I cantieri del ricatto
1 Giugno 2007Marcello Mestosi
Liberarsi dalla cultura della dipendenza significa anzitutto ribadire alcuni caratteri fondamentali della cultura di sinistra e impegnarsi per realizzarli, a partire dal lavoro. In Italia e in Sardegna di lavoro si muore ancora oggi. E non sono irrilevanti i numeri che danno la dimensione di questo fenomeno. Le morti sul lavoro rappresentano ormai un aspetto strutturale del nostro sistema produttivo; ad esso si aggiunga l’elevato numero di infortuni. Molti sostengono che la normativa in materia di sicurezza non è adeguata, altri che bisogna aumentare le ispezioni nei cantieri perché diversi imprenditori senza scrupoli non applicano neppure le norme esistenti. Tutto vero, ma in queste considerazioni manca un’analisi fondamentale: la scelta operata dal sistema produttivo di considerare il lavoro una variabile dipendente dagli interessi aziendali, per cui anche la salute o la vita dei lavoratori diventano secondarie rispetto all’esigenza di accrescere il profitto.
Sicuramente il fenomeno degli appalti è una causa rilevante delle cosiddette morti bianche. In Sardegna è molto diffuso; gli appalti, così come sono organizzati, favoriscono inevitabilmente un gioco al ribasso dei costi del lavoro con la formazione di una catena di subappalti e con uno sfruttamento progressivo. Un’azienda che accetta in subappalto una determinata commessa cercherà di recuperare le minori entrate attraverso l’intensificazione del lavoro dei suoi dipendenti o, peggio, non pagando i contributi previdenziali o trascurando la prevenzione in tema di sicurezza. In taluni casi è persino possibile che l’organizzazione dei subappalti avvenga tra società riconducibili ad uno stesso imprenditore. Questi, una volta vinta la gara attraverso l’unica società in regola, assegna la commessa, cioè subappalta, ad un’altra sua società non in regola. In questo modo l’imprenditore, regolarizzando i conti di una sola società, di solito la più piccola, riesce ad ottenere facilmente il Durc (Documento di Regolarità Contributiva), rilasciato dall’Inps come garanzia di affidabilità, essenziale per l’ammissione alla gara.
Ma non è tutto, per alcune tipologie di infortunio, tale articolazione consente di denunciare l’infortunio stesso come avvenuto in un cantiere diverso da quello dove si è verificato, purchè si trovi nello stesso Comune. Questa trasposizione non inficia il rapporto con l’azienda committente che naturalmente non gradisce una pubblicità negativa da cui risulti che al suo interno si verificano incidenti. È quanto avviene in alcune delle aziende che lavorano alla Saras, che possono contare su diversi cantieri presenti nella stessa zona di Sarroch.
Talvolta, incredibilmente, l’infortunio viene considerato una colpa del lavoratore; si raggiunge così il massimo della provocazione con la squalifica della professionalità di chi lavora in condizioni di pericolo e di precarietà. E non è raro che all’infortunio faccia seguito da parte dell’impresa una lettera di contestazione, preludio al licenziamento per negligenza o per inidoneità al tipo di mansione svolta. Anche per questi motivi diversi infortuni non vengono denunciati e il lavoratore, in caso di impossibilità a riprendere il lavoro, “preferisce” rivolgersi al medico di famiglia piuttosto che all’Inail. È evidente come questa arroganza padronale metta in evidenza una debolezza della rappresentanza sindacale: gli operai sono spesso soli a fronteggiare i ricatti dell’azienda e trovano non poche difficoltà nella creazione di una rete di solidarietà.
Il diritto-dovere del lavoro va ridefinito e riproposto, nella sua vera natura, per ciò che esso rappresenta per ciascuna donna o uomo: non solo una questione economica ma anche di dignità e di libertà della persona umana impegnata socialmente. Così come inscritto nei principi fondamentali della nostra carta costituzionale continuamente disconosciuta. Un modo, appunto, per liberarsi a sinistra da una certa cultura.