Settimo rapporto Gimbe sulla sanità, come Madama Butterfly: «Un po’ per celia, un po’ per non morire»
23 Ottobre 2024[Valter Canavese]
La sanità in Sardegna è un quadro emblematico dove le difficoltà strutturali dell’assistenza al malato, la penuria di personale medico e paramedico e la insufficiente copertura del territorio di una rete ospedaliera diventa un esempio della spaccatura tra il Sud e il resto d’Italia.
La situazione si manifesta già all’indomani del triennio pandemico, come riportato dal rapporto Agenas del 2022: “la Regione Sardegna presenta due aree di assistenza, la prevenzione collettiva e la distrettuale, con punteggi al di sotto della soglia di sufficienza, pari rispettivamente a 46,5 e 50,5. Superiore ai requisiti fissati il punteggio registrato dall’area ospedaliera (69,1)”.
Così mentre il precedente Presidente della Regione si vantava di non aver speso 3 milioni e ottocentomila euro nel 2023 La Sardegna, per quello che concerne i livelli essenziali di assistenza (LEA), è la triste protagonista della “frattura strutturale” tra Nord e Sud e negli adempimenti cumulativi 2010-2019 nessuna Regione del Mezzogiorno si posiziona tra le prime 10.
Nel 2022 quasi metà delle Regioni registra performances inferiori rispetto al 2021; l’area della prevenzione è quella con il maggior numero di Regioni inadempienti (n. 7), seguita dall’area distrettuale (n. 5) e da quella ospedaliera. Cosa comporta questa dissoluzione delle strutture sanitarie in Sardegna? Che i sardi, quasi come prassi, incentivano la mobilità sanitaria, con l’aggravante di una continuità territoriale prossima all’eufemismo, confermando uno iato che sembra ormai incolmabile, con flussi economici che scorrono prevalentemente da Sud a Nord. In particolare, nel 2021, Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto assorbono complessivamente quasi la metà dei crediti della mobilità e il 93,3% del saldo di mobilità attiva, mentre le Regioni con saldo negativo maggiore di € 100 milioni sono tutte del Centro-Sud.
In questo scenario cosa ci si può aspettare dalla legge sull’autonomia differenziata scritta con il grimaldello dall’onorevole Calderoli? Per la Corte dei Conti, in sede di audizione alla Camera: “La definizione dei fabbisogni standard, che richiede a monte la fissazione dei Lep, non ha fatto passi in avanti e le assegnazioni delle risorse per la copertura dei servizi si basano ancora sostanzialmente su livelli storici che non assicurano la coerenza con la tutela dei diritti essenziali. Tale sistema si mostra limitato e non sempre caratterizzato da parametri efficaci di equità, non potendo garantire in modo uniforme l’effettività dei diritti civili e sociali”.
Il rapporto Gimbe riparte da qui e conferma, con dati e tabelle, come i risultati di maggiori autonomie acuirebbero la grave crisi di sostenibilità del SSN, con conseguenti profondi divari regionali come mancati adempimenti LEA, mobilità sanitaria, attuazione della Missione Salute del PNRR, aspettativa di vita. Per questi sostanziali motivi la Fondazione GIMBE ritiene necessario non includere la tutela della salute dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiore autonomia violando nei fatti “il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nell’esercizio del diritto alla tutela della salute, legittimando normativamente i divari tra Nord e Sud”.
Qui arriviamo a quella che è la bozza di legge finanziaria approvata dal Consiglio dei ministri in questi giorni; una cornice dove i tecnici del Ministero del Bilancio intraprenderanno duelli all’arma bianca con gli esponenti del Governo con le briciole di pochi giorni per una discussione in un Parlamento svuotato dei suoi poteri.
Le maggiori somme destinate alla Sanità verranno in gran parte convogliate nella stagione dei rinnovi contrattuali. Al netto del tasso di inflazione, salvo impennate, la percentuale di spesa sul Pil non dovrebbe aumentare se non per pochi decimali. Nel 2023 la fotografia dei costi è stata la seguente: € 176.153 milioni suddivisi in € 130.291 milioni per la parte pubblica (74%); € 45.862 milioni di spesa privata, di cui € 40.641 milioni direttamente dai cittadini di tasca propria -i cosiddetti out of -pocket- (23%) e € 5.221 milioni (3%) di oneri derivati da fondi sanitari e assicurazioni. “Complessivamente, l’88,6% della spesa privata è a carico dei cittadini mentre l’11,4% è intermediata. Rispetto al 2022, l’aumento delle uscite sanitarie totali (+2,5%) è stato sostenuto esclusivamente dalla spesa out of pocket (+10,3%) e da quella intermediata”.
