Si scrive Pratobello e si legge GALSI? Ecco perché la Sardegna non è l’unica vittima di una transizione ingiusta
23 Agosto 2024[Antonio Fronteddu]
Con la nascita di nuovi sistemi di produzione energetica green, basati su sole e vento, ci era stato promesso un futuro diverso. L’idea era di passare dall’energia come merce inquinante, acquistata da paesi ricchi di petrolio in un mercato funzionale a guerre e conflitti geopolitici, verso sistemi energetici sostenibili. Si sperava che questi sistemi avrebbero aperto la strada alla gestione dell’energia come un bene collettivo, prodotto e consumato localmente.
Tuttavia, i vari governi nel mondo sembrano concentrarsi esclusivamente sull’innovazione delle fonti energetiche, come il passaggio dal petrolio al sole e al vento, senza modificare l’approccio alla produzione e distribuzione. Mentre un tempo si sfruttavano i paesi ricchi di petrolio, ora si stanno sfruttando le regioni ricche di sole e vento, replicando lo stesso modello di estrattivismo e sfruttamento, seppur con risorse diverse.
Questo è innegabilmente il caso della Sardegna che, anche grazie alle centrali fossili di Portovesme e Fiumesanto, dal 2003 produce più energia di quanta ne consumi, esportandola grazie ai cavi sottomarini SAPEI e SACOI. I consumi, a seguito della crisi del 2008, sono scesi ai livelli di fine anni ’80. La conversione ai sistemi di energia verde non sarebbe un problema se non fosse che la quota di produzione di energia rinnovabile assegnata alla Sardegna dallo Stato italiano, pari a più di 6 GW, è da considerarsi in aggiunta a quanto il sistema sardo produce attualmente. Questa quota, pensata all’interno del contesto di transizione “nazionale”, non prevede alcun tetto massimo di produzione e sarà probabilmente destinata a salire. Siamo nel 2024 e questi numeri dovranno essere frettolosamente raggiunti entro il 2030: l’impressione è che la decarbonizzazione della Sardegna sia solo un effetto collaterale della produzione di massa di energia verde, piuttosto che il reale obiettivo.
Si pone quindi la questione del Tyrrhenian Link, un cavo sottomarino pensato principalmente per esportare energia verde dalla Sardegna verso la Sicilia e la penisola italiana. Non ci sarebbe alcun problema, se non fosse che TERNA – la società responsabile di questo investimento di oltre 3,7 miliardi di euro – ha ignorato la raccomandazione della Commissione 2022/822 sul coinvolgimento pubblico nell’accelerazione delle procedure autorizzative per i progetti di energia rinnovabile. Allo stesso modo, TERNA non ha adeguatamente ottemperato alla direttiva 2011/92/UE sulla valutazione dell’impatto ambientale di progetti pubblici e privati richiede che “il pubblico sia informato, attraverso avvisi pubblici o altra forma adeguata, in una fase precoce delle procedure decisionali”.
Infine, TERNA ha trattato la direttiva 2014/52/UE, che rafforza il coinvolgimento dei cittadini, come una semplice formalità: agli incontri organizzati da TERNA per dialogare con la comunità, infatti, si sono presentati pochissimi partecipanti. Per la precisione, si sono presentati 12 cittadini al primo evento “Terna Incontra” a Quartu il 4 ottobre 2021, soltanto 3 cittadini all’incontro “Terna Incontra” di Maracalagonis, Quartucciu e Sinnai del 5 ottobre 2021, appena 5 cittadini all’incontro di Settimo San Pietro e Selargius del 6 ottobre 2021, e infine 30 cittadini al secondo incontro di Maracalagonis, Quartu, Quartucciu, Selargius, Settimo San Pietro e Sinnai, tenuto online.
Eppure, la società ha dichiarato di essersi mossa tramite opere di volantinaggio e di notevole contatto con il pubblico, nonché di aver ricevuto grande approvazione dai cittadini Quartesi per l’infrastruttura energetica. La lotta contro l’esproprio dei terreni – o “acquisizione bonaria” – come la chiama TERNA, suggerirebbe altrimenti. Così come l’imbarazzante numero di persone che ha partecipato alle riunioni – fenomeno che mette in risalto metodi di coinvolgimento popolare alquanto discutibili, per i quali – come promesso in campagna elettorale – la Presidenza della Regione Sardegna dovrebbe richiedere forti delucidazioni.
