Sorvegliare, punire e pestare
16 Luglio 2021[Amedeo Spagnuolo]
L’ennesima vergogna che si è abbattuta su questo nostro paese che dimostra ancora una volta di non essersi emancipato dalla subcultura fascista e dalle sue pratiche coercitive comincia il 5 aprile del 2020 nel carcere “Francesco Uccella” di Santa Maria Capua Vetere (Caserta).
Tutto comincia con la legittima protesta da parte dei detenuti, dopo un caso di covid, scaturita nella richiesta di ottenere test e mascherine. Il giorno dopo scatta una terribile mattanza che coinvolge 300 detenuti che vengono picchiati selvaggiamente da un numero nutrito di agenti della polizia penitenziaria. L’inchiesta vede coinvolti 117 indagati, 52 di questi sono sottoposti a misure cautelari.
In quei giorni, a causa della pandemia, i colloqui sono bloccati e anche le videochiamate vengono vietate, questo, probabilmente, illude i responsabili della vile aggressione di potersela cavare, ma le immagini cominciano a circolare, l’incredibile pestaggio da parte dei “tutori dell’ordine” diventa visibile e innegabile. Tutte queste informazioni arrivano al garante dei detenuti della Campania, Samuele Ciambriello che sporge denuncia e innesca l’inchiesta della Procura, a Ciambriello si affianca il garante di Napoli, Pietro Ioia e l’associazione Antigone.
I dettagli della mattanza, testimoniati dai detenuti e dalle immagini registrate dalle telecamere, sono da film dell’orrore: irruzioni violente nelle celle, detenuti pestati a manganellate, sputi e urina sugli stessi. Nelle immagini si vedono alcuni detenuti trascinati nei corridoi e pestati a sangue, addirittura anche a un detenuto sulla sedia a rotelle non vengono risparmiate le manganellate. Il fatto più grave riguarda un detenuto pestato in più occasioni e lasciato senza cure in isolamento e che qualche mese dopo, probabilmente, si suiciderà con dei farmaci.
Come attivista dell’ANPI sono ben consapevole che la nostra Costituzione è in larga parte inapplicata ma in questo caso l’art. 27 non solo non è stato applicato bensì è stato totalmente messo sotto i piedi. Dopo i fatti di Santa Maria Capua Vetere, le affermazioni del suddetto articolo costituzionale suonano come dei principi inapplicabili per un paese come il nostro che, anche grazie a responsabilità storiche della sinistra, invece di estirpare con fermezza e tenacia il cancro fascista, fin dal secondo dopoguerra, ha sempre cercato con gli esponenti di spicco dell’ideologia fascista una sorta di “mediazione”. “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Ecco, questo prevede l’art. 27 della nostra Carta costituzionale mentre la realtà di molti dei nostri istituti penitenziari prevede botte da orbi, umiliazioni e cinismo.
D’altro canto i dati che provengono dagli studi portati avanti dall’ottimo lavoro dell’associazione Antigone non fanno che confermare quanto lontani siano dalla realtà i principi espressi nella nostra Costituzione. Dopo decenni di battaglie e dopo molte legislazioni a riguardo, la situazione delle carceri non è ancora dignitosa. In Italia, come descrive il rapporto del 2018 dell’Associazione Antigone, nel 36% degli istituti le celle sono senza acqua calda e nel 56% sono senza doccia, mentre nel 20% non ci sono spazi dedicati ai detenuti per dedicarsi a lavori di qualsiasi tipo. Tutte cose che sarebbero previste per legge, oltre a un articolo dell’Ordinamento penitenziario che indica il dovere di favorire in ogni modo la destinazione degli internati al lavoro e la loro partecipazione a corsi di formazione professionale, con la legge Smuraglia nel 2000 è stato introdotto un sistema per incentivare le imprese nell’assunzione dei detenuti. Sempre negli 80 istituti di pena visitati da Antigone nel 2018, il 28,9% dei detenuti lavora per il carcere, mentre solo il 2,5% lavora per datori di lavoro privati. La grande assente è la formazione professionale, che coinvolge in media solo il 4,8% dei detenuti. Iniziare ad aumentare il numero di visite dall’esterno o garantire seriamente un diritto allo studio funzionante non è un “lusso”, ma migliorerebbe le condizioni di vita dei detenuti.
Dunque, cercare un “compromesso” con le forze fasciste, come abbiamo visto, non è mai una buona idea ed è sempre foriera di conseguenze terribili alle quali poi è molto difficile porre rimedio, però non bisogna mai dimenticare che il fascismo, da sempre, cammina a braccetto con l’altra grande espressione dell’ingiustizia umana che è il sistema capitalistico. Questo ce lo ha spiegato molto bene il filosofo francese Michel Foucault nel suo libro “Sorvegliare e punire” nel quale afferma la sua tesi centrale che si basa sulla convinzione che tra Settecento e Ottocento la borghesia non solo ha conquistato il potere politico ma ha compreso che era fondamentale anche appropriarsi del potere coercitivo e di controllo, così partendo da una poderosa riforma giuridica applicata poi a tutte le istituzioni più importanti di un paese, scuole, ospedali, carceri, esercito ecc. ha creato un sistema nel quale qualsiasi comportamento non coerente con i dettami dell’ideologia borghese – capitalista, veniva individuato e punito attraverso i professionisti dei diversi campi: insegnanti, medici, ufficiali dell’esercito, che avevano appunto il compito di “sorvegliare e punire”. Certo oggi qualcosa è cambiato, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, ma è sufficiente? Assolutamente no e lo dimostra il fatto che il sistema capitalista, nonostante le sue ricorrenti crisi, continua a dominare. Forse dovremmo rileggere con più attenzione Foucault: “Storicamente, il processo per cui la borghesia è divenuta nel corso del secolo Diciottesimo la classe politicamente dominante si è riparato dietro la messa a punto di un quadro giuridico esplicito, codificato, formalmente egalitario, e attraverso l’organizzazione di un regime parlamentare e rappresentativo. Ma lo sviluppo e la generalizzazione dei procedimenti disciplinari hanno costituito l’altro versante, oscuro, di quei processi. La forma giuridica generale che garantiva un sistema di diritti uguali in linea di principio, era sottesa da meccanismi minuziosi, quotidiani, fisici, da tutti quei sistemi di micropotere, essenzialmente inegualitari e dissimmetrici, costituiti dalle discipline. E se, in modo formale, il regime rappresentativo permette che direttamente o indirettamente, con o senza sostituzioni, la volontà di tutti formi l’istanza fondamentale della sovranità, le discipline forniscono, alla base, la garanzia della sottomissione delle forze e dei corpi”.