Ripensare la sinistra sarda si! Ma attenti all’effetto arcobaleno

16 Marzo 2019
[Cristiano Sabino]

Lo scorso primo marzo il direttore del Manifesto Sardo Roberto Loddo ha scritto una verace riflessione sui risultati elettorali che in effetti rappresentava una tagliente critica ai processi politici che stavano a monte del fallimento di tutta l’area della sinistra antiliberista e dell’indipendentismo.

Non bisogna farsi ingannare dalla garbatezza della penna di Loddo, perché il peso del suo articolo deve portare tutti noi ad una profonda, seria e strutturata riflessione nel merito di quanto scrive.

Innanzitutto mi preme sottolineare come a fronte di una irresponsabile ondata di isteria, vittimismo e autoassulazione collettiva (da Zedda a Sinistra Sarda alle liste sarde) Roberto abbia colto lucidamente le motivazioni della vittoria della coalizione sardo-leghista capitanata da Solinas: «Queste elezioni regionali sono la fotografia di una società stanca dell’esistente che in assenza di alternative al neoliberismo si è lasciata dominare da pulsioni di rancore e dall’idea che i penultimi devono salvarsi anche a costo di sacrificare gli ultimi. Le politiche dell’austerità sono state praticate dagli stessi soggetti politici che oggi chiedono un mandato agli elettori per costruire comitati di liberazione nazionale contro il governo dei giallo verdi. Riproporre agli elettori lo stesso piatto ma con un nome diverso potrebbe rivelarsi la risposta meno credibile alla sofferenza generata».

È mancata l’alternativa, è mancato un fronte di resistenza alla doppia minaccia rappresentata da Zedda e Solinas, nemici di facciata ma compagni di merenda in tutte le politiche predatorie che stanno devastando la Sardegna e il suo popolo, dalla privatizzazione della sanità all’imbroglio del metano, dal mantenimento dell’industria petrolchimica al mantenimento dell’occupazione militare, dalle concessioni edilizie sulle coste alla chiusura delle scuole nelle zone periferiche e dell’interno. Giusto per dirne alcune! Contro questo Cerbero a due teste si è andati in battaglia divisi in quattro liste minoritarie, improvvisate, gestite in maniera oligarchica, tutto sommato moderate e su molti punti complici del pensiero dominante (il si al metano ne è un esempio lampante!).

Roberto ci ha preso anche qui: «Il risultato fallimentare delle tre liste dell’autodeterminazione in Sardegna ci parla di tre piccoli castelli identitari. Fortezze esclusive che non sono riuscite a coltivare nessuna ipotesi di relazione con la società che circondava i propri candidati presidenti. Fino all’ultimo giorno utile alla presentazione delle liste nessuno ha colto l’opportunità di far uscire dalla gabbia della piccola politica un’alleanza innovativa tra i soggetti di AutodetermiNatzione, quelli di Sinistra Sarda, Sardigna Libera e l’area ribelle di sinistra italiana. Aver rinunciato a questa possibilità è stato un errore politico importante».

Errore politico importante è un eufemismo, comunque ci siamo capiti. Se è inspiegabile la presentazione di ben tre liste indipendentiste letteralmente indistinguibili, prosegue d’altra parte la linea ottusa, antigramsciana e puramente ideologica della sinistra sarda sulla questione dell’autodeterminazione. Fa notare Roberto che «Rifondazione Comunista è membro del Party of European Left insieme a Sinistra Italiana e il Pci ne è osservatore. (…) Oggi la sinistra europea accoglie anche i partiti dell’autodeterminazione come accade con il partito irlandese Sinn Féin e la coalizione basca Euskal Herria Bildu componenti dell’European United Left e Nordic Green Left nel Parlamento Europeo. Mi auguro che questa sconfitta faccia riflettere i gruppi dirigenti di questi partiti e si possa ricostruire a breve una nuova ipotesi di dialogo». Non è la sede per farlo, ma sarà necessario prima o poi dire la verità, tutta la verità sul fatto che Gramsci riconosceva la Sardegna come “colonia di sfruttamento”, che ha lavorato fino agli ultimi giorni di libertà per un accordo con la base popolare del Partito Sardo e con i suoi dirigenti di sinistra, che la linea del partito comunista fino al congresso di Colonia prevedeva una libera federazione di quattro repubbliche (sarda, siciliana, del sud e del nord) con «diritto all’autodeterminazione fino alla separazione» e un concreto programma per la decolonizzazione. Eppure il colonialismo che Gramsci aveva davanti a sé era uno scherzo rispetto a quello che subiamo oggi con occupazione militare, inquinamento endemico, sradicamento linguistico e culturale (solo per fare alcuni esempi). La parola d’ordine della sinistra in Sardegna dovrebbe essere “torniamo a Gramsci” e decolonizziamo la Sardegna, altro che “torniamo a Berlinguer”!

