Sardi deportati
1 Febbraio 2010Alfonso Stiglitz
In questa rubrica periodica, che nella mia mente ha il titolo di “Sardi in contrappunto”, parafrasando il titolo di un bel libro di Giorgio Baratta, che purtroppo ci ha lasciato in questi giorni, un posto importante trova, e troverà ancora, il problema dei deportati nelle varie declinazioni di questo tema. Ed è un tema che ha a che fare con la memoria. La memoria è sempre qualcosa di problematico, risulta difficile capire attraverso quale meccanismo certi fatti ci rimangano impressi e altri no. Soprattutto quando questo riguarda la memoria collettiva, per cui, per fare ancora l’esempio di Hampsicora, la sua figura è parte integrante del nostro immaginario come qualcosa di reale e concreto, esponente di quello spirito di indipendenza e identità che è proprio di noi Sardi, anche se il personaggio reale rappresentava qualcosa di diverso. Colpisce invece che, per restare alla stessa fase storica, sia pressoché assente nella nostra memoria collettiva la deportazione di qualcosa come 50.000 sardi, a seguito della spedizione di Tiberio Sempronio Gracco nel 237 a.C. o, secondo altri, a seguito di quella del nipote omonimo nel 175 a.C. Sono i “sardi venales”, sardi di poco valore economico, perché per la loro quantità fecero crollare il prezzo degli schiavi. Quasi che quella autentica deportazione di massa venga percepita come meno significativa rispetto ad Hampsicora, per dirne una. Curioso.
Questo fatto non può che tornare alla mente in questi giorni nei quali si ricorda un’altra deportazione, che portò allo sterminio, la Shoah, di milioni di Ebrei, di Rom e Sinti, di Testimoni di Geova, di omosessuali, di diversamente abili, di politici, di militari e di lavoratori in genere. Perché in effetti la rimozione di quella lontana deportazione di 50.000 sardi fa compagnia all’oblio pressoché totale della deportazione di circa 290 sardi, tra politici ed ebrei, e di circa 12.000 internati militari sardi nei lager nazisti. E si trattava nella stragrande maggioranza di giovani. Una enormità di gente nostra allora e oggi. Fino a pochi anni fa, questa realtà restava totalmente sconosciuta ai più e, nel migliore e raro dei casi, il nome di una via in qualche nostro paese serbava il ricordo ormai smemorizzato. Mi limito a fare un esempio tratto dalle commemorazioni che in questi giorni si svolgono in Sardegna in occasione della Giornata della Memoria: il caso di Cosimo Orrù di San Vero Milis, medaglia d’oro della resistenza, morto nei campi nazisti tra il 1944 e il 1945, il cui ricordo resisteva nella famiglia, nei conoscenti e nel nome di una via del suo paese. Da anni il suo Comune ha portato avanti una ricerca sulla sua storia, in collaborazione con l’Istituto Sardo per la Storia della Resistenza e dell’Autonomia (ISSRA), tanto da ricostruirne in modo ancora incompleto il viaggio dal suo lavoro, magistrato a Busto Arsizio e membro del CLN, sino al campo di Flossemburg in Germania, quindi in quello di Litoměřice nell’attuale Repubblica Ceca dove poi è morto. Una ricerca e una serie di iniziative portate avanti da undici anni e in corso proprio in questi giorni che hanno permesso di costituire un “Centro di documentazione della memoria Cosimo Orrù” (www.sanvero.it: cliccare su C.D.M.). Il Centro oggi si propone come Biblioteca specializzata e come fulcro di iniziative sulla Memoria realizzate a partire dal 2000, dedicate negli anni passati agli Ebrei, ai Rom e Sinti, agli omosessuali. Iniziative ancora dirompenti, pare incredibile, tanto che nel 2008 il manifesto sulle due mostre allestite a San Vero Milis, una dedicata ai bambini ebrei di Terezin e una alla deportazione degli omosessuali (anche nelle miniere di Carbonia), venne rifiutato in un centro commerciale, per l’inopportunità di parlare di ebrei e omosessuali. In questi giorni viene presentato il secondo volume del “Il libro dei deportati”, l’opera collettiva promossa dall’Associazione Nazionale Ex Deportati (ANED) ed edito da Mursia. Questo secondo volume riporta gli studi territoriali tra cui quello sulla Sardegna realizzato da Aldo Borghesi dell’ISSRA di Sassari. Si tratta della prima sintesi di una realtà pressoché sconosciuta e rimossa che vede la deportazione di oltre dodicimila sardi tra politici, Ebrei, militari e lavoratori coatti. Un numero impressionante che colpisce un po’ tutta la Sardegna e i Sardi che vivono fuori dall’isola. Il discorso sulle deportazioni e sulle storie di quei straordinari Sardi ha il suo contraltare, il suo lato oscuro, nei deportatori, nelle cause di quelle deportazioni, anch’esse rimosse, forse perché ci riguardano da vicino. La premessa sta nel regime fascista e nelle leggi razziali, con le quali ancora non abbiamo fatto i conti in Sardegna e non solo. Ci si è dimenticati che tra gli ispiratori ci fu il Paolo Orano e che tra gli estensori, firmatari e proclamatori ci fu un altro sardo, Lino Businco, che non fu mai chiamato a risponderne. E il non averne fatto i conti ci porta alla loro rinascita, dai cori razzisti negli stadi, alle leggi leghiste sino alla “caccia al negro di Rosarno”. Per non dimenticare e soprattutto per capire, analizzare e fornire strumenti adeguati l’Università degli Studi di Cagliari, con il patrocinio del Comune di Cagliari, della Fondazione Banco di Sardegna e del Centro di documentazione “Cosimo Orrù” del Comune di San Vero Milis terrà un convegno internazionale di studi a Cagliari (Cittadella dei Musei – Aula verde dal 3 al 6 febbraio) sul tema “Xenoi. Immagine e parola tra razzismi antichi e moderni”; al convegno è collegata una mostra dal titolo “Una razza da difendere, una menzogna da costruire”. Il convegno si propone “l’individuazione dei modi e dei meccanismi mediante i quali il razzismo si è manifestato dall’antichità ai tempi nostri, evidenziando continuità e discontinuità attraverso cui la percezione della diversità si sviluppa nel tempo”. Una sessione è dedicata alla Sardegna sia nello sguardo che gli “scienziati” positivisti avevano dell’isola sia nelle conseguenze che il pensiero razzista e fascista ebbe sul formarsi di modelli interpretativi del nostro passato. Mi pare significativo che i lavori si tengano nella Cittadella dei Musei, sede del Dipartimento di Scienze archeologiche e storico artistiche e del Museo Archeologico Nazionale; infatti, nel 1938 l’allora Soprintendente archeologo per la Sardegna, nonché Docente di archeologia presso l’Università di Cagliari, Teodoro Levi, venne cacciato da entrambi incarichi in quanto ebreo. Da qui ha preso lo spunto questa nota, da una grave rimozione quasi che quei deportati di allora e di oggi non rientrino nella nostra memoria collettiva, una rimozione sulla quale qualche riflessione andrebbe fatta.