Sardegna, il disastro nel silenzio*
7 Febbraio 2011Costantino Cossu
La Sardegna paradiso delle vacanze? No, isola dei veleni: olio combustibile nelle acque del Golfo dell’Asinara, radiazioni mortali nel poligono militare di Quirra, ceneri cancerogene a Portovesme. E il 15 maggio un referendum consultivo indetto dalla giunta regionale di centrodestra per stabilire se i sardi vogliono o no che nella regione siano costruiti gli impianti nucleari ai quali Berlusconi e il suo governo vorrebbero dare il via.
L’emergenza più evidente è quella del Golfo dell’Asinara. L’11 gennaio s’è rotto un tubo di drenaggio della centrale per la produzione di energia che la E.On (gruppo spagnolo) possiede a Porto Torres e 15 mila litri di olio combustibile si sono riversati in mare. A Sassari la procura della Repubblica ha aperto un’inchiesta, ma al momento non risultano indagati. La capitaneria di porto ha proclamato lo stato di emergenza che, a distanza di quasi un mese dall’incidente, è ancora in corso. La E.On ha ammesso le sue responsabilità e ha fatto partire un piano di bonifica sul litorale che va da Porto Torres a Santa Teresa di Gallura: in pratica tutta la costa nord della Sardegna, quella che si affaccia sulle Bocche di Bonifacio. I danni all’ambiente sono ingenti, un disastro vero e proprio. Spiagge che durante i mesi estivi accolgono decine di migliaia di turisti sono state ricoperte di catrame e i pescherecci hanno dovuto ridurre drasticamente la loro attività perché nessuno vuole più comprare il pesce pescato nel Golfo dell’Asinara.
La protesta, a Porto Torres, è partita spontanea. È nato un comitato che ha già organizzato diverse manifestazioni di piazza per chiedere che siano accertate tutte le responsabilità e che la E.On sia chiamata a risarcire il danno. Le associazioni ecologiste Gruppo d’intervento giuridico e Amici della Terra hanno chiesto al ministero dell’Ambiente, alla Regione Sardegna, alla provincia di Sassari, al Parco nazionale dell’Asinara e ai comuni costieri interessati (Porto Torres e Sorso) di mobilitarsi contro la multinazionale spagnola. «Si tratta – dicono gli ambientalisti – di una situazione grave, e stupisce l’assenza di notizie riguardo ai necessari provvedimenti di ripristino e di risarcimento dei danni che, sulla base del Codice dell’ambiente, il ministero e le amministrazioni pubbliche devono adottare in casi simili».
La risposta del titolare del dicastero dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, è stata sconcertante: «L’incidente di Porto Torres a oggi si può dire sostanzialmente risolto senza che, allo stato delle conoscenze, si possa parlare di disastro ambientale». «Dalle verifiche dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) – ha detto Prestigiacomo – non risultano più presenti, sui litorali ispezionabili da terra, grumi di olio combustibile solidificato». E ha aggiunto: «È in corso da parte dell’Ispra una valutazione del danno ambientale». Insomma: danno forse sì, disastro sicuramente no. E le due cose, dal punto di vista delle responsabilità civili e penali di E.On, sono sostanzialmente diverse.
Al ministro ha risposto il presidente nazionale dei Verdi Angelo Bonelli: «Ciò che è successo a Porto Torres è un disastro ambientale a tutti gli effetti, e di una gravità inaudita». Gli ha fatto eco Paolo Fresu, il trombettista jazz di fama mondiale originario del nord della Sardegna, che su Youtube ha lanciato un appello per salvare dalla marea nera le coste del Golfo dell’Asinara.
Il video di Fresu è stato girato grazie alla collaborazione di alcuni volontari di Amnesty International. «Sono profondamente preoccupato ed esterrefatto – dice Fresu nell’appello – Preoccupato per il territorio, per la Sardegna, per le coste bellissime. Ma sono anche molto offeso e arrabbiato, come credo molti, per il fatto che non si sta parlando assolutamente di questo problema. E ciò significa ancora una volta (com’è stato per la rivolta dei pastori e per molte altre cose) che la Sardegna è un posto dimenticato dall’impero. A Porto Torres esiste un problema ecologico gravissimo».