Un simile modus operandi avviene per gli impianti rinnovabili (eolico, fotovoltaico ed agrivoltaico) in altre zone della Sardegna. Questa volta però, nessun cittadino è chiamato a nessuna riunione: alle amministrazioni capita che vengano presentati i progetti degli impianti, senza che queste ultime abbiano voce in capitolo (sì, ancora una volta questo è uno degli effetti del famigerato “Decreto Draghi”). Aziende all’apparenza sconosciute, con capitale sociale di appena €20,000, oltre a grandi multinazionali, cercano di accaparrarsi terreni per impianti eolici e presentano poi richiesta di allaccio a Terna. I numeri sono impressionanti: centinaia di richieste di allaccio per altrettanti progetti, inoltrate senza sosta fino a quando, nei primi giorni di luglio, la moratoria non è stata approvata dal Consiglio Regionale. Numeri che andrebbero ben oltre la capacità di export dei cavi Tyrrhenian Link, SAPEI, ed il riammodernato SACOI.
Questi argomenti stanno diventando sempre più di dominio pubblico e sono stati approfonditi in gran parte grazie ai numerosi comitati che hanno saputo riunire competenze, creare comunità e diffondere conoscenza come raramente era accaduto prima nella nostra isola.
All’indomani della Moratoria promessa in campagna elettorale dall’esecutivo Todde – e poi finalmente approvata in Consiglio Regionale – consistente nello stop ai nuovi impianti e nella rapidissima individuazione delle aree idonee durante questo stop temporaneo – la reazione del popolo sardo è stata chiara: la moratoria non basta. Non ha funzionato la strategia del dare le colpe all’ex Presidente Solinas per non aver precedentemente tutelato la Sardegna con la mappatura delle aree idonee: questi progetti si stanno concretizzando ora e la pressione crescente verso l’attuale governo regionale, a pochi mesi dall’insediamento, è già altissima. L’attuale governo parrebbe aver sottovalutato la questione sia in campagna elettorale, che nell’emanazione della moratoria stessa come panacea contro tutte le speculazioni energetiche.
Ecco che arriva quindi una nuova proposta di legge per regolare l’attuale fenomeno di speculazione energetica in Sardegna: Pratobello ‘24.
È ormai cosa nota che questa proposta sia – in parte – frutto del lavoro del gruppo Unione Sarda, comprendente l’ex Presidente della RAS Mauro Pili e l’azionista US di maggioranza Sergio Zuncheddu. È altresì vero che questa proposta di legge è stata accolta con grande entusiasmo da diversi comitati ed altrettanti gruppi spontanei, nonché singoli cittadini che vedono in questa proposta di legge uno strumento per fare pressione sull’esecutivo Todde affinché questo impegni ulteriori strumenti contro la speculazione energetica. Questo è oggettivamente vero: per quanto Pratobello ‘24 sarà soggetta – come la moratoria – ad impugnazione davanti alla Corte Costituzionale, ci sono alcuni temi trattati, tra cui i principi di produzione di energia per l’autoconsumo, la promozione di comunità energetiche su più livelli, criteri su dove collocare e dove non collocare gli impianti, e l’ambiziosa revoca delle autorizzazioni concesse agli impianti che non rispettino gli standard suggeriti dalla legge, che sarebbe importante venissero discussi in Consiglio Regionale. Anche se va detto che fare tutto questo con una proposta di legge urbanistica parrebbe essere una grande forzatura, sia legale che politica.
C’è però un passaggio poco convincente all’interno di questa proposta di legge, che all’Articolo 4 recita: “Eventuali deroghe al divieto di cui al comma 1 dell’articolo 3 (quello sulla salvaguardia del paesaggio) possono essere concesse dalla Giunta Regionale esclusivamente […] per la produzione di idrogeno e la conseguente generazione di energia elettrica attraverso centrale tecnologicamente innovativa alimentata con idrogeno”.
Ma di quale idrogeno si parla?
