Siamo tutti lavoratori
1 Ottobre 2014Marco Ligas
Nel nostro paese non ci sono più padroni, solo lavoratori, ci avverte Renzi; naturalmente una varietà di lavoratori, precisiamo noi: quelli che lavorano per qualche mese all’anno, quelli a part-time, quelli che pagano le tasse con regolarità e possono considerarsi fortunati se hanno un salario di 1000 euro mensili, i precari, i cassintegrati, quelli che a 40 anni non riescono ancora ad avere un lavoro e poi ci sono gli imprenditori.
E smettiamola, ammonisce Renzi, di considerare questi ultimi dei padroni, termine dispregiativo ormai obsoleto usato troppo spesso dai comunisti (prima, quando esistevano); anch’essi (i padroni o gli amministratori delegati) sono lavoratori, non dimentichiamo che a volte hanno un orario lavorativo persino eccessivo, sopra le 36 o 40 ore settimanali. Proprio per questa ragione è giusto che guadagnino qualcosina in più di un lavoratore dipendente, è vero qualcuno va ben al di là e percepisce un compenso anche 400 volte maggiore, però ha delle responsabilità notevoli che riguardano il futuro dell’azienda e quello(?) del paese.
Così capita che questi signori non paghino regolarmente le tasse, che portino altrove i loro capitali, che scelgano altre residenze per sottrarsi alla voracità del fisco; in fin dei conti in qualche modo deve pur essere ricompensato il loro impegno lavorativo! Insomma non scandalizziamoci se a qualcuno talvolta viene concessa una liquidazione da capogiro (27 milioni per esempio dopo 10 o 15 anni di attività).
Queste sono le scelte implicite emerse nel dibattito sull’articolo 18 che si è svolto ieri nella direzione nazionale del PD. Fanno riflettere anche se non rappresentano una novità.
Colpiscono piuttosto la determinazione e l’arroganza usate, come è diventata ormai sua abitudine, dal segretario del partito Matteo Renzi.
Il tema all’ordine del giorno era l’abolizione dell’articolo 18, un tabù che durerebbe ormai da 44 anni, è talmente sicuro di sé questo segretario che ha perso persino la dimensione del tempo, non ricorda più che l’ispirazione di quella legge è stata ormai travolta dalle politiche neoliberiste realizzate dai suoi compagni di cordata, da Berlusconi a Verdini a Monti. Non ha importanza che questi appartengano a formazioni differenti dalla sua perché la coalizione attuale li include tutti con gli stessi poteri. Neanche Bersani o D’Alema contano ormai più di loro.
Renzi ha ribadito le sue scelte dopo una lunga serie di riunioni: ha incontrato i rappresentanti delle istituzioni europee, dai quali ha ricevuto anche critiche severe, è stato negli Stati Uniti e anche laggiù ha avuto modo di confrontarsi con Obama e ascoltarne i consigli, senz’altro importante oltre che cordiale deve essere stato l’incontro con Marchionne; infine, dulcis in fundo, non poteva mancare l’incontro col Presidente Napolitano. I suggerimenti di Napolitano già li conosciamo perché sono stati comunicati al paese: basta con i conservatorismi, avanti con le innovazioni! Anche i più lontani dalla vita politica hanno capito che quella esortazione significava un consenso all’abolizione dell’articolo 18 (un inciso: ma Napolitano non aveva detto che si sarebbe dimesso rapidamente da Presidente?).
E’ evidente come gli esiti di queste riunioni abbiano rafforzato i suoi convincimenti.
A questo punto però è legittimo un interrogativo: il nostro paese è sotto tutela o può esercitare i suoi diritti così come è previsto nella nostra Costituzione?
Col passare del tempo le nostre libertà vengono ripetutamente ridimensionate, c’è sempre qualche istituzione a livello europeo o mondiale che ci detta quel che bisogna fare, come se i cittadini non contassero o dovessero necessariamente condividere le scelte di dirigenti inaffidabili, per di più neanche eletti in normali elezioni.
La risposta è semplice e al tempo stesso difficile; questi processi andranno avanti sino a quando non riusciremmo a consolidare il nostro impegno politico.
*Nell’immagine: Tullio Crali, Incuneandosi nell’abitato 1939