Seguire l’esempio di Pratobello
16 Aprile 2017Marco Ligas
Nella primavera del 1969 il Ministero della Difesa decise di realizzare un campo militare di addestramento permanente a Pratobello, località situata a sette chilometri dal centro abitato di Orgosolo. Prese questa decisione seguendo le indicazioni della Commissione d’inchiesta parlamentare presieduta dal senatore Giuseppe Medici; l’obiettivo dichiarato era quello di dare una risposta al fenomeno dilagante del banditismo in Barbagia e nelle zone interne della Sardegna.
Le attività legate alla pastorizia vennero individuate ancora una volta come la causa principale del malessere sociale, occorreva perciò contrastarle in tutti i modi e metterle definitivamente in crisi.
La Brigata Trieste ricevette l’incarico di condurre un’azione di “risanamento del territorio”! Il pesticida necessario per la bonifica venne trovato immediatamente: un ordine imposto a tutti i pastori perché abbandonassero da un giorno all’altro i territori interessati alle esercitazioni. Con l’arroganza tipica di chi pratica politiche colonialiste lo Stato assicurò agli allevatori un risarcimento di 30 lire giornaliere a pecora, meno della metà del costo del mangime.
Ma l’intera comunità orgolese si oppose con determinazione, i pastori risposero alle provocazioni ribadendo che la difesa del pascolo era l’unica possibilità di sopravvivenza che avevano e perciò non intendevano abbandonare quei territori.
In quei giorni di giugno ci fu un susseguirsi di riunioni tra gli abitanti di Orgosolo sino a quando l’intera popolazione del paese decise di occupare le terre che lo Stato intendeva usare per le esercitazioni. I manifestanti e l’intera comunità orgolese vinsero quella battaglia attraverso un impegno determinato e costante, consapevoli che la posta in gioco riguardava il loro lavoro e le loro condizioni di vita.
Il giudizio sulla vicenda di Pratobello sarebbe però riduttivo se si sottovalutasse un altro aspetto di quello scontro: il diritto delle popolazioni di poter decidere in autonomia del futuro dei propri territori, soprattutto quando uno Stato prepotente tende ad imporre le sue decisioni senza alcuna consultazione preliminare.
Orgosolo rifiutò quell’arroganza e la polizia fu costretta ad abbandonare i territori contesi; anche in quella circostanza molto importante il ruolo delle donne orgolesi che si impegnarono insieme agli uomini nella difesa dei loro diritti.
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Oggi a distanza di quasi 50 anni dalla vicenda di Pratobello registriamo una nuova prevaricazione, una delle tante che si verificano nella nostra isola, a danno delle comunità che vivono a Gonosfanadiga e nei territori limitrofi. Non la conduce direttamente lo Stato come fu per Pratobello, ma una società collegata a Energogreen e Fintel Energia, la Gonnosfanadiga Limited. Questa volta al posto del Ministero per la Difesa è coinvolto quello dell’Ambiente. Il progetto prevede la realizzazione di un impianto termodinamico la cui centrale occuperà oltre 210 ettari. Non si tratta dunque di un territorio irrilevante tanto è vero che gli abitanti di quei territori già si mobilitano perché questo disegno venga sconfitto.
Nelle settimane scorse si è svolta una prima manifestazione che ha registrato la presenza di più di 1000 persone. Questo è solo l’inizio, hanno detto i manifestanti, pronti a presidiare il territorio nel caso fosse necessario. La decisione della Gonnosfanadiga Limited è chiaramente finalizzata a scopi speculativi, non rientra nei bisogni della popolazione sarda perché nell’isola già si registra una sovrapproduzione di energia.
Anche in questo territorio, come già a Pratobello, c’è un principio fondamentale che viene rivendicato, è quello dell’autodeterminazione: questi territori hanno una chiara vocazione agricola, l’impianto che si vuole realizzare non è compatibile con questo orientamento e perciò non deve essere realizzato. I suoi progettisti devono essere respinti.
Il successo di questo obiettivo politico è certamente possibile ma, come viene ribadito dai promotori di questa mobilitazione, è necessario coinvolgere non solo le popolazioni direttamente interessate ma anche tutte le associazioni che si battono per il rispetto dei diritti dei cittadini. Insomma è più che mai opportuno seguire l’esempio di Pratobello.
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Il 28 aprile si celebra Sa die de sa Sardigna, la festività istituita dal Consiglio regionale della Sardegna nel settembre del 1993 per rievocare la rivolta dei sardi (28 aprile del 1794) contro il viceré e alcuni funzionari sabaudi, colpevoli delle solite angherie nei confronti della classe dirigente locale.
Da allora sono passati diversi decenni, sono cambiati molti governanti ma l’arroganza di chi comanda si è perpetuata con una regolarità inverosimile. Certo, sono cambiate le modalità con cui si esercita il potere, l’ispirazione però è rimasta la stessa. Si pensava che con la nascita della Repubblica questa tendenza sarebbe cambiata, che le nuove istituzioni territoriali (le regioni per esempio), avrebbero potuto modificare le relazioni con i cittadini, insomma che la democrazia avrebbe potuto consolidarsi attraverso il coinvolgimento delle comunità locali nella gestione del governo.
Ma così non è stato. Non ci vuole molto a capire che la nostra amministrazione regionale, pur nei limiti delle sue competenze, non intende modificare le strutture del potere presenti nella nostra Regione. Quando interviene lo fa o per assecondare le scelte del governo nazionale o per sostenere le iniziative dei gruppi imprenditoriali che non si pongono certo l’obiettivo di rispondere ai bisogni del popolo sardo.
Nel corso dei prossimi giorni vedremo certamente i rappresentanti della Regione coinvolti nei festeggiamenti di Sa di de sa Sardigna. Sottolineeranno l’importanza dei risultati raggiunti in questa legislatura e non mancheranno di indicare i progetti per il futuro. Verosimilmente non saranno tanti coloro che daranno credito alle loro proposte anche perché in molti cittadini sardi resta la consapevolezza che il miglioramento delle loro condizioni di vita passa esclusivamente attraverso il loro impegno civile.