Ora come ora si suppone che si parli di idrogeno grigio e/o idrogeno blu, che altro non sono che derivati del metano. Sì, proprio così, con l’articolo 4, la proposta di legge di Pratobello potrebbe aprire alla metanizzazione della Sardegna (passaggio questo, che metterebbe d’accordo sia Todde che Truzzu). Infatti, attraverso un processo chiamato SMR, il metano viene mescolato con vapore acqueo e portato a temperature molto alte: questa reazione chimica separa l’idrogeno dal metano, rilasciando nell’atmosfera inquinante anidride carbonica, e producendo idrogeno grigio. Mentre l’idrogeno blu viene chiamato così perché le sue emissioni vengono catturate e stoccate in aree geologiche idonee. E come viaggerà mai questo idrogeno grigio (o blu)? Nelle stesse dorsali su cui viaggia il gas. Non sorprende allora che proprio in data 31 Luglio 2024, Sonelgaz, azienda pubblica algerina che opera nel settore della distribuzione, trasmissione, e produzione di elettricità e gas naturale, abbia rilasciato un documento stampa in arabo per annunciare la firma – insieme a Sonatrach ed ENI – di un protocollo che avrebbe “l’obiettivo di definire il quadro generale e stabilire le basi e i principi per l’interconnessione delle reti elettriche algerine e la creazione di studi di fattibilità per scambi di energia elettrica con il mercato italiano ed europeo, attraverso la realizzazione di un cavo sottomarino che colleghi l’Algeria all’Italia”. Questi altro non sono che i naturali sviluppi della prima visita di Draghi in Algeria a seguito del conflitto in Europa dell’Est tra Ucraina e Russia, dove si rispolverò per la prima volta la questione GALSI (gasdotto Algeria, Sardegna, Italia). Con l’arrivo di Giorgia Meloni poi, il 23 Gennaio 2023, in una visita ufficiale ad Algeri, la Presidente del Consiglio stessa ammise che fosse in atto lo studio per la realizzazione “di un nuovo gasdotto per l’idrogeno […] di un mix che individuiamo come possibile soluzione alla crisi energetica in atto”. Tebboune, presidente dell’Algeria, esplicitò nella stessa conferenza stampa che “esiste un accordo per lo studio e la realizzazione del gasdotto GALSI, che non trasporterà solo gas, ma anche idrogeno verde, ammoniaca ed elettricità”.
Ma che cosa è l’idrogeno verde e perché potrebbe essere una nuova servitù green, al pari dell’eolico in Sardegna?
Così come eolico e fotovoltaico, l’idrogeno verde è uno strumento straordinario – l’unico che ad oggi si conosce, che sia completamente non inquinante e che possa potenzialmente rimpiazzare benzina, diesel, e tutti gli altri combusitibli. Se l’idrogeno grigio si otteneva con metano e vapore acqueo, l’idrogeno verde si produce con della semplice acqua, grazie ad un processo chiamato idrolisi, che grazie all’elettricità, separa l’acqua (H2O) in idrogeno (H2) e ossigeno (O2), non emettendo dunque, nessuna anidride carbonica. Va detto che questa tecnologia è giovanissima, e servirà un grande sforzo scientifico per poterla impiegare su larga scala prima del 2050.
C’è solo un problema: l’idrogeno verde ha bisogno di straordinarie quantità di acqua per essere prodotto (ci sarà bisogno di desalinizzatori), il suo stoccaggio è ad oggi problematico (richiederà probabilmente superfici molto vaste, e ancora non si è trovata la forma migliore per poterlo conservare), ed infine, richiede tantissima energia per essere prodotto, quindi ancora più eolico e solare su scala industriale. La produzione e lo stoccaggio di idrogeno verde trovano naturale collocazione nel Sud della Sardegna: questa sostanza potrà viaggiare attraverso il GALSI, che da PortoBotte (nel “triangolo delle Bermuda” tra Portoscuso, Portovesme e Carbonia, dove già nel 2021 SNAM ha iniziato le procedure per costruire un rigassificatore GNL), viaggerebbe attraversando la Sardegna diagonalmente fino ad Olbia, per poi arrivare nella Penisola Italiana. Si potrebbe anche supporre che, con il fine di sfruttare il corridoio infrastrutturale già esistente, un altro cavo (pipeline) per il trasporto di idrogeno (verde) potrebbe essere posato parallelamente al Tyrrhenian Link, consentendo una notevole riduzione dei costi di manutenzione e progettazione (salvo possibili interferenze tra i due cavi). D’altronde, sempre a Sud, ma stavolta a Sarroch, la neonata società SardHy Green Hydrogen, progetto congiunto di Enel Green Power e SARAS, ha ricevuto la bellezza di 5,2 miliardi di euro di sovvenzioni pubbliche approvate dalla Commissione Europea nel solo 2022, per supportare ufficialmente “la ricerca e l’innovazione, la prima applicazione industriale e la costruzione delle relative infrastrutture nella catena del valore dell’idrogeno”, con la costruzione di un elettrolizzatore per idrogeno, avvenuta nel 2021.
