioni pacate, razionali, e che siano dentro il nostro tempo. Esiste già una quantità abbondante di blog in cui ognuno è libero di dire la sua. Almeno il nostro quindicinale cerchiamo di proteggerlo dalle ‘contaminazioni’ del qualunquismo.
9 Agosto 2011 alle 20:20
Io direi che sia ora di parlare alle persone, e di far capire quale sia il vero nemico, le politiche imposte dal UE, e chi veramente le impone .
Badate bene l’oligarchia finanziaria fa e farà tutto quello che gli serve per attuare il suoi obbiettivi, i governi non decidono piu un bel niente, sono stati ridotti ad eseguire quanto richiesto, a tal proposito vi invito a leggere quanto lincato
Grazie un piccolo sfogo
Roosevelt e Pecora insegnano:
I mercati non vanno rassicurati, ma mandati alla sbarra
http://www.movisol.org/11news134.htm
22 Agosto 2011 alle 23:43
Il Manifesto Sardo offre una visione più approfondita di alcuni aspetti sulle tematiche ambientali e socio-economiche che spesso vengono lasciati in secondo piano dai mezzi d’informazione tradizionali. Penso alla speculazione immobiliare su Malfatano, trattata ben prima che venisse presa in adeguata considerazione dai mass media, penso alla speculazione sulle pretese “grandi scoperte” fra la Sardegna e Atlantide. Penso alle “battaglie” su Tuvixeddu e l’Anfiteatro romano di Cagliari.
La cadenza quindicinale spinge ad affrontare temi di ampio respiro e di “peso”. Forse si potrebbe puntare di più su vere e proprie “inchieste”, però probabilmente si perderebbe qualcosa sull’attualità.
Un bilancio di gran lunga positivo finora, a mio parere. Spinge a cercare di fare sempre meglio e in Sardegna ve n’è un gran bisogno.