Dopo il Lingotto arrivò il Nuraghe
16 Ottobre 2007Mauro Nieddu, Gianluca Scroccu
Le primarie del 14 ottobre hanno la loro variante sarda, che presenta tutte le peculiarità del caso, mantenendo però gli elementi e le tendenze fondamentali dello scenario politico nazionale. L’elemento principale che contraddistingue lo scenario isolano è il fatto che le trattative dei leader maximi non sono riuscite a incasellare la Sardegna nello scacchiere preparato a Roma. Le tensioni interne al nostro Pd, e soprattutto la presenza ingombrante di Renato Soru, hanno fatto della Sardegna uno dei pochi casi in cui la competizione per la segreteria regionale ha presentato un minimo di incertezza. Può apparire un dato positivo, il segno di una vitalità politica maggiore rispetto alla media nazionale: si tratta solo di un’apparenza.
L’elemento principale, anche in questa vicenda come nelle altre del panorama politico regionale degli ultimi anni, è la figura del presidente della giunta, o governatore, come la stampa lo chiama e probabilmente i cittadini lo percepiscono per meriti o colpe, a seconda dei punti di vista, non imputabili esclusivamente al capo dell’esecutivo regionale. La sua candidatura alla segreteria del Pds, acronimo non felice per i Democratici Sardi, ha spiazzato i maggiorenti dei partiti fondatori e si è configurata come una vera e propria Opa (ostile?) di Renato Soru su quella che dovrebbe essere la maggiore forza del centrosinistra nazionale e regionale.
Peraltro molti di coloro che hanno lanciato in queste settimane svariati allarmi contro la concentrazione di potere nelle mani di una sola persona, contro i pericoli del personalismo e del leaderismo sono in parecchi casi gli stessi che si erano agganciati alla locomotiva di Renato Soru nel 2004, facendo le mosche cocchiere di un’operazione che alla lunga rischia di essere schiacciata dalla mancanza di equilibrio tra un presidenzialismo forte e una politica debole dei partiti del centro-sinistra.
Dal nostro punto di vista quindi, quello cioè dell’area vasta della sinistra politica esterna al Pd, non ci sono grosse novità ma l’accentuazione e l’accelerazione di una linea di tendenza.
L’analisi del discorso che il presidente della Regione ha fatto a Santa Cristina in occasione dell’ufficializzazione della sua candidatura è da questo punto di vista un chiaro manifesto programmatico, coerente con il profilo ideale dell’azione politica di Renato Soru fin dall’inizio della sua esperienza pubblica. La sua lettura risulta quindi interessante anche per cogliere l’essenza di un’elaborazione politica che, condivisibile o meno, rappresenta certamente uno dei pochi, forse l’unico, progetto politico chiaro e strategicamente efficace presente dentro il Pd sardo.
La riflessione centrale, che viene spontanea al termine di questa lettura, è che nel momento in cui i partiti che lo sostengono appaiono annichiliti e privi di slancio, Soru prende il timone dell’operazione Pd e gli imprime la propria impronta. In questo senso riafferma con forza la necessità dello strumento partito e non perché egli stesso non incarni in pieno lo spirito da “uomo della Provvidenza” che connota la figura del segretario del Pd a partire dal livello nazionale, ma perché la forza della sua persona non ha bisogno di manifestare con parole le fascinazioni leaderistiche: bastano presenza e atti.