Altro caso di cui nessuno parla è quello della base militare di Quirra, dove persone e animali continuano ad ammalarsi di tumore secondo medie pazzesche, molto al di sopra di quelle nazionali. Dopo che le Asl di Cagliari e di Lanusei hanno diffuso le cifre al termine di un monitoraggio sul campo, è scoppiata la polemica e la procura della Repubblica di Lanusei ha aperto un’inchiesta ipotizzando il reato di omicidio plurimo. I magistrati vogliono vederci chiaro e l’avvio dell’indagine potrebbe preludere a una svolta clamorosa di una vicenda che da anni preoccupa le popolazioni che vivono a ridosso della base interforze. Secondo le analisi delle Asl di Cagliari e di Lanusei, il 65 per cento dei pastori della zona si è ammalato di leucemia e molti agnelli sono nati deformi. Di qui la richiesta di associazioni ambientaliste e antimilitariste e dell’opposizione di centrosinistra – sia a livello regionale sia nazionale – di chiudere il Poligono. Ultima iniziativa, una mozione del Partito democratico presentata alla Camera e al Senato. Sulle cause dei tumori, l’ipotesi è che siano provocati dall’uso di sostanze radioattive contenute nelle munizioni utilizzate durante le esercitazioni che si svolgono nel poligono.
Infine, i fumi di acciaieria radioattivi a Portovesme. La scorsa settimana in due container bloccati nello stabilimento della Portovesme srl (un’azienda che produce manufatti di piombo r di zinco) sono state trovate ceneri, arrivate in Sardegna con un Tir dall’Alfa Acciai di Brescia, contenenti Cesio 137, un elemento radioattivo, in quantità nettamente superiore alla soglia consentita: fra i sei e i sette becquerel per grammo, mentre il limite di sicurezza è di un becquerel per grammo. La magistratura ha sequestrato i container e ha disposto il loro ritorno a Brescia.
L’ambiente, alla fine, come il lavoro: una variabile dipendente (mortificabile sino al degrado estremo) di attività economiche e militari sottratte a qualsiasi responsabilità collettiva.
* il manifesto, 6.02.2011
9 Febbraio 2011 alle 13:17
Aggiungiamoci le rassicuranti notizie che arrivano da Cagliari, circa i rifiuti tossici della Portovesme srl e siamo a posto (ma l’aggiornamento è quotidiano, purtroppo). La domanda tuttavia a questo punto è: che fare? Va bene enumerare elementi della crisi, più o meno contingenti, va bene lamentarsi della situazione e anche sollevare i problemi onde non finiscano nel dimenticatoio. Ma facciamo un passo avanti di natura politica? Vogliamo continuare a sostenere che in Sardegna serva un nuovo sviluppo stile Piano di Rinascita, come fanno i sindacati? Vogliamo continuare a protestare o strisciare a Roma, sperando che qualcuno ascolti le nostre preghiere? Vogliamo continuare a menarcela con la balla ideologica della inevitabile e invincibile povertà della Sardegna? Siamo meno di 1 mln e 700mila abitanti su 24000 Km quadri, la gran parte delle terre coltivabili o da pascolo è in fase di abbandono, l’80% di quel che mangiamo e beviamo viene da fuori, gli indici infrastrutturali sono offensivi. Scuola e università sono allo sbando. Eppure produciamo arte, letteratura, cultura, sapienze di vario tipo. Non sarà che la politica non è all’altezza? E non “i politici”, ma la politica in genere, l’elaborazione teorica di un orizzonte di senso che si traduca in prassi. La Tunisia è vicina. Più vicina dell’Italia. Niente da imparare da lì? Un processo democratico, condiviso di emancipazione storica e di indipendenza è necessario. Non ci sono altre vie che non siano conferme di subalternità.
