Rimetterci la faccia
1 Febbraio 2010Marco Ligas
“Pensi che la presenza di un ministro sardo nel governo gioverebbe alla Sardegna?” Questo il senso di una domanda che L’Unione sarda ha posto ai propri lettori nel corso di questi giorni. Non conosco l’esito del sondaggio ma non ho dubbi che le risposte siano state positive. La buona politica è, per questa stampa ma non solo per essa, individuazione del personaggio giusto, capace di orientarsi e manovrare adeguatamente negli ambienti molteplici del potere per rispondere agli interessi di chi gli garantisce il consenso. Detto in modo più esplicito è intrallazzo, consorteria. Non c’è dubbio che un ministro sardo nel governo potrebbe favorire la concessione di qualche finanziamento per la realizzazione di alcune opere pubbliche, non foss’altro perché ne avrebbe un riscontro nelle successive consultazioni elettorali. Ma sono questi i criteri del buon governo e della democrazia partecipata? E poi, nelle ultime elezioni regionali, non abbiamo avuto come candidato governatore addirittura il Presidente del Consiglio che si è impegnato, rischiando persino di rimetterci la faccia, con i lavoratori del Sulcis, con quelli di Porto Torres, con i giovani, promettendo la fine della precarietà e lavoro per tutti?
La politica delle consorterie ha certamente la sua efficacia, soddisfa gli interessi dei clan e, anche attraverso l’uso dei mezzi di informazione, promuove il consenso; non risolve però i problemi sociali, soprattutto quelli che riguardano le fasce più deboli della popolazione, crea disuguaglianze divisioni e tensioni, alimenta l’immoralità della politica e la formazione delle caste. La situazione dell’Alcoa di Porto Vesme è diventata emblematica. I lavoratori conducono una battaglia per il lavoro che si protrae da mesi, sono esasperati perché l’azienda intende chiudere lo stabilimento. In questi giorni hanno prima bloccato la Carlo Felice, poi hanno manifestato la loro protesta nello scalo di Elmas bloccando l’accesso al terminal delle partenze. L’ultima protesta è scaturita dopo l’ennesimo annuncio della multinazionale statunitense di fermare la produzione. E a nessuno sfugge il rischio che la fermata pregiudichi la prosecuzione della produzione. Non è diversa la situazione dei lavoratori del petrolchimico di Porto Torres. Chiedono a tutti, al Governo, alla Regione e alle popolazioni locali, un sostegno per evitare la fermata degli impianti e, con essa, la cassa integrazione o i licenziamenti. Anche questi lavoratori sono esasperati e conducono una lotta difficilissima; alcuni di loro stazionano da settimane sulla torre aragonese che rappresenta ormai il simbolo della loro protesta.
La situazione delle aziende che operano in Sardegna, siano esse pubbliche o private, è analoga a quella che si registra nel resto del paese: fra i lavoratori più esposti troviamo indifferentemente quelli della Fiat e quelli delle imprese minori. E in tutti questi casi si conferma una costante: dappertutto le aziende chiedono il sostegno pubblico (ovvero i soldi di tutti i cittadini) per salvarsi dalla crisi e mantenere aperti i cicli produttivi; ma quando si parla di riorganizzazione del lavoro, di occupazione, di mantenimento delle attività, allora il sostegno pubblico non è più una risorsa, diventa un ostacolo per cui le decisioni ritornano al privato. Berlusconi che ha vinto le elezioni ci ha rimesso ugualmente la faccia; ha delle responsabilità gravissime per come ha gestito e gestisce la crisi; dopo le sue frequenti apparizioni elettorali ha brillato per la latitanza e per il disprezzo mostrato nei confronti dell’isola. Non solo non ha risolto alcun problema relativo all’occupazione ma ha allontanato dall’isola risorse indispensabili per la realizzazione di alcune infrastrutture importanti. Uno dei casi più clamorosi è quello di La Maddalena dove non sono state portate a termine le opere avviate quando fu programmato il G8; alcuni edifici già si trovano in una fase di abbandono. Ma se Berlusconi e i suoi ministri mostrano disinteresse verso i problemi dell’isola, il governatore Cappellacci non fa meglio: non solo manifesta la sua inettitudine nell’affrontare i problemi del lavoro, ma mette in evidenza un’arroganza particolare quando approva la realizzazione di opere pubbliche fortemente contestate da tutte le organizzazioni ambientaliste (è il caso di Tuvixeddu o del piano casa).
Certo, l’opposizione non mostra un’adeguata determinazione nel contrastare queste politiche. E la stessa sinistra, che pure potrebbe cogliere nella vittoria di Vendola uno stimolo per riproporsi come forza capace di promuovere una politica di alternativa, appare impegnata più nella definizione delle alleanze elettorali e nella scelta dei suoi candidati piuttosto che nella ricerca di un programma che sappia unire quelle componenti della società che ripetutamente sollecitano un cambiamento. C’è da augurarsi che questa correzione di rotta non tardi ancora.