Siamo in sintonia anche sul fatto che sinistra e autodeterminazione o diventano alleati nella «costruzione di una coalizione europea dell’uguaglianza e della democrazia» o imboccano strade senza uscita perché la sinistra senza l’autodeterminazione diventa in effetti un franchising senz’anima e senza radici (fra l’altro parcellizzato in mille rivoli) e – come scrive giustamente Roberto – «l’autodeterminazione priva di una visione di classe, disconnessa alla lotta per l’uguaglianza, è solo una mera riproposizione in un formato più piccolo delle forme nazionaliste, autoritarie e violente dello Stato».

Sul che fare sono dubbioso. Roberto propone le europee come terreno di incontro e sinergia. Spero abbia ragione lui, ma credo che prima di cimentarci in nuovi percorsi elettorali dovremmo consolidare il percorso di lotte e progettualità comuni che pure esiste ma che deve dotarsi di una organizzazione efficiente. I vecchi comunisti lo sapevano bene: l’avventurismo elettorale porta solo male, prima bisogna avere un progetto, un radicamento, capacità operative. Invece no, non lavoriamo insieme per anni, poi arrivano le elezioni e fioccano le proposte di matrimonio corredate di bigliettini “è per sempre”. Ma sappiamo tutti che non è vero.

Un caro amico e compagno in comune, Enrico Lobina, un giorno mi ha fatto un discorso che condivido: «dobbiamo fare come i populisti russi di fine Ottocento, andare al popolo. Dobbiamo in questo senso essere populisti». Ci sta, ma le parole non bastano.

E allora? Sottoscrivo l’appello finale di Roberto: «La sinistra in Sardegna può riprendersi dal coma solo se costruisce un soggetto politico dei conflitti sociali. Per fare questo bisogna abbandonare la vuota retorica dell’unità a tutti i costi e con chiunque. Non possiamo essere uniti al PD sperando in una segreteria migliore dalle primarie e contemporaneamente batterci contro le politiche neoliberiste. Non possiamo farci accompagnare dai socialisti e i liberali europei e stare anche con i movimenti che combattono l’occupazione militare della Sardegna. Abbiamo bisogno come l’ossigeno di un soggetto politico nuovo, ecologista, femminista e antiliberista. Un luogo accogliente e riconoscibile per chiunque voglia agire l’uguaglianza, la democrazia e l’autodeterminazione della Sardegna».

La mia proposta è semplice: vediamoci alla plenaria di Caminera Noa il 31 marzo a Bauladu e parliamo di questo. Perché Caminera Noa ha esattamente le finalità di cui parla Roberto. Il pericolo se non capitalizziamo mai il nostro percorso, è sempre quello dell’effetto arcobaleno, cioè di ammirare mete lontane che però di fatto restano sempre inafferrabili e inarrivabili. Mi rivolgo a tutti i compagni e le compagne con cui abbiamo fatto tante lotte insieme: dall’opposizione al finanziamento pubblico al Mater Olbia, agli scioperi con i sindacati di base, alla condivisione di una idea di cittadinanza diversa da quella escludente dello stato, alla solidarietà attiva alla lotta dei pastori, alla condivisione degli sportelli mutualistici di Telèfonu Ruju e del questionario sul lavoro femminile in Sardegna. Mi rivolgo anche alle componenti più sensibili alla questione sarda e vicine alla militanza e alle lotte di Rifondazione Comunista, Partito Comunista Italiano, Partito Comunista, Potere al Popolo.

In Sardegna esistono tanti modelli di reale democrazia partecipativa e inclusiva basati sul protagonismo popolare che in effetti è esattamente quello che manca alla sinistra anticapitalista e all’indipendentismo: A Foras, la Rete Sarda Difesa Sanità Pubblica, la rete dei Comitati sardi, appunto Caminera Noa. In questi percorsi non ci sono capi bastone, non ci sono oligarchie, non ci sono leaderismi e in questi anni queste esperienze – diverse fra loro ma simili nelle metodologie organizzative e con finalità condivise – hanno garantito l’unica reale opposizione a Pigliaru e al suo progetto di violenta colonizzazione della Sardegna.

Evitiamo l’effetto arcobaleno, uniamo tutti i puntini di questo ricco affresco collettivo e costruiamo insieme l’organizzazione delle lotte (fraigamus paris s’organizatzione de sas lutas). Giusto per dare l’idea del metodo, alle assemblee plenarie di Caminera Noa, tutti possono partecipare, tutti possono intervenire, tutti possono avanzare critiche o perplessità, tutti possono fare proposte di campagne e progetti, tutti possono diventare coordinatori dei tavoli di lavoro, tutti possono votare. Ripartiamo da qui? Se no si spieghi perché no e si propongano altre strade, ma non si tardi, perché non c’è molto tempo a disposizione per riparare alla disgregazione e all’imbarbarimento della società di Sardegna!

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