Tenendo presente che tale ripartizione è ormai strutturale, queste sono le “ramificazioni” degli interventi sanitari per il 2023, ammontante ad oltre 130 milioni di euro: € 74.747 milioni per l’assistenza sanitaria per cura e riabilitazione, € 13.147 milioni per l’assistenza sanitaria a lungo termine, € 12.124 milioni per servizi ausiliari, € 20.385 milioni per prodotti farmaceutici e altri apparecchi terapeutici, € 8.453 milioni per i servizi di prevenzione delle malattie, € 1.435 milioni per governance, amministrazione e finanziamento del SSN. Rispetto al 2022, nel 2023 si registra un crollo dei “Servizi per la prevenzione delle malattie” (-18,6%).
Poi, se volete, per sopperire alle carenze quotidiane di chi si imbatte nel sistema sanitario, possiamo sfruttare il luogo comune che, a mo’ di presa in giro, attribuisce a chi vive al Sud una innata fantasia. Di fatto l’Istat ha certificato che nel 2022 il 16,7% delle famiglie ha dichiarato di avere limitato in quantità e/o qualità le spese per la salute; il 5,1% delle famiglie ha riferito di non disporre di denaro in alcuni periodi dell’anno per affrontare spese sanitarie.
Mentre nel 2023 oltre 4,48 milioni di persone (7,6%) di persone hanno rinunciato a prestazioni sanitarie, di cui quasi 2,5 milioni (4,2%) per motivi economici: quasi 600.000 persone in più rispetto all’anno precedente. Coda finale, l’indice di povertà assoluta che tra il 2021 e il 2022 è passato dal 7,7% all’8,3%, coinvolgendo quasi 2,1 milioni di famiglie.
Lasciamo in coda gli “angeli del Covid” medici, infermieri personale paramedico e non, che ci hanno messo vite, sputato ore, turni infiniti e acquisito incubi notturni. Il settimo rapporto Gimbe disegna motivi di sconcerto e ribellione contenuta anche in questo capitolo.
Nel 2022 i medici che lavorano nelle strutture sanitarie erano 124.296: 101.827 come dipendenti del SSN e 22.469 come dipendenti delle strutture equiparate al SSN. La media nazionale è di 2,11 medici per 1.000 abitanti, con un range che varia da 1,80 della Campania e con il primato in Sardegna dove la percentuale è di 2,64. Non inganni il fatto che L’Italia si colloca sopra la media OCSE (4,2 vs 3,7 medici per 1.000 abitanti), poiché sconta un gap rilevante tra i medici attivi e quelli in quota al SSN.
Per quel che concerne gli infermieri, nel 2022 il numero di quelli che lavorano nelle strutture sanitarie è di 302.841: 268.013 come dipendenti del SSN e 34.828 come dipendenti delle strutture equiparate al SSN. La media nazionale è di 5,13 per 1.000 abitanti. L’Italia si colloca notevolmente al di sotto della media OCSE (6,5 vs 9,8 per 1.000 abitanti).
Il rapporto medici infermieri colloca è al di sotto della media europea – 1,5 contro 2,6 -. I “tracolli” per settori della Sanità sono ampi e senza una rendicontazione effettiva da aggiornare nei pensionamenti e nei concorsi che si andranno a svolgere. Di fatto Al 1° gennaio 2023 i 37.860 medici di medicina generale avevano in carico oltre 51,2 milioni di pazienti. Considerando accettabile un rapporto di 1 medico ogni 1.250 assistiti, al 1° gennaio 2023 si stima una carenza di 3.114 figure in quel ruolo.
Le carenze strutturali riguardano anche i pediatri di libera scelta –PLS -al 1° gennaio 2023 erano 6.681 con in carico quasi 6 milioni di iscritti, di cui il 42,5% (2,55 milioni) appartenente alla fascia di età 0-5 anni e il 57,5% (3,45 milioni) alla fascia 6-13 anni. Con un tale livello di saturazione, non solo è compromesso il principio della libera scelta, ma in alcune Regioni diventa impossibile trovare la disponibilità di PLS sia nelle aree interne o disagiate, sia vicino a casa nelle grandi città. Considerando accettabile un rapporto di 1 PLS ogni 800 assistiti, al 1° gennaio 2023 si stima una carenza di 827 PLS, con notevoli differenze regionali.
Il prossimo appuntamento per lo stato delle cose della Sanità in Italia e in Sardegna è per il 29 ottobre, quando sarà presentato il rapporto nazionale 2023 dalla Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali.