Si può amare la propria follia? Riflessioni sul libro di Elena Cerkvenič

26 Aprile 2025

[Roberto Loddo]

Sono schizofrenica e amo la mia follia (Meltemi editore) è il diario di Elena Cerkvenič che parte dall’inizio di una primavera qualsiasi, un lunedì 21 marzo, e che si conclude sempre in una giornata di primavera con un messaggio di ottimismo, felicità e salvezza.

E l’ottimismo, la felicità e la salvezza sono elementi poco comuni oggi, nel nostro presente del qui ed ora, all’interno dei nostri servizi di salute mentale.

La primavera dell’autrice è la fotografia di una giovane donna agli inizi degli anni ’90, piena di sogni, ambizioni, aspirazioni e progetti per il futuro che si sviluppano e crescono quando si trovava Germania, a Monaco di Baviera. All’epoca era insegnante di tedesco e seguiva un corso di perfezionamento per la sua materia. Sposata, laureata in lingue con centodieci e lode, aveva incarichi di supplenza a scuola per l’insegnamento del tedesco.

Sogni, ambizioni, aspirazioni e progetti che vengono compromessi come una bolla di sapone. Ma non vengono compromessi dalla follia. Al contrario vengono compromessi da una visione distorta della cura che inizia all’interno di un ospedale psichiatrico tedesco.

Una visione distorta della cura che toglie elementi di cittadinanza e di diritto a chi come Elena vive l’esperienza delle crisi e del ritorno dei pensieri invadenti. E qui che lo slogan del movimento di liberazione e di emancipazione basagliano, guarire si può, diventa una domanda dalla risposta incerta nel racconto di Elena. Si può davvero guarire dalla sofferenza e dal dolore?

“disturbo bipolare e/o schizoaffettivo”, se vogliamo attenerci a quello che dice la diagnosi. Ma la malattia, abbiamo imparato, non è, non può essere solo una diagnosi data dell’ospedale psichiatrico in cui viene ricoverata. Tornata a Trieste, città in cui è nata, inizia un lungo e profondo viaggio interiore, durante il quale impara a mettere la propria malattia “all’angolo” e ad amarla come parte di sé e come identità.

Identità che supera lo stigma della malattia, identità che ti rende persona, persona protagonista del mondo che stai vivendo, che è il contrario delle non persone, delle non persone che vengono riconosciute come tali solo dalla sala d’aspetto di un qualsiasi centro di salute mentale. Elena è riuscita a trasformare il veleno in medicina, a togliersi il filo spinato della fabbrica delle diagnosi dalla bocca e a trovare, a scoprire le strategie giuste per non lasciarsi sopraffare e ritrovare la felicità.

Pregiudizi, contraddizioni, emozioni, il diario di Elena ci mostra come si vive davvero una esperienza di cura nella salute mentale, una esperienza di cura da un punto di vista di chi ha vissuto le cattive pratiche e le buone pratiche della psichiatria, sia quella che usa la tua follia per disintegrare la tua libertà sia quella buona, la psichiatria della legge 180, che riesce a dare spazio per una vita piena in cui poter pronunciare la parola felicità.

E sullo sfondo di questo diario troviamo la Trieste di Franco Basaglia, il genio che ha reso possibile tutto questo insieme ad altre persone straordinarie del presente, come Peppe Dell’Acqua allievo di Franco Basaglia che diresse il dipartimento di salute mentale di Trieste e che ha curato la collana 180 e Pier Aldo Rovatti, il maestro delle conversazioni filosofiche della scuola di Trieste e poi il gruppo Articolo 32 un gruppo aperto e misto, formato da utenti, familiari, operatori e si impegna affinché venga tutelata e applicata la legge 180, che ha consentito alle persone con sofferenza psichica di uscire dai manicomi e di potersi curare in libertà come si cura ogni cittadino e ogni cittadina per qualsiasi altra malattia e che ha coinvolto Elena nella promozione del lavoro di supporto alla pari nei CSM di Trieste.

I sogni sono fatti della carne e del sangue di cui si rivestono per venirci incontro e raccontarci la loro verità. Che non di rado è quella più vera scrive la giornalista Francesca de Carolis nella prefazione, e ha ragione perché riporta il sogno dell’incontro con Basaglia, per il quale Elena si prepara per apparire bella “perché anche a noi matti piace essere curati, piace essere belli e apparire piacenti, per noi stessi e per gli altri”.

Il racconto di Elena ci mostra il suo punto più alto nel dare valore alle piccole cose e alle relazioni con le persone, le relazioni hanno un valore carico di importanza, come se rappresentassero un castello inespugnabile su cui nascondersi, affidarsi, al sicuro, durante una tempesta.

È non è una cosa scontata. Per le persone che vivono una esperienza di salute mentale non c’è un manuale che spiega come comportarsi. Sei tu quel manuale. E il manuale di Elena è fatto di memoria e relazioni con i propri familiari, con gli amici. E sono proprio la memoria e le relazioni che danno a Elena la possibilità di riprendere il cammino dopo una caduta, e di recuperare le forze ‒ e infine ritrovarsi.

L’importanza di sentirsi accettata e amata nei contesti di vita rappresenta un elemento centrale della vita di Elena, così come essere accolta dagli operatori dei Servizi di salute mentale a Trieste. Servizi con le porte sempre aperte.

Elena Cerkvenič è nata a Trieste da una famiglia di minoranza slovena. Laureata in Lingue, ha insegnato tedesco nelle scuole medie e superiori. Attualmente si occupa di iniziative per la diffusione della lingua e della cultura slovene ed è impegnata nelle associazioni di persone che vivono o hanno vissuto la sua stessa esperienza.

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