9 Febbraio 2011 alle 21:49
La politica sarà pure inadeguata, ma la situazione che subiamo, che certamente risente della cultura della dipendenza, non mi pare sia risolvibile con formule facilmente (almeno in teoria) liberatorie. Non siamo l’unica regione ad avere la suggestiva immagine di scarsa antropizzazione e scarso utilizzo delle proprie risorse, ciò che può generale il miraggio dell’autosufficienza (in alcuni per pagare menop tasse e fare carne di porco del paesaggio)…
Credo che la questione energetica abbia un quadro così’ complesso da non poter essere sostenuta e contrastata se non – luogo per luogo – con battaglie globali e una messa in discussione dell’attuale forma di produzione capitalistica. Sinceramente mi stupisce e un po’ amareggia tornare a vecchi (generalmente insoliti per Onnis) linguaggi che gratificano dello status di ‘subalterno per forza’ chi si pone al di fuori di un’ipotesi data, in questo caso quella indipendentista Ma è pur vero che la lettura del grado di subalternità potrebbe indicare con più avvedutezza le alleanze e gli orizzonti da esplorare, sia quelli globali sia quelli teorici, per affrontare criticamente il problema delle dipendenza energetica e dell’inquinamento.
9 Febbraio 2011 alle 22:20
Non è subalterno per forza chi non è indipendentista, ci mancherebbe. Si può però non essere subalterni soggettivamente ed tuttavia avere una visione generale che elude i problemi strutturali e che, nel nostro caso, conduce inevitabilmente (per varie ragioni) a una condizione di subalternità. Che non è affatto “naturale”, attenzione. La politica, in senso ampio e alto, ha il dovere di esplorare altre strade, che non siano quelle già battute e così palesemente fallimentari. Chi parla di autosufficienza? L’autosufficienza nel mondo umano non esiste. Ma può esistere un migliore equilibrio tra disponibilità di risorse, produzione distribuzione e/o accesso ai beni collettivi e di consumo, ecosistema e popolazione. Dal punto di vista energetico, poi, i ricercatori del CRS4 che si occupano di solare termodinamico e di altre fonti energetiche non fossili e rinnovabili sostengono che la Sardegna solo con lo sfruttamento del sole potrebbe rendersi indipendente dal punto di vista energetico. Ma qui si sconfina nell’ambito dei problemi della ricerca e – di nuovo – delle scelte politiche generali. Se però partiamo dal presupposto che noi siamo una “regione” (termine che ha a che fare con l’ordinamento giuridico statuale italiano ma non con la geografia , la storia e tutto il resto), stiamo già rinunciando in partenza al cambio di prospettiva che ci metterebbe al centro del nostro orizzonte, con una bella visuale a 360° sul mondo. E comunque, quale sarebbe l’alternativa? Lo status quo?
10 Febbraio 2011 alle 21:58
Il ‘non ci sono altre vie’ del primo commento mi era sembrato lapidario, ma prendo atto della precisazione di Omar.
Potrei dire che se fossimo soddisfatti dello status quo non staremmo neppure a fare il ‘manifesto sardo’, e che condivido in pieno l’esigenza di non rimuovere i problemi strutturali, la cui elusione – il pericolo mi sermbra davvero ‘trasversale’ -, più che consegnare alla subalternità non ci permette di affrontarla seriamente.
Si deve davvero procedere ad un cambiamento strutturale, a chiudere radicalmente con petrolchimico e carbone e idrocarburi vari, nonchè ovviamente con il nucleare, producendo scelte energetiche ambientalmente corrette ma attente (si vedano in questo numero le considerazioni, in un altro commento, di Giacomo Oggiano). La sovranità in questo settore si misurerà nelle risorse scelte e assieme nella capacità di creare e formare, insomma di disporre, di forza-lavoro e dei relativi saperi. Nel nostro mondo, questa azione non può che muoversi con efficacia su scenari collaborativi e di lotta globali.