Sarkozy. La via del tramonto?
1 Aprile 2008
Gianluca Scroccu
L’Ump, il partito di Sarkozy, è il grande sconfitto delle elezioni amministrative francesi tenutesi tra il 9 e il 16 marzo (giornata dedicata ai ballottaggi). Sono ben 20 su 22 le regioni ora in mano ai socialisti, così come la maggior parte delle grandi città (a parte, anche se il dato rimane significativo per l’importanza della città, Marsiglia). In più, il leader centrista Bayrou ha perso nelle elezioni comunali di Pau e non è neppure riuscito a diventare sindaco (e infatti sembra non interessare più ad alcuni dei più importanti esponenti del nostro Partito Democratico).
Se è vero che a livello locale il discorso sull’assistenza e il buon finanziamento dei servizi pubblici rende più difficile il successo di quello che è stato definito “il presidente manager”, è certo che con questa tornata elettorale i francesi hanno voluto lanciare un segnale al loro Capo dello Stato, oggi evidentemente in crisi in tutti i sondaggi di popolarità (al contrario, circostanza quasi mai verificatasi durante la Quinta Repubblica, sembra godere di un discreto indice di gradimento popolare il suo primo ministro Fillon, nei mesi precedenti schiacciato dall’iperattivismo mediatico del neoletto Presidente). I francesi hanno del resto continuato a perdere in questi mesi potere d’acquisto e non sembra aver avuto successo lo slogan presidenziale “lavorare di più per guadagnare di più”, così come l’ulteriore deregolamentazione del mercato del lavoro e i tagli alle tasse dei redditi più alti con cui Sarkozy aveva nutrito l’ambizione di dare una scossa all’economia peraltro sempre più gravata da una fase di recessione impostasi oramai su scala mondiale. E tutto questo mentre si manifestava quello che i media francesi hanno definito “il contrasto tra la sua felicità privata e le difficoltà pubbliche”, ovvero il suo apparire come protagonista delle cronache rosa mentre si verificava il sostanziale immobilismo sociale ed economico della nazione francese.
Bisogna però evitare di cadere nel desiderio di evocare il de profundis sull’era Sarkozy. In realtà, a ben vedere, la sua ascesa-caduta (ma forse sarebbe meglio scorgere, per adesso, un duro avvertimento del popolo francese) è da valutare nell’ambito di questa “turbopolitica” contemporanea che tende a rovesciare velocemente consensi e apprezzamenti, specie per quei politici che una volta giunti al potere difficilmente mantengono le loro promesse elettorali (in questo senso la vittoria di Zapatero è la rappresentazione emblematica di un politico capace di vincere sulla base del mantenimento pressoché completo del suo programma).
Spiegare la sconfitta della nuova destra francese “senza complessi” non è tuttavia semplice. Non bisogna sottovalutare il fatto che la Francia con Sarkozy ha sicuramente riacquistato una centralità e un interesse che non si avvertiva quanto meno dall’età di Mitterand (personalità della sinistra europea da riscoprire, a partire dalla bella biografia einaudiana pubblicata nel 2007 da Marco Gervasoni, dal titolo “François Mitterand. Una biografia politica e intellettuale”). Ma resta da vedere (e al momento non appare così) se l’attuale inquilino dell’Eliseo avrà la stessa capacità di seduzione esercitata da uomini profondamente diversi come il primo presidente socialista e lo stesso De Gaulle.
In Italia, con il solito provincialismo della nostra classe politica, tutti si erano detti innamorati del decisionismo di Sarkò, delle sue riforme bipartisan che hanno scatenato sui nostri media uno stucchevole giochino sugli eventuali ministri della sinistra o della destra da coinvolgere seguendo il modello francese. Un’azione, quella di scompaginare la sinistra chiamando a collaborare al proprio progetto intellettuali notoriamente legati al Partito Socialista come Attali, Lang sino alla nomina del ministro degli esteri Kouchner, dettata più dalla voglia di sparigliare nell’immediato post-elezioni i suoi avversari politici piuttosto che da una vera strategia di egemonia sul modello di Gramsci (che pure Sarkozy aveva dichiarato, in campagna elettorale, di aver letto e studiato con attenzione).
Del resto la sua vittoria elettorale era stata determinata anche dalla capacità di erodere una parte cospicua dell’elettorato lepenista affrontando in maniera spregiudicata temi come la sicurezza e l’immigrazione, senza però scadere nel razzismo del leader dell’FN.
A ben vedere, quindi, il sarkozismo non è un modello in quanto non è permeato da un sostrato ideologico ben definito (in proposito si rimanda ai saggi contenuti nel volume “La Francia di Sarkozy”, curato da Baldini e Lazar per i tipi de Il Mulino nel 2007), quanto da un impasto indefinito che proprio nella sua contraddittorietà ha saputo trovare la leva per vincere le elezioni presidenziali. Si pensi solo alla politica economica: pur proclamandosi fautore di un’economia imperniata sul modello liberista (con la piena adesione, ad esempio, al totem della diminuzione delle imposte e della defiscalizzazione degli straordinari), Sarkozy non ha rinunciato a cavalcare una certa opposizione al modello portato avanti dalla “globalizzazione finanziaria” e a porsi come uno dei leader europei maggiormente critici rispetto ai vincoli di Maastricht anche attraverso un esplicito richiamo allo statalismo e all’interventismo di derivazione napoleonica. Per non parlare dell’ambivalente europeismo, favorevole in linea generale ma sempre in una visione intergovernativa anche in considerazione del fatto che per i francesi, come ha dimostrato il referendum del 2005 sulla ratifica della nuova Costituzione, l’Europa sembra diventata per lo più fonte di grande timore.
Unione Europea che comunque potrebbe consentire a Sarkozy di recuperare parte dei consensi perduti quando la Francia assumerà dal 1° luglio la presidenza dell’Unione e il Presidente potrà giocare un ruolo di primo piano (ad esempio facendosi fautore dell’Unione per il Mediterraneo, uno dei suoi fiori all’occhiello e che dovrebbe essere lanciata proprio a luglio).
Resta comunque il fatto che “Sarkò” sarà protagonista ancora per quattro anni della politica europea e mondiale. E mentre arriva a ventilare boicottaggi per le Olimpiadi di Pechino e i media lo hanno seguito attivamente nel corso della sua visita di Stato in Gran Bretagna in compagnia della nuova consorte Carla Bruni, aspettando le sue eventuali cadute protocollari con la regina Elisabetta, resta da chiedersi se la sconfitta alle elezioni amministrative possa rappresentare davvero l’inizio di un tramonto per quello che forse troppo frettolosamente era stato definito come uno dei politici- modello capaci di incarnare lo spirito della politica “a-ideologica” del XXI secolo.