D’altronde, nelle idee guida e nelle parole d’ordine che contraddistinguono tesi e proposte di Soru, non si può non riconoscere la capacità di imporre l’ordine del giorno, rompendo alcuni schemi e avanzando proposte che lavorano su corde innovative che fin dalla sua discesa in campo egli ha imposto riuscendo a catalizzare anche le sensibilità di un elettorato di sinistra probabilmente esterno al Pd; il tutto però viziato dai connotati a-democratici della sua ideologia politica e dal narcisismo di chi non accetta una guida collettiva dei processi, ma si riconosce in una riedizione regionale del bonapartismo o di un “cesarismo progressista”, dove la religione dell’etnos svolge il ruolo dello spirito nazionale. Risultano frutto di questa visione le banali sottolineature riferite ai camerieri sardi o extracomunitari, fortunatamente controbilanciate da una posizione sui temi dell’immigrazione notevolmente più avanzata di quella che prevale tra i principali rappresentanti del Partito Democratico su scala nazionale. Giova ricordare, tuttavia, che questa fastidiosa venatura etnica, che riduce la sardità a sarditudine, sembra essere un carattere dominante della politica regionale degli ultimi anni, sia a destra che a sinistra. Un elemento che nasce in parte dalla crisi del sardismo storico, di cui tutti pretendono le spoglie, e in parte dalla necessità di trovare sempre nuovi temi e slogan semplicistici per riempire il deserto di idee e proposte della politica mediatizzata.
In tutto questo però non vediamo una contraddizione rispetto alla natura del Pd, anzi il profilo di Renato Soru si adatta perfettamente all’ispirazione più genuina di quel partito: un forte potere personale che si pone al livello degli altri poteri forti e contratta con loro da pari avendo, a volte, anche la forza di contrastarli. In questo il veltronismo è notevolmente più debole: enorme nebbia mediatica, scarsissimo peso politico che induce ad un rapporto ancillare con i suddetti poteri.
Venendo ai temi specifici affrontati nel discorso non si trovano novità o sorprese. Sono i cavalli di battaglia del Presidente, riproposti in alcuni casi con una certa superficialità. Si pensi al riferimento ad una politica che ritiene superate le ideologie del Novecento, ma che, paradossalmente, vede l’aspirazione alla costruzione del Pd sardo secondo la fisionomia di un partito di massa, ovvero il prodotto più genuino proprio delle tanto vituperate ideologie del secolo scorso. O ancora, il tema dell’ambiente che continua ad essere rappresentato sotto un aspetto per lo più bucolico unito ad un certo gusto svizzero per l’ordine. Il Piano Energetico Regionale, giustamente sostenuto, è ancora solo uno slogan, mentre occorrerebbe, e questo dovrebbero farlo soprattutto forze di sinistra responsabili, incalzare il Presidente sostenendolo nell’idea che il lavoro sulle fonti alternative non possa essere lasciato all’iniziativa dei sindaci ma vada elaborato sulla base di una visione globale del modello di sviluppo frutto di una costruzione collettiva e partecipata e di diffusa consapevolezza sociale.
Come non cogliere poi nel suo discorso l’importanza dell’affermazione del concetto di “acqua, bene comune non privatizzabile”, certamente una netta differenziazione rispetto agli slogan veltroniani sulle privatizzazioni e le liberalizzazioni dei servizi pubblici locali, che hanno nel ministro Lanzillotta l’alfiere governativo. E tuttavia come mettere insieme il discorso sul “bene acqua” e il profilo di un ente come Abbanoa, strutturalmente votato ad una privatizzazione o comunque ad una gestione privatistica?
In definitiva, anche nella proposta di Soru, rimane a nostro avviso un limite principale, che è poi la caratteristica strutturale del progetto del Pd, ovvero una totale identificazione tra partito e ruolo di governo. Il Pd è costitutivamente un partito-macchina elettorale, una monoposto da competizione da riporre in garage quando il pilota arriva alla guida della fuoriserie-governo. Un partito di massa, come tutti si affannano a definirlo a partire dal governatore, ma la cui massa deve acconciarsi ad un lungo letargo tra una elezione e l’altra. Da questo punto di vista fa un poco sorridere vedere i membri dell’apparato veltroniano regionale lanciare allarmi sui pericoli dell’uomo solo al comando (lo stesso uomo che, sorvolando su ogni passaggio democratico, era stato ricandidato per il 2009 in maniera plebiscitaria dal palco dell’ultimo congresso regionale DS della primavera scorsa). Probabilmente la questione è che quell’uomo, nel bene e nel male, rischia di portar loro via il giocattolo che con tanto impegno si sono costruiti in questi anni.