Pratobello, con l’articolo 4, sembrerebbe spalancare la porta alla prioritizzazione dei sistemi di energia ad idrogeno i quali, alla faccia dell’autoconsumo, porterebbero la Sardegna ad essere pedina globale dell’energy trading di idrogeno verde, e non solo di energia eolica. A questo punto, la questione non riguarda più solo la Sardegna, ma assume una dimensione globale. Progetti come il Tyrrhenian Link oggi, e il GALSI domani, confermano la crescente globalizzazione del mercato dell’energia. Un esempio emblematico è l’ambizioso progetto X-Links, che prevede che il Marocco produca l’8% del fabbisogno energetico del Regno Unito attraverso energia solare ed eolica, trasportata poi attraverso quasi 4.000 chilometri di cavi sottomarini posati sul fondo dell’Oceano Atlantico. Non c’è da meravigliarsi, quindi, se assistiamo a studi sempre più frequenti per connettere la rete energetica del Nord Africa a quella europea. L’estrattivismo energetico si evolve, assumendo le sembianze di un nuovo colonialismo green, e la Sardegna non è altro che una pedina nel grande scacchiere energetico italiano ed europeo, con il settore dell’energy trading al centro di tutto. Questo settore, che riguarda l’acquisto, la vendita e lo scambio di energia elettrica tra stati, aziende energetiche e operatori di rete, ha visto la Presidente Todde protagonista in prima persona con la sua società Energeya, poi acquisita da FIS Global nel 2015.
Ovviamente l’eolico, il solare, l’idrogeno verde, sono risorse straordinarie che ci consentono di rispettare – si spera – gli accordi sul clima di Parigi che vogliono la decarbonizzazione totale entro il 2050. Queste risorse, tuttavia, devono essere gestite da e per la Sardegna: riuscite ad immaginare cosa potrebbe accadere se il GALSI venisse costruito con le stesse metodologie violente del Tyrrhenian Link, attraversando in due la Sardegna?
E vale davvero la pena spendere miliardi di euro per la metanizzazione della Sardegna, quando gli accordi stessi di Parigi prevedono un phase-out (abbandono) graduale del metano a partire dal 2035? Perché l’attuale governo regionale presenta il metano come energia di transizione? Non sarebbe forse meglio – visto che siamo chiamati a produrre così tanta energia elettrica – effettuare un cosìddetto “leap-frogging”? Il leap-frogging (salto della rana) è un concetto in cui alcuni Paesi adottano tecnologie avanzate senza passare attraverso fasi intermedie di sviluppo. Pensiamo a quanti paesi in via di sviluppo abbiano saltato la costruzione di infrastrutture di telefonia fissa, che richiedono costose installazioni di cavi, passando direttamente alla tecnologia mobile. In modo simile, la Sardegna potrebbe saltare la metanizzazione (che era pianificata nei primi anni del 2000, sempre con il vecchio GALSI), per passare direttamente alle rinnovabili. Questo “salto” potrebbe iniziare con misure semplici ma significative, come l’elettrificazione totale delle abitazioni, ad esempio attraverso l’uso di fornelli elettrici e sistemi di riscaldamento elettrico. Il tutto sempre che – repetita iuvant – la decarbonizzazione della Sardegna sia la vera priorità, e non un semplice effetto collaterale di una transizione di massa.