Siamo tutti hikikomori

17 Ottobre 2024

Akifu (Ito Daishin), Hikikomori

[Amedeo Spagnuolo]

Sempre più spesso sulle testate giornalistiche, alla televisione, su internet si sente parlare degli “Hikikimori”, il termine è ovviamente giapponese e indica tutte quelle persone che improvvisamente, ma non per caso, decidono di abbandonare la vita sociale e di rinchiudersi in casa o addirittura in una minuscola stanza per lunghi periodi, addirittura per anni.

Questa fenomenologia dell’autoisolamento ha preso piede inizialmente in Giappone ma poi si è diffusa praticamente in tutto il mondo non risparmiando nemmeno l’Italia. Nel nostro paese il fenomeno sta dilagando in maniera preoccupante soprattutto tra i giovani. Gli esperti ci dicono che tra le cause che portano i nostri giovani a isolarsi dal mondo esterno le più importanti sono: forti pressioni scolastiche; serie difficolta a relazionarsi con l’altro; uso ossessivo della tecnologia; problemi molto complessi nel riuscire a soddisfare le aspettative sempre più pressanti della società tecno – capitalista.

Il problema sta diventando talmente pervasivo da indurre tante persone a costituirsi in gruppi di aiuto e in associazioni che si pongono come obbiettivo fondamentale quello di sensibilizzare l’opinione pubblica su questa triste condizione che colpisce ormai tantissimi giovani. Il problema ha subito un’impennata dopo la terribile esperienza del Covid e dell’isolamento forzato che ha costretto milioni di persone in tutto il mondo a isolarsi dal mondo esterno per difendersi dal flagello della pandemia.

Certo il problema esisteva molto prima della pandemia ma con il Covid esso è stato amplificato e ha determinato una vera e propria mutazione antropologica del genere umano che sembra aver perso la capacità di relazionarsi con l’altro e preferisce vivere una vita solitaria davanti agli schermi dei computer, degli smartphone e della televisione. Subito dopo la fine della pandemia ho avuto modo di sperimentare personalmente questa condizione quando ho cercato di ristabilire tutti quei contatti sociali che avevo perso conseguentemente al Covid.

Solo in alcuni casi sono riuscito a riallacciare le relazioni pre – pandemiche, nella maggior parte dei tentativi di “risocializzazione” mi sono sentito rispondere, alle mie richieste, delle motivazioni onestamente poco credibili che mi hanno fatto comprendere come i miei ex amici e conoscenti non avessero nessuna voglia di condividere con me pezzi di vita, probabilmente per la paura inconscia di poter contrarre chissà quale terribile infezione o semplicemente perché ormai costoro avevano disimparato a socializzare. Penso spesso a questa situazione e ammetto che quando il pensiero diventa piuttosto pervasivo mi sale un’ansia difficile da disinnescare.

Di tutto questo, come sempre, se ne sta avvantaggiando il capitalismo anzi la nuova forma di capitalismo ovvero il tecnocapitalismo che sfruttando, come ha sempre ha fatto, il male che inevitabilmente appartiene alla condizione umana, è riuscito a trasformare tale disagio in enormi fonti di profitto, infatti, questa nuova società che tende all’isolamento ha perso completamente la capacita di “partecipare” e quindi di provare a rendere migliore il mondo nel quale viviamo. Al contrario, l’isolamento forma individui capaci di sopravvivere solo grazie al supporto tecnologico e quindi a consolidare il loro status di consumatori – schiavi che hanno bisogno di computer, smartphone, Wifi, internet ecc. per sopravvivere nelle loro minuscole stanze oscure.

Tutto questo non è successo casualmente, c’è stato un disegno ben preciso portato avanti dai signori del capitale che da decenni, pezzo dopo pezzo, hanno smantellato l’idea socialista fondata appunto sulla collaborazione, la socialità, la partecipazione per sostituirla con una filosofia fredda e terribile che prevede l’instaurazione di una enorme megalopoli mondiale nella quale i pochi ricchi consumano le ricchezze del nostro pianeta lasciando  a tutti gli altri l’illusione del benessere attraverso la tecnologia “isolante”. Anche io in certe occasioni mi sento un hikikomori, mi succede quando preferisco rimanere nel soggiorno di casa a rimbambirmi davanti all’ultima serie tv invece di uscire all’aria aperta a respirare a pieni polmoni correndo sulla mia fantastica ebike da qualche tempo ferma e piena di polvere.

Mi capita perché sempre più spesso le mie richieste rivolte ad amici e conoscenti si risolvono spesso con la solita risposta: “Scusa adesso proprio non posso, ho promesso a mio figlio di accompagnarlo alla partita”. Proprio così, questi criminali, i tecnocapitalisti intendo, sono riusciti a parcellizzare la società, tutte le società, rendendo possibile una qualche forma di dialogo solo all’interno della monade – famiglia che però, purtroppo, spesso implode in maniera terrificante proprio perché anche una famiglia ha bisogno di dialogare con il mondo esterno e così facendo, di migliorarsi osservando che la vita, quella vera, è là fuori e non tra le quattro mura gelide del piccolo bunker nel quale si è trasformata la nostra casa.

“L’Hikikomori può essere interpretato come una pulsione all’isolamento fisico, continuativa nel tempo, che si innesca come reazione alle eccessive pressioni di realizzazione sociale, tipiche delle società capitalistiche economicamente sviluppate”. Marco Crepaldi

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