Cronache dall’interno. Identità al pascolo
16 Aprile 2008
Mario Cubeddu
A Seneghe nell’ultimo mese sono successe due cose importanti. E’ stato individuato dai carabinieri e denunciato quello che essi considerano il responsabile della persecuzione contro un nostro concittadino, a cui negli ultimi mesi sono stati devastati 4 oliveti, con l’abbattimento di 50 vecchie piante. A questa vicenda si legherebbe in qualche modo anche l’incendio di due automobili durante la notte, con grave pericolo delle persone che vivevano nelle abitazioni vicine. Salva la presunzione di innocenza per chiunque, la notizia rassicura, perché significa che le forze dell’ordine sono presenti e ottengono risultati. La seconda notizia sembra avere più enfasi giornalistica che sostanza. Un quotidiano ha la soddisfazione di poter titolare “Padre padrone trent’anni dopo”, “Un quindicenne lascia i libri per badare al bestiame”; in primo piano la vicenda di un ragazzo che in età d’obbligo non sta frequentando regolarmente e lavora già con il padre pastore. Le due notizie sembrerebbero scollegate, messe insieme soltanto dalla comunanza di tempo e di luogo. Eppure c’è qualcosa di sostanziale che le accomuna. E che lega le vicende del piccolo paese del Campidano di Milis ad altre della Sardegna interna. Come quella che nelle ultime settimane ha colpito Gavoi con la morte tragica di Dina Dore. Il filo che lega fatti apparentemente così diversi è quello della condizione giovanile nei nostri paesi. A Seneghe i danneggiamenti gravi e ripetuti dei beni di un privato sono stati il motivo che ha portato l’amministrazione a convocare un’assemblea popolare. Già nelle premesse di chi la ha condotta si affermava che non era intenzione degli organizzatori entrare nel merito della vicenda specifica, individuare responsabili e imbastire dei processi, ma che si intendeva discutere dei fattori disturbanti una tradizionale armonia paesana, vera o presunta che sia. I responsabili in questo caso venivano ben individuati e “processati”: i ragazzi del paese, i giovani che sporcano e schiamazzano sino a notte tarda e i loro genitori che non li hanno educati e non li controllano. Questi ultimi in particolare venivano richiamati a riprendere sui figli il controllo autorevole “di un tempo”. Nel dibattito è entrato naturalmente anche il tema della scuola.
A Seneghe sono state riprese le parole pronunciate in una intervista da “Cristolu”, l’ex assessore alla cultura del comune di Gavoi, sull’eccessiva indulgenza dei genitori nei confronti dei figli. D’altra parte la cronaca dell’assemblea comunitaria di Gavoi del 4 aprile riporta un dibattito in cui non si è parlato di sequestri di persona o di assassini, ma di “dove abbiamo sbagliato”. Con successivo “processo all’istituzione famiglia, in primo luogo, ma anche alla scuola”, e riflessioni sconsolate sulle conseguenze negative del processo di modernizzazione. Anche qui dunque il male si manifesta nei comportamenti dei giovani. E, come a Seneghe, mettendo da parte troppo in fretta, forse, il fatto specifico che aveva dato origine al turbamento della comunità, evitando di puntare il dito contro singoli di cui si conoscessero intenzioni e pratiche violente. Per non accusare qualcuno senza prove certe, ma anche con un sospetto di distanza che rischia di sconfinare nell’indifferenza morale di cui si parlò a suo tempo a proposito di sequestri di persona. Finendo per porre in primo piano ciò che è sempre esistito, l’irrequietezza giovanile, che poco o niente ha a che fare con delitti più o meno gravi. Sarebbe comunque ingeneroso non riconoscere una preoccupazione autentica per fenomeni che sfuggono alla comprensione, prima che al controllo della comunità. Cosa stanno diventando i nostri giovani? Quali modelli hanno, se cessano di esserlo i genitori? La vecchia maestra di Gavoi dice: “Bisogna ripristinare la figura del babbo come modello per il figlio.”. Il “padre padrone” di Seneghe finito sul giornale sembra poter essere in qualche modo un modello per il ragazzo che va dietro le pecore a 15 anni. Che non ha trovato nel sistema scolastico una risposta alle sue esigenze, tantomeno dei modelli. E’ stato bocciato alle medie, deve viaggiare ogni giorno verso la città per frequentare una scuola che non lo interessa, non gli piace, non stimola la sua curiosità. Forse non è mai entrato veramente nella nuova scuola, non è stato accolto, incluso. Sembra dire: io non continuerò gli studi, non prenderò il diploma, farò il pastore come mio padre. Perché dovrei venire qui tutti i giorni a perdere tempo, a sentirmi umiliato, quando posso essere utile a mio padre e alla mia famiglia? E’ inaccettabile che un ragazzo, ancora poco più che bambino, abbia già chiuse davanti a sé le vie di scelta di professioni diverse; sia destinato a fare il pastore come il padre, con nessuna possibilità di fare altro. Il ragazzo ha diritto alla libertà, ad essere posto in condizioni di scegliere. La società gli deve garantire questo. Anche di poter fare il pastore, ma dopo una formazione umana e una preparazione culturale e professionale adeguata. Gli strumenti di liberazione dovrebbero essere la famiglia e la scuola. Cooperando, sostenendosi a vicenda. Ma una scuola disastrata come quella sarda, che si libera spesso del problema di educare i ragazzi con la bocciatura e l’espulsione, non sembra attualmente uno strumento adeguato a risolvere il problema del confronto delle giovani generazioni dei paesi con i tempi in cui vivono. Una rivoluzione nella scuola della Sardegna , un cambiamento completo di tutte le sue strutture dirigenti e l’impostazione di metodi nuovi sono la premessa per qualsiasi discorso sul futuro economico, sociale, culturale, dell’isola. Autonomia della scuola sarda, riqualificazione degli insegnanti che devono dimostrare di saper parlare con i giovani. Coinvolgimento dei giovani laureati in attesa di sistemazione come professori e mobilitazione dei tanti insegnanti capaci e disponibili, pensionati a meno di 60 anni, la cui esperienza può e deve essere utilizzata per un lavoro a fondo che elimini entro tempi brevissimi la dispersione scolastica. Ogni ragazzo in difficoltà potrebbe avere oggi un tutor di alto livello che lo accompagni sino al diploma, capace di dialogare allo stesso tempo con la famiglia. Per una battaglia alla nuova emarginazione giovanile, umana prima ancora che sociale o culturale, che coinvolga le istituzioni regionali e tutta intera la società dei nostri paesi.